Storia e Storie di Giacinto Urso

Un libro involontario

Giacinto Urso è l’autore di “Storia e Storie”, editore Capone, Lecce,  2006, un libro di riflessioni su politica e società che non è stato pensato come libro, ma come piacevole occasione di sciogliere enigmi, addestrare lo spirito , far diventare chiare le cose oscure , acchiappare al volo  un’intuizione , un pensiero veloce e fare  “clic” , premere l’interruttore e accendere la lampadina del nostro cervello , un libro insomma scritto per “pagine in moto”, da consumarsi in fretta , al bar insieme al cornetto e il cappuccino , o sugli autobus, tra una fermata e l’altra, negli uffici, tra una pratica e l’altra, o lungo un tragitto consueto ,  le pagine  di un quotidiano di Lecce che ospitava , in una rubrica “ad hoc” , la consueta riflessione settimanale dell’onorevole Urso , “un artigiano creatore – scrive Donato Valli nella presentazione - , inventore , poeta del lavoro , promotore della civiltà , pieno di forza spirituale  per il suo impegno di educatore , marito amoroso che crede nella famiglia , che ha fede nell’ecclesia e nella funzione esoterica e pedagogica delle istituzioni”.
Un libro non voluto , - possiamo dire quasi “estorto” dall’editore - fatto di momenti occasioni  frammenti cronache di specchi , che diventa  una sorta di favoloso excursus , o viaggio attraverso il sesso incognito della politica e della società del  nostro beneamato paese, o, se preferite, nelle sue architetture morali e sociali , con particolare riferimento al Salento, un  libro di panorami,  ventagli e di battiti d’ali  , ma che non ha niente di alato o di sfumato e indistinto , anzi è piuttosto definito e concreto , con richiami ai diritti doveri mazziniani e ai grandi valori perduti . Un libro che “rischia” di diventare  uno tra i  più belli, interessanti e significativi nel suo genere .E ciò per svariate ragioni. Intanto perché coglie alcuni aspetti peculiari dell’“io” dell’autore ,  che guarda , che parla e che scrive, alternando  descrizioni, opinioni, scatti, e ricordi individuali da un osservatorio privilegiato , quasi sempre direttamente dalla “foce” degli eventi,  ossia nel luogo dove si confondono le acque e si forma il risucchio con cui la politica sociale e di costume sbocca nella vita corrente delle persone , di quel fiume di “cittadini” sconosciuti   di cui lui , Giacinto Urso , è da molti anni il mitico “difensore” , da cittadino davvero esemplare . Fatti , opinioni , riflessioni che ha descritto , minuziosamente , con l’inchiostro della sua penna , con quella sua inimitabile calligrafia tonda , pulita, netta, cesellata , vagamente merlettata , arabizzante , da antico scriba  , fiero di esserlo, entusiasta e appassionato di ogni forma di cultura, aperto a qualsiasi idea , da qualunque parte provenga. Si può dire che ogni articolo, o quasi, sia un guado biografico di memorie sempre vive , fresche , limpide , ma anche flashes che illuminano un sentiero, un covo d’ombre, un tunnel di ricordi,  fotogrammi irrelati colti al volto in quella linea d’ombra conradiana , nel momento in cui  la vita ti chiama a prendere le tue irrevocabili decisioni , senza scappatoie. E Urso  , pur con tutte le cautele del caso  che gli suggerisce il suo ruolo di super partes , di capitano di lungo corso della politica locale e nazionale , non è uno che si sottrae. Sceglie  gli  obiettivi adatti alla sua “ripresa in diretta” , o descrive metaforicamente paesaggi e storie che esulano dalle scene della politica “tout court” , ma  fanno parte del suo ricco repertorio di personaggio che gronda umanità. 
Ne risultano così “pezzi” davvero speciali, 145 pezzi che si adeguano all’imprevisto e s’aggrappano alla saggezza dell’umiltà, riescono stilisticamente a mantenersi in rotta in quel punto mosso dove la conversazione sfocia nella scrittura.  Se è stanco , Urso dimentica la stanchezza, e scrive con mente lucida e piena di sapienza, ma anche – come accennato - con quel giovanile e appassionato entusiasmo di un autodidatta delle lettere , fiero e  orgoglioso di esserlo, che è un po’ la sua cifra stilistica e il suo distintivo, insieme a quella straordinaria freschezza ed energia  cui abbiamo accennato , nonostante abbia varcato la soglia degli ottant’anni , e a una luce musicale , che promana dalla sua scrittura .

