Il Castello di Gallipoli

CENTRO NEVRALGICO DELLA STORIA CITTADINA

     La politica non può sempre mirare alla lotta esclusiva per il potere, unicamente tesa a prevaricare gli avversari e a disattendere gli interessi primari e sacrosanti della collettività. Né deve peraltro insistere su aleatori o avventati progetti sfruttando in modo spudorato la propaganda elettorale per svendere pie illusioni e amari disinganni insieme col fumo di vane e false promesse.     Ormai dai politici, in tempi di magra, nessuno pretende né si aspetta miracoli, essendo lontano il miraggio di vedere realizzate opere importanti o faraoniche.
    È solo auspicabile provvedere a quanto è nell’evidenza: salvaguardare opportunamente e mettere in grande spolvero l’eredità paesaggistica e storica, percepibile sotto gli occhi di tutti. La storia anzitutto, ciò che resta di esaltante per narrarci ancora le fatiche e le traversie dei nostri antenati.
    Gli eletti devono avvertire, come supremo impegno per il bene della cosa pubblica, questo nobile compito cui sono stati delegati dal suffragio popolare, un obbligo precipuo nella loro quotidiana azione politico-amministrativa: non solo esaltare l’esistente e promuovere l’eccellenza, ma soprattutto seminare valide idee, realizzare antichi progetti e valorizzare nobili speranze.
Gallipoli è naturalmente una città maliarda e tale deve apparire al cospetto del forestiero non meno innamorato dei residenti.
    Nel corso della sua millenaria storia non ha mai avuto bisogno di protettori esterni o padrini locali interessati al proprio tornaconto; è stata sempre libera e franca, mai dipendente da feudatari né svenduta impunemente a nessun avventuriero di passaggio.
    È l’unico centro del Salento che a buona ragione può vantarsi della sua libertà e che, paradossalmente, non ha conosciuto nobiltà. Non sono mai esistiti né si registrano tuttora stemmi araldici di conti, baroni, duchi! È ampiamente documentato come alla sola Corona l’Università gallipolitana dovesse dar conto e corrispondere, senza intermediari.
    Testimonianza del suo glorioso passato è il castello angioino, fiore all’occhiello e centro nevralgico della storia cittadina, cui sopratutto ha l’obbligo di guardare il primato della politica come dovere civico e impegno culturale. Si tratta del maniero più articolato e complesso finora sopravvissuto nel panorama storico-artistico di Terra d’Otranto, la piazzaforte più sicura nell’estremo avamposto del Regno di Napoli, caposaldo di rilievo a difesa del Salento e del Mediterraneo sud-orientale.
Il primitivo fabbrico della monumentale opera militare appartiene agli Svevi, ma la costruzione definitiva è degli Angioini, ancorché non siano mancati interventi marginali e dannosi in periodi successivi, fino al secolo scorso.
    Dopo il tragico fatto d’arme, sfociato nell’assedio e nell’occupazione veneziana del maggio 1484, e fino agli inizi del XVI sec. gli Aragonesi ne consolidarono ulteriormente la struttura prima che fosse aggiunta la fortezza del rivellino, con la successiva dotazione di torri costiere di avvistamento, torrioni, bastioni e baluardi. Per secoli ha costituito la roccaforte della città bastionata e il castellano, reggente responsabile della piazza, era una personalità di prestigio nella stessa amministrazione civica, pur essendo sempre d’origine spagnola al pari di molti vescovi succeduti per secoli nell’esigua diocesi, l’isola abitata.
    Oggi, debitamente restaurato, potrebbe senza dubbio costituire il più significativo contenitore culturale della città e del suo hinterland.  
    Quale tra i castelli salentini vanta tanta storia quanto il castello di Gallipoli?
    Né il castello Carlo V di Lecce né di Copertino né di  Corigliano e neppure quello di Otranto hanno goduto della stessa gloria. Una storia a sé è Acaya. Di quali fatti militari sono stati protagonisti? Mai hanno avuto un ruolo di rilievo nello scacchiere strategico a presidio della periferia orientale del Regno di Napoli.
    Quali vicende storiche hanno minato più di tanto la sicurezza della provincia prima del XVI sec.? Solo allora fu costruito l’attuale castello idruntino in sostituzione del fragile fortilizio caduto senza difficoltà sotto i colpi fatali delle scimitarre della mezza luna (1480).
    Eppure negli antichi manieri, proprietà della collettività, oggi aperti al territorio e al pubblico di visitatori, si celebrano di norma, in ogni stagione dell’anno, periodiche manifestazioni culturali di vario genere: teatro, concerti, mostre d’arte, editoria, artigianato e antiquariato, convegni, congressi, tavole rotonde, incontri di studio e di lavoro con associazioni ed Enti, concorsi letterari, progetti culturali d’Istituti scolastici di ogni ordine e grado con vari forum monotematici multimediali.
    Per il restauro del castello angioino di Gallipoli da tempo sono giunti i fondi regionali ma soltanto pochi fortunati sanno in quale lotto sono stati dirottati e per fare che cosa e per chi. Mancano ancora le chiavi e nessuno può dire quale sarà il suo destino!
    La città attende di vederlo quanto prima aperto e fruibile in tutta la sua libertà, com’è stato prima dell’oscuramento causato dall’addossato mercato coperto. Indubbiamente è il più importante contenitore culturale ereditato dalla storia.
