Colore e Quaresima

Il segreto del viola e il “movimento mauve” di metà Ottocento

Il tema del colore ha sempre avuto una particolare considerazione nel discorso artistico, assumendo un ruolo di primo piano nel dibattito sul rapporto tra arte e scienza. Ne è prova la vastissima produzione, a carattere più o meno trattatistico, in cui nell'arco di secoli sono stati impegnati artisti, scienziati, studiosi, educatori: da Cennino Cennini all'Alberti, passando per Newton e Boyle, Goethe e Munsell, Runge e Itten.
Il recente saggio del chimico inglese Philip Ball (Colore. Una biografia. Tra arte, storia e chimica, la bellezza e i misteri del mondo del colore, Milano, Bur, 2001), approfondendo un aspetto “materiale”, spesso trascurato dagli storici dell'arte, qual è quello della personale e “segreta” preparazione del colore da parte dei pittori dall'antichità e sino a qualche secolo fa, racconta le tappe fondamentali della storia dei colori, dai pigmenti minerali ai coloranti organici all'artificio dei prodotti della chimica, nell'intento di stabilire una relazione tra il grado di conoscenza che diversi pittori, nel corso della storia dell'arte, ebbero delle teorie cromatiche loro contemporanee e il loro agire artistico.
Ball descrive così la vicenda della “scoperta del colore” anche come il passaggio da pratiche del tutto artigianali, basate su antiche e tradizionali “ricette” per la lavorazione e trasformazione di materiali naturali nei pigmenti per la pittura (come la raccolta di suggerimenti tecnici per la produzione di colori contenuta nel “Papiro X”, un documento ritenuto opera di un artigiano egizio del III secolo d.C.), spesso molto vicine alle pratiche alchemiche medievali (nè va sottovalutata la forte componente simbolica, da sempre associata ad alcune tonalità), fino ai nuovi approcci scientifici attraverso i quali, grazie agli sviluppi della chimica, in epoca moderna, l'industria si è “appropriata” definitivamente del colore.
Affascinante, in un tale percorso, la trattazione dell'invenzione, o meglio della re-invenzione, del colore viola, che parte da quel giorno di Pasqua del 1856, quando lo scienziato inglese William Henry Perkin (allora di appena 18 anni), allievo di August Wilhelm Hofmann, cercò di ricavare del chinino, il principale farmaco antimalarico, dal catrame del carbone.
L'esperimento di ricerca del chinino sintetico fallì: invece di chinino, il giovanissimo scienziato produsse una polvere nera che diveniva viola se dissolta nell'alcool metilico. Figlio di un costruttore londinese, Perkin, ancora adolescente, aveva mostrato un vero talento per la chimica, sotto la guida di Thomas Hall al City of London College of Chemistry. Hall, antico discepolo di Hofmann, prese accordi per far accettare Perkin al Royal College of Chemistry nel 1853, quando il ragazzo aveva solo quindici anni. Hofmann gli assegnò il compito di produrre equivalenti dell'anilina (da anil, termine portoghese per indaco) da idrocarburi aromatici derivati dal catrame di carbone e Perkin installò un proprio laboratorio in casa dei genitori. Sperimentando, dunque, con quel colorante così ottenuto, scoprì che si trattava di un composto molto stabile che tingeva la seta di un color porpora, in grado di resistere alla luce per molto tempo. Non era certo la cura da lui sperata, ma si rivelò ugualmente un'invenzione in grado di rivoluzionare l'industria, la moda e i costumi.
Più precisamente, si trattò di una re-invenzione, dal momento che il colore viola esisteva già, dal tempo dei Fenici, quando la “porpora di Tiro” (dall'enorme valore e dall'ormai, oggi, leggendario nesso con la regalità e le alte cariche) suggeriva un concetto cromatico sfuggente e la stessa tintura andava dal bluastro a un rosso cupo, a seconda di come veniva preparata e fissata nel tessuto.
Il problema era che, da allora, quella tintura continuava ad essere creata praticamente allo stesso modo, con un processo complicato e poco piacevole, che richiedeva la bollitura di migliaia di molluschi per estrarne il muco dalle ghiandole o, in alternativa, la lavorazione di un cocktail a base di licheni, urina ed escrementi di pipistrello.
