Stemmi araldici dei sindaci gallipolitani

È ormai un dato incontestabile che anche per la Città di Gallipoli, come è stato l'anno 1480 per Otranto, il 1484 rappresenti una data storica del tutto eccezionale, non solo per i fatti di guerra che si registrarono nella Città, ma anche per le conseguenze che quei fatti comportarono tra la popolazione civile.
Ciò è attestato dagli storici delle antiche memorie (i diaristi locali Micetti, Roccio, Riccio e gli annalisti di fama nazionale come il Malipiero e il Sanudo), ed anche dai più recenti studi che sull'Età Aragonese sono stati compiuti finora. Tutti costoro concordano col fatto che in quello scorcio di secolo i cittadini di Gallipoli vivevano una vita più o meno pacifica dedita soprattutto all'attività della pesca e a quella del commercio (rinomato era allora il porto della Città dal quale partivano merci agricole e manufatti per il regno di Napoli e per altre destinazioni al di fuori dello stesso Regno).

Un'altra attestazione inconfutabile sullo stato di vita dei gallipolitani è dato dai numerosi privilegi che in quel periodo erano stati concessi dalla Casa Aragonese e che tuttora figurano nella copia del Libro Rosso della Città, come pure negli studi fatti nell'Archivio di Venezia da Carlo Massa che li riportò nel saggio « Venezia e Gallipoli. Notizie e documenti » pubblicato nel 1902 ed ora ristampato a cura di Michele Paone.
Ma ciò che avvenne nel 1484, con l'assedio e la presa della Città da parte dei Veneziani, è estremamente significativo anche sul piano dei rapporti con la Casa regnante. Infatti, dopo questa data, sia i privilegi, sia gli ordini di tassazione che riguardavano i gallipolitani hanno una caratterizzazione del tutto particolare, in quanto re Ferdinando primo tenne conto dello stato in cui si trovava la sua Città.
Per cui noi ritroviamo tanti e tali benefici rivolti anche a specifiche famiglie di Gallipoli che ci fanno pensare ad un ruolo ben determinato che esse avrebbero svolto nei fatti di guerra. Ma, sarà stato per questo motivo, sarà stato anche per il concorso di altri fattori, accade che in Gallipoli, a partire dal 1484,iniziano ad apparire pubblicamente discorsi e simboli che rivelano una qualche attinenza con l'accaduto.
Alcune famiglie nobili, note in Città per aver dato uno o più Sindaci, iniziano a fregiarsi di stemmi che in un modo o nell'altro comportano nella loro raffigurazione complessiva espliciti riferimenti all'assedio.
II primo storico che si è interessato al problema è stato il Notaio Vincenzo Dolce, il quale ci ha lasciato il suo splendido lavoro, del tutto ancora inedito, diviso in due parti; la prima ha per titolo « Illustrazioni sugli stemmi dipinti nella sala del Palazzo Comunale di Gallipoli », la seconda ha invece per titolo « Codice Diplomatico Gallipolitano ».
Ancora oggi questi poderosi manoscritti, di cui uno miniaturato, sono conservati nella civica Biblioteca Comunale e la loro importanza è del tutto eccezionale in quanto in essi è riportato, tra l'altro,lo stato in cui versava allora il palazzo municipale di Gallipoli.
Oggi quel palazzo, che è ubicato nel centro della Città antica dal fianco della Biblioteca Comunale, è in stato di totale abbandono e gli stemmi, che il Dolce descrisse e che pure lo stesso Massa vide agli inizi del nostro secolo, non esistono più, forse perché coperti da calce o forse perché distrutti in epoca recente (probabilmente ai primi del '900).
L'unica possibilità che oggi ci è rimasta di vedere quegli stemmi è appunto il lavoro del Dolce che li riportò fedelmente acquerellandoli a mano.
Ma, per ritornare agli stessi, è bene affrontare subito il problema, precisando da ora che a noi qui non interessa tanto il discorso dal punto di vista prettamente araldico, perché bene questo lo fa già lo stesso Dolce nella sua introduzione; interessa invece rilevare dalla sua opera quegli stemmi di Sindaci gallipolitani che secondo l'autore portano raffigurate scene o riferimenti attinenti all'assedio e alla presa della Città da parte dei Veneziani.
Dolce ci dice che « i patrizi che occupavano il Sindacato dipingevano nella sala del Palazzo Comunale le imprese del rispettivo casato, scrivendo il nome dell'individuo e l'anno dell'esercizio. Questa consuetudine incominciò nell'anno 1484, e proseguì in ordine cronologico fino ai nostri giorni, rilevandosi chiaramente che 63 famiglie soltanto per più secoli esercitarono la dignità accennata ».
