La "querelle" sul porto turistico di Gallipoli

Uno sport in voga, a Gallipoli, è disquisire sul porto turistico, i cui progetti si sono moltiplicati a dismisura con pareri discordi e arroventati.
È l'occasione per offrire, con una testimonianza, un modesto contributo al riguardo e partecipare al dibattito con una variante sul tema.
Evitando inutili geremiadi, occorre dare spazio a "proposte concrete" più che a "pregevoli interventi cattedratici" o accademici. La storia inizia negli ultimi anni '80, allorché giunse da Bari l'attesa notizia: lo stanziamento di 40 mld. di lire per la realizzazione del nuovo piano regolatore del porto.
Onore e merito al dott. Franco Zacà, fondatore e presidente del Consorzio del porto.
Nel 1989, rese note le prime documentazioni del progetto, l'Ammiraglio Ennio Spaccavento, al comando della locale Capitaneria, in un incontro informale con Zacà "prospettò" una diversa opportunità della costruenda realtà portuale.
Attesa la riduzione graduale del traffico commerciale, per il quale tuttavia il piano prevedeva l'ampliamento del molo foraneo, si poteva pensare di utilizzare, per approdo turistico, la banchina di riva e il pennello di sottoflutto (con area annessa tra Capitaneria e ANMI), in quanto le normative vigenti consentivano esplicitamente una destinazione turistica di parte dei porti commerciali.
Felice l'intuizione dell'Ufficiale, al quale va peraltro il merito di aver promosso, sul litorale meridionale sin dal 1987, l'attuazione di attrezzate spiagge private in luogo di baracche abusive, smantellate d'autorità.
A proposito di turismo nautico il Com.te di Capitaneria fu il primo ad avanzare l'idea di una riconversione del porto mercantile, suggerendo banchine e pontili mobili con la possibilità d'intervento diretto del Comune per la gestione delle strutture, fermo restando che la parte destinata alla pesca (banchina dogana) rimanesse, come in passato, a disposizione dei pescherecci.
Zacà, appassionatamente innamorato della sua creatura, rispose con un perentorio diniego: il porto era nato come mercantile e tale doveva restare!
Non seguirono altri interventi e l'idea, non peregrina, arenò infelicemente. Soltanto ora ci si accorge che non era da scartare e si poteva percorrere quella strada, discutendone fuori da schemi politici, per avviare un'operazione necessaria al definitivo decollo turistico, senza perdere ulteriore tempo.
Si poteva prendere spunto dal porto di Trani, dove il Comune aveva già realizzato con pontili galleggianti e mobili un approdo turistico nell'ambito del porto mercantile con impatto ambientale a tasso zero, senza minimamente ledere interessi di altre categorie (pescatori).
Sarebbe stato possibile replicare la medesima esperienza attuata tra l'altro in numerosi porti italiani più rinomati, il cui sviluppo turistico è dovuto ad un insieme di intelligenti intuizioni o scelte coraggiose e tempestive.
Oggi tali direttive, che prevedono la realizzazione di strutture mobili in zone-approdo destinate al turismo nautico, competono non tanto alla Regione quanto all'Erario, ossia al Demanio.
Spetta anzi allo Stato in materia specifica vietare agli Enti locali, anche nel quadro comunitario, una loro partecipazione diretta o mista in attività d'impresa.   

Questa la premessa. Se si guarda all'attuale traffico mercantile del nostro scalo portuale, occorre essere onesti a confessare la netta sproporzione tra capacità potenziale della struttura e movimento commerciale reale.
Sino a qualche decennio fa poteva soddisfare la movimentazione di equini, prodotti vinicoli, concimi, cemento e laterizi, uniche voci dell'economia portuale.
Ma, dacché i Paesi mediorientali hanno dismesso l'importazione di mattonelle, la presenza di una sola nave di modesta stazza di tanto in tanto nell'arco di un mese non può giustificare lo status quo, che conferma l'impressione che il nostro porto risulta eccessivamente sovradimensionato con evidenti danni economici.
Sic stantibus rebus, non potremmo sperare più di tanto per una città con una indiscussa realtà turistica consolidata e comunemente riconosciuta.
Vanificati o frenati altri tentativi (caso "Etruria"), la querelle sul porto turistico è destinato a durare. Attualmente sono due i progetti in gara: "Blu Salento" (Società privata) e "Italia Navigando" (Società di "Sviluppo Italia", con cui il Comune, eccependo i diritti della prima, ha sottoscritto, "per un'opera di pubblica utilità", una convenzione a partecipazione mista impegnando investimenti per oltre 3 mln. di euro).
Ma emergono alcuni interrogativi tra un cumulo di pastoie cartacee e intralci burocratici.
Chi, avvalendosi di una progettazione tecnica professionale, offre le migliori garanzie in serietà, qualità, servizi, prospettive di occupazione, sviluppo e produttività? Quale società, pubblica o di scopo, in regola con le norme vigenti, saprà meglio investire di suo e/o utilizzare capitali pubblici, tutelando preminentemente gli interessi della collettività e la sicurezza dei pescatori?
La soluzione del contenzioso tra Consiglio di Stato (che ha dato ragione alla Società privata) e Comune (che ne impugna la sentenza) compete alla Capitaneria, in quanto deputata, con l'onere dell'arbitrato, a dirimere la vexata quaestio onde emanare l'atto di concessione demaniale per la realizzazione del progetto.
Nelle more dell'aspra contesa ha già firmato il nulla osta a favore dei privati, né possiamo prevedere gli sviluppi dell'intricata vicenda, se non immaginare altri intoppi e rinvii sine die. Questo il punto.
La città è divisa tra diverse "scuole di pensiero" e in più fazioni.
Chi vuole il porto turistico a sud-ovest, chi a nord-est, chi nel Canneto, chi altrove… Alla fine qualcuno potrà sentenziare che non s'ha da fare comunque, né ora né mai. Quanti ritardi con treni perduti e umiliazioni!
I vessilli di città resteranno ancora ammainati a vantaggio di altri lidi e destini.
Intanto, nell'utopica speranza di un'opera "vera", staremo ancora a guardare, persino in attesa di uno straccio di "approdo turistico" o di un "surrogato di darsena".
Non sarebbe preferibile discuterne assieme, coinvolgendo il mondo della pesca e mediando tra equi compromessi, fuori da appartenenze, senza sospetti o pregiudizi, per programmare nell'esistente qualcosa di concreto da dotare poi di una sorte migliore?
Ben altre le aspettative della nostra gente! Da secoli guarda al suo mare come all'unica fonte di risorsa per il suo riscatto.

Gino Schirosi