L'altro "1799" a Gallipoli

Oltre a quello del ceto dei “galantuomini” che cercavano sotto l’albero della libertà, e nel controllo del governo cittadino(Municipalità Repubblicana),la rivincita allo smacco subito trenta anni prima con l’ammissione del ceto dei negozianti al reggimento della cosa pubblica; oltre a quello dell’anarchia della plebaglia,spinta subdolamente al saccheggio delle case di benestanti (fra cui l’abitazione del sindaco Costantino Rossi D’Alessandro e il Palazzo dei Montuori) indicati come giacobini e nemici della monarchia e del popolo da ‘un’anima iniqua cui giovava la cittadina discordia e la guerra civile, Gallipoli conobbe un diverso 1799. Quello degli intellettuali moderati che per amore del bene della città e della pacificazione intercetuale tentarono di porre un freno alla deriva populistica. Due di questi eminenti gallipolini furono Filippo Briganti e Luigi Riccio rei,semplicemente,di aver usato la penna per comporre scritture utili alla città, e soprattutto necessarie in quei drammatici frangenti.
L’insigne economista, espressione fra le più alte dell’illuminismo salentino e meridionale, fu membro della Municipalità Repubblicana di Gallipoli e della schiera di coloro che il 9 febbraio 1799 intervennero alla cerimonia per la piantagione dell’albero della libertà. Cose per lo più conosciute. Meno noto è che egli fu l'autore di un indirizzo politico,ossia di ‘una protesta di omaggio e di fedeltà al generale Championnet’ ,a nome della costituita Municipalità Repubblicana. Una forma di benvenuto al vincitore che oggi può far soltanto sorridere. Ma che allora venne considerato dai zelanti funzionari di Ferdinando IV di Borbone un grave delitto di fellonia.
Fatto sta che quando alla fine di aprile l’avventuriero corso De Cesari se ne partì da Gallipoli,nelle liste di giacobini veri o presunti da arrestare lasciate nelle mani del facinoroso Gennaro Felisio di Trani, vi era compreso il nome del Briganti. Il quale fu tra i primi ad essere catturato dalla marmaglia il 18 agosto e ad essere incarcerato nel castello all’età di 74 anni. Vi sarà trattenuto fino al 3 ottobre successivo. Con grande imbarazzo del fratello Domenico il quale,per essere un referente periferico della
Accademia dei Sinceri Laureati dell’Arcadia Reale,si vide costretto a disertare la grande adunanza accademica che si tenne a Napoli il 29 settembre successivo,con relative declamazioni di rime celebratorie del re e della restaurazione borbonica, e rinunziare ad una sua orazione introduttiva.
Assai più tragica fu la vicenda di Luigi Riccio di cui si sono occupati Giuseppe Grassi(Gazzetta del Mezzogiorno del 30 maggio 1927) e Nicola Vacca(Archivio Storico Pugliese,Anno 1970). I due storici ci informano che dopo l’arresto del Briganti,’coloro che per il momento erano rimasti liberi e che paventavano altri guai,decisero di indirizzare una petizione al cardinale Ruffo,ormai nelle vicinanze di Altamura,invocando da lui provvedimenti per la pacificazione della desolata città’.
A scriverla fu incaricato l’avvocato Riccio,ossia ‘l’uomo più rappresentativo di Gallipoli’,il quale vi accondiscese volentieri‘ e questo fu il suo misfatto ‘ redigendo una nobile Memoria che venne spedita al Ruffo.
Anche il vescovo Giovanni Giuseppe Danisi, premurato dalle lagrime delle rispettive famiglie, aveva compiuto una missione segreta ad Altamura per implorare indulgenza dal Ruffo,ma ne era tornato con vaga ed equivoca risposta, ritrovandovi una situazione assai peggiorata, con la città in ‘balìa della marmaglia’.

Luigi Riccio,uomo di legge e di studi, distante dalle passioni politiche e dalle fazioni cittadine, si tenne prudentemente da parte, ma era stato segnato a dito per quella supplica inviata al Ruffo, e non poté evitare di farsi intrappolare dalla furia cieca dei concittadini. Né poté sottrarsi alla cattura e alla ingiusta e lunghissima detenzione,consumata ’per venticinque giorni nel castello di Gallipoli,con undici mesi nel castello di Barletta,e con due mesi e venticinque giorni nel castello di Lecce. Oltre che ‘con moltissima spesa fra le rapine di chi serve in sì fatti luoghi. Quando riavrà la libertà, deve sottostare alle condizioni poste dal nuovo preside Mastrilli di non mettere più piede a Gallipoli. Sceglierà quindi di ritirarsi nella quiete di Castiglione, suo paesino d’origine,dove scriverà una dignitosa,ma per certi versi amara e polemica, Descrizione Istorica di Gallipoli in cui esporrà,non senza qualche risentimento, la propria esperienza autobiografica di paciere super partes, mai rubricato fra i rei di stato di quel torbido 1799,ma con più di un anno di carcere sulla groppa. Lasciamo a lui la parola: ‘Vi erano dei soffioni,li quali,come tanti Protei
han saputo figurare con diverse mascare;e vi sono ben riusciti’.Si carcerarono più di cento popolani ,e tra questi un sacerdote semplice,un canonico che poi vi morì,tre fratelli figli del Capitan Sovraguardia,ufficio comprato di lor famiglia,don Francesco Balsamo, ed anche l’autore di questa composizione,a motivo che richiesto dall’albagia popolare,dettò dei fatti alla memoria del Re,ed al Cardinale Ruffo(il corsivo è nostro).Riccio avrebbe voluto stendere un velo su questa sua vicenda dolorosa, ma neanche gli anni trascorsi sono riusciti a lenire la sua amarezza, ché l’ingratitudine dei concittadini gli brucia moltissimo.
‘ Questo pezzo meritava covrirsi con un velo - prosegue - ma fu il carattere palesato in una sì grave circostanza da un’intiera popolazione la quale ingrata non seppe distinguere,e volle mortificare chi cercò di salvarla dagli orrori di una guerra civile,facendo capitale di un riguardo ottenuto dal favore di detta forzata supplica;senza che per lo innanzi avesse figurato per veruno dei due partiti,e solo aveva palesato un sentimento di prudenza,praticando la sempre necessaria flemma.
Fin dalla prefazione il Riccio sottolinea il proprio sentimento sincero di fedeltà alla piccola patria ,cui consacra il lavoro, in contrasto con ‘le ingiuste scortesie della medesima la quale ‘avermene grado dovrebbe se d’illustrarla un gran desiderio m’infiamma il petto;ma dubito pure che non sia contenta,ed avendola abbandonata,mi vorrebbe già disciolto ed alienato da un tal dovere.
Una metafora amara della collera d’amore che sempre cova e coverà in chi,dopo aver sofferto ed essersi prodigato per il proprio paese con dedizione e spirito di servizio, se ne sente ingiustamente emarginato e addirittura dimenticato e respinto Ciò,comunque, non gli impedisce di sentirlo ancora caro,anche se lo avverte sempre più remoto da come lo avrebbe voluto.
A Castiglione il Riccio si spegnerà il 26 gennaio 1821 senza aver potuto digerire i torti subiti.
Questo modesto ricordo,come già i recuperi benemeriti dovuti a NicolaVacca(1970),OivieroCataldini(1977),Alessandro Laporta(1996),vuole essere un doveroso ulteriore segno di riscatto nei riguardi di una grande vittima dell’intolleranza e dell’ingratitudine.

Vittorio Zacchino