    Solo se restituito dal demanio alla città e liberato dalle infauste superfetazioni legittimate dall’utilizzo improprio che lo Stato ne ha fatto, potrebbe divenire un volano di sviluppo per un turismo culturale di eccezionale portata proiettato verso le più disparate attività: punto di riferimento per cittadini e forestieri, strumento di rivalutazione di tutto il borgo medievale per raccontarci il glorioso passato che resiste tuttora per insegnarci cosa fare nel presente e soprattutto cosa programmare per il futuro.
    Se poi, tra le altre opzioni progettuali da tempo in cantiere, si volesse pervicacemente insistere a “riqualificare” l’ex mercato coperto dando seguito ad un’idea inadeguata e solo dilatoria senza rendere più vivibile l’attigua piazza Imbriani, salotto di richiamo del centro storico, sarebbe un’altra opportunità persa per la “perla dello Ionio”.
    Ma perché possa restare davvero una perla a tutti gli effetti, vanno messe in sicurezza e rivalutate tutte le risorse culturali esistenti insieme con quelle naturalistiche e paesaggistiche di cui il nostro territorio si pregia. Un serio e attento amministratore non può non coniugare turismo, ambiente e cultura, essendo ormai tale connubio una necessità urgente e improrogabile.
    Un cambio di rotta e di mentalità è indispensabile per il decollo definitivo della “bella città”, che notoriamente non ha nulla da invidiare ad altre ma che viceversa è ingiustamente osteggiata e abbandonata al suo destino. Palese, difatti, è il suo graduale declino generato da varie impunite responsabilità, facilmente identificabili in precise inadempienze istituzionali, frutto dell’arroganza legittimata da una democrazia malata, ma pure falsata dall’assenteismo generale.  
    Senza andare assai lontano, la lezione di Otranto docet! Chiara la “morale”! Per il definitivo decollo della città ionica non c’è spazio per opportunisti, insipienti e irresponsabili, servi sciocchi e ballerini, avventurieri, acrobati e saltimbanchi della politica, gente effimera dal fiuto infallibile dietro al “vecchio che avanza” e che ritorna a dettar legge, sadico in “poltrona” con una regia occulta. Siano dunque all’erta, pronti a suggerire quanto è da fare con sollecitudine, almeno i benpensanti, oggi più che mai delusi e in eterna attesa.
    Tutto dipende ovviamente dalla buona politica, ossia dalla volontà non tanto di conoscere e interpretare, quanto di affrontare e risolvere i più elementari problemi che più ci assillano.
    Agli amministratori va ribadita la solita lagnanza con un accorato appello: l’urgenza di priorità improrogabili da perseguire senza perdere ulteriore tempo. Chi sceglie Gallipoli si aspetta realizzato un certo modo di vivere nel rispetto di una moderna civiltà fatta di ordine e pulizia ad ogni livello, a partire dal centro storico tuttora sacrificato, derelitto e vilipeso, prigioniero di assurdi, ingiustificati ritardi.
    È proprio questo il problema principe e resta ancora un sogno per chi con dolore e rammarico attende ansioso di ammirare i beni culturali finora impunemente trascurati, come il castello chiuso nel degrado e soffocato non si sa da quali oscuri misteri!
    Se si riuscirà a risolvere questo cruciale, atavico problema,  tutto il resto verrà di seguito come naturale conseguenza, ma solo se s’intende operare unicamente per il bene comune, con trasparenza e competenza, tenacia e integrità morale, facendo politica autentica, mai ricorrendo a strumenti inequivocabili di un mortificante imbarbarimento del teatrino della politica, deteriorata e declassata fino al qualunquismo trasversale e strisciante, orfana di dialogo, tolleranza, civiltà.
    Ma, se Gallipoli stenta ancora a decollare, la responsabilità morale appartiene agli stessi gallipolini, mai sagaci, svegli e liberi da umilianti ricatti o condizionamenti con cui purtroppo si crea maggioranza e governo di una democrazia piuttosto fragile. Un imperativo categorico deve guidare in futuro quanti, capaci, operosi e consapevoli dell’impegno civile, si sentono legati alle loro radici, allo “scoglio”, stanchi di sbirciare dalla finestra, disponibili non alla facile critica denigratoria, demolitrice, ma alla dialettica democratica, per  “riappropriarsi” con fierezza delle sorti della città da governare con onore e rispetto, non verbis sed rebus.
    Potranno pure essere, per indole, amanti del forestiero e del più danaroso protagonista fortunosamente alla ribalta, non senza tuttavia essere politicamente maturi e pronti a smascherare, denunciare e respingere i mercanti di voti e privilegi, sempre più spregiudicati in periodo elettorale nel costruirsi solide e facili “fortune”, mai domi e mai sazi di potere, figlio naturale del moderno dio dell’opulenza. Ma, a quanto pare, qui da noi il motto della politica resta ancora legato al venale “do ut des”, che tradotto vale tristemente: “Cci me tocca a mme?”.
    Personalmente stiamo lottando da soli e senza interessi privati, ma nell’indifferenza generale, per verificare i lavori che si stanno effettuando nell’ex mercato coperto e per riavere finalmente aperto il nostro castello, fruibile dalla collettività.
    Da tre mesi abbiamo presentato interrogazioni in Consiglio Comunale e abbiamo finanche chiesto una commissione congiunta Cultura-Urbanistica.
    Tutto vano e senza esito. Il potere ci irride e pensa ad altro.
    Alla fine ci presenterà il conto dei suoi risibili “atti concreti”!


Gino SCHIROSI