Delle 63 famiglie Dolce riporta soltanto 52 stemmi, perché, secondo quanto egli stesso afferma, « nell'anno 1691 si ristaurarono le imprese, perche' il tempo le avea quasi cancellate », per cui di qualcuna era andato perduto il blasone. Afferma oltre « che niuno di tali scudi trovasi coronato, nonostante che alcune famiglie aveano diritto a coronarlo, ma siccome ciò era parziale e non per tutte, così ne avvenne che per non usar distinzioni fra il ceto medesimo tutte dipingessero in quel pubblico luogo il proprio stemma senza corona ».
II primo scudo che noi abbiamo trovato nel lavoro del Dolce e che fa esplicito riferimento all'assedio dei Veneziani è quello degli Specolizzi.
Scrive il Dolce che il Sindaco Costantino Specolizzi « fu il primo che fé dipingere sulla sala del Palazzo Comunale - siamo nel settembre del 1484, proprio il mese in cui Gallipoli fu abbandonata dai Veneziani - il suo scudo ». In questo stemma, racchiuso in una cornice esagonale, « evvi in campo azzurro una fascia da dritta a manca di colore arancio dinotante onore, di cui si gloriò sempre la sua famiglia, ed entro la fascia v'intersò tré colombe nere simbolo delle tré luttuose giornate di quel fierissimo combattimento ».
Così il Dolce, discorrendo sul Sindaco Costantino Specolizzi, ricostruisce l'assedio veneziano di Gallipoli: « Viveva Gallipoli nello stato il più tranquillo. Ogniun de' suoi abitatori era occupato alle proprie faccende dell'agricoltura, delle arti liberali e meccaniche, della pesca e di altri mestieri.
Allegro sempre il popolo gallipolino e non curante dell'avvenire. Le donne del volgo nella loro semplicità lavoravano la lana, ed il lino. Le matrone applicate alla educazione delle proprie figliuole instillavano ad esse con l'esempio dignitoso sentimenti di religione, di virtù, e di morale. I patrizi intenti alla lettura ponderavano le notizie giunte d'altrove.
Amavano assai Rè Ferdinando d'Aragona, ed i loro pensieri erano a lui rivolti udendolo implicato in una guerra co' Veneziani, i quali stati erano la cagione onde i Turchi espugnassero Otranto, quando allo spuntar dell'alba del 16 maggio 1484 lungi nel mare compariscono alcune vele. Frettolose ritornano le nostre barche pescareccie sgomentate, poiché una formidabile flotta ingombrava tutto il mare dietro quella punta di terra chiamata Acroterio e che or si appella Pizzo. Queste vele prendono la rotta per Gallipoli, e già scorgevasi sulle antenne sventolar la bandiera di S. Marco. Che cosa vorranno cedesti Veneziani? Giacomo Marcelle, che qui trovò la sua tomba, di lor Comandante intima la resa della Città a nome della Serenissima Repubblica. Sindaco era lo Specolizzi.
Si risponde che il proprio Signore era il Rè Ferdinando d'Aragona, e non altri. Allora Marcelle sbarca le sue truppe, le provvigioni, e l'armi. Opponesi la Città gagliardamente con le poche artiglierie che si trovava, e con le deboli mura, che la cingevano. Suo
baluardo erano i petti de' Cittadini. Il combattimento più accanito avvenne ne' tré dì susseguenti. Prodigi! di valore degli uomini e delle donne gallipoline, finché la Qttà dal numero de' nemici fu oppressa e superata. Specolizzi che in mezzo al combattimento univa a' talenti civici il più fermo valore, e la più esperimentata costanza, fu malmenato dal superbo vincitore. Umiliata Gallipoli cadde dal primiero suo splendore, ed i suoi archivi ricchi di frutti storici, e sopravvanzati ad una nobile antichità furono involati, sperperati e distrutti. Tali sono gli effetti della guerra, soprattutto quando è di un potente contro di un debole, e quando sopraggiunge improvvisa. Allora tutto è confusione, ed ogni resistenza si rende vana. Da' contemporanei e dalla posterità somma lode riscossero i gallipolini, che con deboli mura e pochi difensori sostennero per tré giornate l'urto impetuoso di settemila combattenti ».
II secondo stemma che dimostra attinenza con l'assedio è quello del Sindaco Antonio Stilavi, che resse quell'ufficio nell'anno 1485 e che fu parte attiva nella battaglia dell'anno precedente.