Nella Roma repubblicana questo colore magnifico era strettamente riservato ai personaggi di alto rango: un mantello porpora e oro poteva essere indossato solo dai generali di cui era stato decretato il trionfo, mentre al campo era loro concesso solo un mantello di semplice porpora. Ai senatori, ai consoli ed ai pretori era permesso ornare il bordo delle toghe con larghe bande purpuree, mentre strisce più strette distinguevano i cavalieri e le persone di pari rango. Scriveva Plinio: “... quel colore prezioso che splende della tonalità di una rosa scura ... Questa è la porpora cui fanno strada i fasci e le scuri romani. È l'emblema della nobile gioventù; distingue il senatore dal cavaliere; vi si fa ricorso per placare gli dei. Ravviva ogni indumento, condivide con l'oro la gloria del trionfo.
Per questi motivi dobbiamo perdonare la brama di porpora ...”. Nella Roma imperiale le regole erano ancor più severe: nel IV secolo d.C., solo l'imperatore poteva indossare “la vera porpora” ed erano comminate sanzioni a chi possedeva tessuti colorati con questa tintura “regale”, e perfino con imitazioni più economiche (il papiro di Stoccolma contiene tre ricette per tinture di finta porpora). Sotto Valentiniano, Teodosio e Arcadio, la produzione di porpora di Tiro era vietata, pena la morte, all'infuori delle manifatture imperiali.
Queste connotazioni regali rendevano pregiato il colore perfino quando non era legato alla tintura. Tessere di mosaico di materiale inorganico purpureo vennero usate per il manto dell'imperatore Giustiniano I nella chiesa di San Vitale a Ravenna, del VI secolo; nello stesso mosaico, quello dell'imperatrice Teodora è porpora bordato d'oro. In quest'epoca gli imperatori bizantini erano considerati rappresentanti di Cristo sulla terra ed era quindi naturale trasferire il colore regale allo stesso Gesù, che nei mosaici di San Vitale indossa infatti una veste porpora; questo nesso con il colore di Tiro contribuì a riconfermare nei secoli successivi l'uso del rosso, del cremisi e dell'oltremare purpureo per gli abiti del Cristo.
Ma il metodo, vecchio di secoli, per preparare la porpora andò perduto per il mondo occidentale quando Costantinopoli cadde nelle mani dei Turchi nel 1453. Nonostante i resoconti degli scrittori classici, restò un mistero per secoli, finché uno zoologo francese di nome Félix-Henri de Lacaze-Duthiers lo riscoprì nel 1856 (un anno, dunque, fortunato per il porpora): egli notò un pescatore del Mediterraneo usare un mollusco del genere Thais per marcare la propria camicia con un disegno giallo, che esposto al sole diventò porpora. Fu solo nel 1909, però, che il chimico austriaco P. Friedlander ricostruì la struttura chimica completa della molecola colorante, per scoprire che era quasi identica a quella dell'indaco.
Da quella Pasqua del 1856 diventò dunque possibile produrre il viola in laboratorio, rapidamente e in quantità industriale. Perkin ne inviò alcuni campioni in esame ai tintori scozzesi John Pullar & Sons, a Perth, e in quell'occasione gli fecero notare che il colore veniva eliminato dal candeggio e si dimostrarono dubbiosi e preoccupati del costo.
Il suo porpora all'anilina sembrava destinato a essere un prodotto ad alto valore aggiunto per la seta, non per lana e cotone. Contemporaneamente, in Francia, i fabbricanti di “porpora francese” avevano virtualmente il monopolio delle tinture di questo colore, che i tintori lionesi di seta volevano infrangere. Nel frattempo, il 26 agosto del 1856, Perkin depositò il brevetto per la produzione di un nuovo colorante per colorare di lilla o viola la seta, il cotone, la lana e altri materiali; brevetto che gli sarebbe stato concesso il 20 febbraio 1857.
L'annuncio della scoperta di Perkin da parte della Chemical Society di Londra nel marzo 1857 la lasciò esposta al pericolo di plagio nell'Europa continentale, dove non era coperta dai diritti di brevetto. Il tentativo di ottenere brevetti francesi fallì, e chimici sia francesi sia tedeschi cominciarono a fare esperimenti col porpora all'anilina. Entro la fine del 1858 veniva usato dai produttori francesi di calicò stampato, il che costrinse quelli britannici a ricredersi.