Che nessun dorma

Da sessant’anni sulla breccia , Urso è ancora pronto a rimboccarsi le maniche , a dare il suo apporto in questi  tempi  difficili di  precariato senza fine , di ’”off limits” ai  giovani , soprattutto ai giovani meridionali , che ricominciano ad emigrare come facevano i loro avi cinquant’anni fa , questi giovani che avranno davanti a loro un futuro incerto e  un mondo  non sicuramente migliore di quello che hanno ereditato dai loro padri. 
In questa nostra epoca , fatta di due estremi che si toccano , una “banalità ininterrotta  e  il terrore che esplode inconcepibile per ogni dove” ,  Urso dice che bisogna stare attenti, occorre essere vigilanti. Che “nessun dorma”, insomma. Ma non ci saranno albe di vittorie per nessuno , se non decideremo , tutti insieme , di  lottare per un mondo più giusto, “dove venga riconosciuta la centralità della persona umana, offesa in mille modi…Solidarietà e responsabilità ,  e non profitto economico ad ogni costo. Coltivare l’ordinata devozione della giustizia e della pace (pag. 96) , quella pace  che è “una partita senza fischio finale”  , per cui si devono  sborsare , in contanti, “monete di lacrime , incomprensioni e sangue” , come ricorda e ammonisce il grande don Tonino Bello da Alessano , profeta della pace , che viene spesso citato nel libro , e non a caso, se pensiamo alle mille guerre che ci sono nel mondo , e alla crisi internazionale nel medio oriente proprio di questi nostri giorni pieni di orrore,  sangue e morti innocenti , ma ce ne è sempre una da qualche parte , di sporca guerra, in qualsiasi latitudine, per non parlare della distruzione, del massacro , dello scempio della natura, un altro stupido autolesionistico modo di fare la guerra a nostra “madre”. 
Del resto , Urso, gentiluomo di campagna, l’ha sempre saputo che il progresso avrebbe portato invasione e degrado. Cultore di poesia , ricorda sempre quell’emistichio  metastorico e sublime ( direi profetico) di Federico Garcia Lorca: “Muore anche il mare”, per dire che se moriva anche il mare , quel mare molto amato di Castro, di Tricase, di Andrano, di Diso , era davvero la fine di tutto.
Vissuto a pane e Costituzione fin da quando era ragazzo,  eccolo gridare ai quattro venti il suo SOS : “Salviamo  le istituzioni  dal suicidio collettivo”, istituzioni   che sono quelle preposte  al mantenimento dell’ordine , del corretto funzionamento e svolgimento delle cose e quindi , in ultima analisi, della pace  sociale e civile, che dovrebbe essere considerata “sacra”. Ma oggi “l’ultimo residuo della sacralità rimasto, - scrive , con  amara ironia – è  l’osso sacro della sforbiciata alla Parola , il resto è sconsacrazione continua celebrata da un popolo che preferisce la pantofola alla scarpa , il tepore casalingo all’impegno pubblico”   ( pag. 162). Conviene non scomodare parole che hanno perduto il loro valore e significato e volare bassi, terra terra, attenerci alla banale cronaca dei fatti. E oggi la cronaca serve per capire la storia  e registra ogni giorno, ogni momento , questo mondo di pataccari , di inventori di zangole , macchine per tagliare il burro, o di creatori del già creato, questo mondo di tutti scontenti e sfiduciati, in cui ciascuno vuole di più , in cui ciascuno fa sentire i propri lamenti, si va verso  una  deriva densa di pericoli con  i giorni neri , nerissimi delle borse  internazionali , lo sprofondamento finanziario di imprese mondiali caratterizzato da manovre truffaldine , da contabilità truccate e da garanzie fasulle. I cittadini avvertono che “gli stormi dei corvi come uccellacci maligni stanno succhiando , a mezzo di imbrogli e raggiri , i poveri uccellini dei risparmiatori  dati in pasto alla speculazione selvaggia. Tutta l’economia va a rotoli ma i governanti sono ottimisti  grazie ad una nuova classe dirigente  che è formata da  dilettanti allo sbaraglio
( pag.177)