« Lo stemma di questa famiglia - dice il Dolce - ci presenta in campo aurato un albero di quercia che sebbene si elevi rigoglioso, pure in due rami è sfrondata e monca. I venti impetuosi e le bufere invano lottano con questa quercia annosa, ed invano il Leone di S. Marco le ruggisce intorno e tenta divellerla dalle radici: essai sostiene l'urto, sebbene le si fossero recisi due grossi rami dai vorticosi buffi di quel vento tremendo, ed in mezzo ad un campo di orog dimostra che era stata ricca, amorevole, onorata ».
E' chiaro per l'Autore il simbolo quercia-Gallipoli di questo stemma, meno chiaro è il riferimento ai due rami spezzati e spogli. Il Dolce ce ne chiarisce uno, che è quello dell'assedio del 1484, nulla invece ci dice dell'altro altro stemma di Sindaco che fa esplicito riferimento ai nostri fatti è quello della famiglia Patitari.
Guglielmo Patitari, che fu Sindaco appunto nel 1490 e che, come ci fa sapere il Dolce, ebbe moltissima parte nella difesa della Città sei anni prima, fece dipingere nella sala del Palazzo Comunale il suo stemma che somiglia moltissimo a quello precedente della famiglia Specolizzi.
Così il Dolce lo descrive: « Veggonsi in campo azzurro una fascia di colore arancio da dritta a manca con tré colombe nere allus sive alle tré luttuose giornate di quel combattimento, e di queste colombe due sono inquartate alla fascia, e l'altra giace nella parte inferiore dello scudo, dinotante l'ultima giornata, in cui si arrese Città». Splendida, secondo noi, è questa raffigurazione araldica dell'assedio del 1484, rappresentando le due colombe nere poste sulla fascia le due giornate di eroica resistenza della Città, mentre la colomba giacente nella parte bassa dello scudo la capitolazione, Non c'è dato sapere donde il Dolce abbia attinto le notizie che riporta, non essendo indicata nella sua opera alcuna fonte. Pertanto la interpretazione della raffigurazione araldica degli stemmi potrebbe anche non essere veritiera, ma frutto di fantasia dell'Autore.
C'è, comunque, da dire che le tesi del Dolce vengono sposate anche da altri studiosi di storia locale degni considerazione, come ad esempio oio il Vernole ed il D'Elia, i quali o hanno preso per buone le affermazioni del Nostro o hanno avuto per le mani le stesse fonti di cui il Dolce si servì. Certo è che, se il Dolce riscontrò nelle raffigurazioni araldiche di alcune famiglie attinenze all'evento del 1484, ne avrà avuto le sue buone ragioni; infatti lo stesso, pur avendone gli elementi ed i motivi, nessun riferimento esplicito riporta discorrendo della famiglia Arcana, che nel suo scudo presenta su un'Arca una colomba nera (che si tratti di colomba, e non di corvo come si potrebbe facilmente desumere dalla Bibbia, è confermato sia dal Foscarini che dal Vernole) « dinotante qualche sventura cui la famiglia medesima avrà soggiaciuto », o della famiglia Assunti, nonostante che il Sindaco Antonio, eletto nel 1487, avesse anch'egli tré anni prima preso parte alla strenua difesa di Gallipoli, o della famiglia Camaldari, che perse in quella battaglia Francesco, o ancora della; famiglia Sermagistri, che registrò la morte di Sermagistro e la fattiva partecipazione alla difesa della Città da parte dell'altro fratello Filippo.
Comunque, questi sono gli stemmi riportati dal Dolce e che noi abbiamo ritenuto leggere e descrivere avendo come punto di riferimento l'assedio e la presa di Gallipoli da parte dei Veneziani nel 1484.
Cominciarono ad essere dipinti nella sala del Palazzo Comunale proprio allo spirare di quel secolo e continuarono la serie fino allo spirare dell'800.
Poi questa abitudine fu abolita e nessuno dei Sindaci successivi pubblicò più il suo stemma, se mai l'avesse avuto. Solo la municipalità italiana continuò ad essere raffigurata mediante stemmi: così come ha continuato a farlo Gallipoli con il suo gallo coronato e Venezia con il suo leone alato, uniti oggi nell'unico scudo, opera dell'artista Angela D'Onofrio, preso a simbolo del convegno, a significare una nuova era di fratellanza e comunione di intenti fra le due Città.

Vitantonio Vinci e Maurizio Nocera