Nella sua fabbrica, ormai in piena attività a Greenford Green, vicino a Harrow, Perkin continuò ad affrontare i problemi tecnici inerenti la produzione e l'uso della tintura, e nel 1857 scoprì un procedimento di mordenzatura efficace per il cotone. In un primo tempo la tinta fu immessa sul mercato col nome di Tyrian purple (porpora di Tiro) e aniline purple (viola anilina), ma all’inizio del 1859 gli osservatori della moda del Regno Unito gli diedero un nome nuovo, più duraturo e più alla moda, e cioè il francese mauve (malva, dal nome della pianta), termine che, indicando inizialmente la “porpora francese”, assicurava una connessione del prodotto alla Francia, e quindi un collegamento al mondo della moda.
Già nel maggio 1857 John Pullar a Perth poteva annunciare a Perkin che era cominciata una “frenesia” per il suo nuovo colore, il quale negli anni seguenti (in particolare, in quelli a cavallo del 1860, noti come “decennio mauve”), quando soprattutto venne indicato con un nome più consono con la terminologia chimica (mauveine), sbaragliò i concorrenti, muresside e “porpora francese”, divenendo un grande successo commerciale.
Gli opinionisti conservatori disapprovarono la mania del mauve, decisamente pacchiana per gli standard dell'epoca (il periodico britannico Punch lamentò addirittura che Londra era afflitta dal morbo del malva), mentre altri furono più caritatevoli. Il giornale di Charles Dickens All the Year Round lodò, ad esempio, l'invenzione di Perkin nel settembre 1859: “Quando guardo fuori dalla finestra, l'apoteosi della porpora di Perkin sembra a portata di mano ... mani purpuree salutano da carrozze aperte ... mani purpuree si stringono a vicenda sulle porte delle case ... mani purpuree si minacciano dai lati opposti della via; abiti a strisce porpora affollano i calessi, gremiscono le carrozze di piazza, s'assiepano sui vapori, riempiono le stazioni ferroviarie: tutti volano verso la campagna, come altrettanti uccelli del paradiso porpora”.
Il viola, dunque, un colore che gli antichi romani usavano già come simbolo del potere imperiale, che la regina Vittoria indossò alla Royal Exhibition del 1862 (6 anni dopo l'invenzione del piccolo chimico londinese), presto imitata a Parigi dall'imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, e che oggi è diventato di rigore per vescovi, cardinali, pontefici (Giovanni Paolo II lo prediligeva), per re, pop star e stilisti di moda. Stabilita da George Washington nel 1782, la Purple Heart (Cuore Viola) rimane, inoltre, la più importante medaglia al valore Usa.
Il viola è poi uno dei colori chiave della medicina tradizionale indiana, in cui esprime centri di energia spirituale; e pure delle moderne terapie, dove rappresenta spirito d'intuizione, spiritualità e meditazione. È una colorazione insieme di attesa e di precognizione, e non casualmente viene utilizzato nella "http://it.wikipedia.org/wiki/Liturgia" Liturgia Cristiana per i paramenti liturgici usati durante il periodo dell' "http://it.wikipedia.org/wiki/Avvento" Avvento e della "http://it.wikipedia.org/wiki/Quaresima" Quaresima. In questo preciso periodo dell'anno (40 giorni prima di "http://it.wikipedia.org/wiki/Pasqua" Pasqua), nel "http://it.wikipedia.org/wiki/Medioevo" Medioevo, venivano vietati tutti i tipi di rappresentazioni "http://it.wikipedia.org/wiki/Teatro" teatrali e di spettacoli pubblici che si tenevano per le vie o le piazze delle città. Questo comportava per gli attori e per tutti coloro che vivevano di solo teatro notevoli disagi economici.
Non potendo lavorare, infatti, le compagnie teatrali non avevano guadagni e di conseguenza anche procurarsi il pane quotidiano era ardua impresa: per questo motivo in teatro e in televisione abiti e oggetti di colore viola sono stati considerati – almeno fino a qualche tempo fa – malauguranti, e, nei limiti del possibile, evitati.
Di certo comunque appaiono significative le parole pronunciate da Shug Avery, protagonista del romanzo di Alice Walker The color purple, premiato col Pulitzter e da cui Spielberg trasse un bel film: “Penso Dio s'arrabbi quando in un campo passiamo vicino a qualcosa di viola e non ce ne accorgiamo”.


Milena SABATO