Esploratore dell’anima umana

Quello di Urso – dice Adelmo Gaetani nell’introduzione, - è  stato un lavoro a tutto campo capace di percorrere i principali snodi dell’ultimo mezzo secolo di storia , attingendo ai ricordi e alla conoscenza diretta di tanti protagonisti della vita pubblica  internazionale, nazionale , e naturalmente salentina, di cui l’onorevole è stato ( ed è) un   simbolo vivente ed esemplare . Ma è stato un lavoro attento anche all’attualità, all’evoluzione della politica, della società e dei suoi costumi. La politica , arte nobile e difficile ,  “si fa con la testa , ma anche con il fondoschiena”, annota Urso. Detti, frasi , battute di spirito, aneddoti, aforismi, sempre con acutezza , asciuttezza e concretezza, autentiche pillole di saggezza  e di tolleranza a quanti vorranno arricchire coscienza e conoscenza. 
E’ un instancabile esploratore dell’anima umana – aggiunge Donato Valli - e delle contraddizioni della società , che cerca la verità nei fatti, nelle cose concrete, nella spinta al lavoro , al progresso , al buon senso, al non piangersi addosso, a non darsi mai vinti , ad assumere iniziative , ad osare di più,  ad inventarsi una vita propria ,  libera,  piena di nuovi fremiti di collera , ma anche di  speranze, e dire basta a ogni forma di  assistenzialismo ,  di lavoro nero , e di strisciante illegalità . Il suo è  un libro che  va al di là dei sogni e delle utopie,  ma non nega la speranza”.
Anzi, è pieno di speranze , affidate a gente comune  di periferia ,  gente onesta e laboriosa , piena di dignità e voglia di riscatto, in cerca di uno spazio , un futuro , uno spiraglio di luce in questa società aggrovigliata e  insensata , in questo   “terribile andazzo  che non promette nulla di buono e che sfregia e deturpa il tessuto democratico  e usura i valori  della vera politica” ( pag. 51). 
Di chi le colpe? ,  dei politici,   delle istituzioni, della società, della famiglia, di tutti. Giacinto Urso non risparmia nessuno e richiama l’insegnamento , la morale cristiana , la costante preghiera di don Tonino Bello, da lui conosciuto e molto amato : “Dai a questi miei amici e fratelli la forza di osare di più, la capacità di inventarsi , la gioia di prendere il largo, il fremito di speranze nuove, dai ad essi, Signore, la volontà decisa di rompere gli ormeggi per liberarsi da soggezioni antiche e nuove, la libertà è sempre una lacerazione. Non è dignitoso che , a furia di inchinarsi, si spezzino la schiena per chiedere un lavoro sicuro, non è giusto attendersi dall’alto le certezze del ventisette del mese, stimola in tutti, nei giovani in particolare, una creatività più fresca , una fantasia più liberante, e la gioia turbinosa dell’iniziativa, che li ponga al riparo da ogni prostituzione.”
Ecco che questo libro  “involontario”  di cronaca politica e sociale si fa storia e  diventa , appunto , “storia di storie “  , si  cristallizza nella memoria delle cose, degli oggetti, dei luoghi , delle immagini , e diviene una sorta di forma del tempo in cui viviamo , o abbiamo vissuto fino ad ieri ,  o continueremo a vivere nel domani, il  tempo della  “ banalità e del terrore , un tempo penultimo, una fine che non finisce di finire”, come diceva Susan Sontag , il  tempo  della “liquidazione” di Imre Kartsez,   in cui questo vecchio mondo sta cadendoci addosso con tutti i suoi feticci , obelischi ,  monumenti , altari , patria, famiglia , dovere , amicizia, ecc., antichi valori che crollano giorno dopo giorno, senza fine 

Il ritorno della tre province

Tutto ormai è  in “liquidazione”  , anche il rispetto della bellezza e della vita.  Campagne violentate, devastate , umiliate, sofferenti,  dissacrate, disperate, senza più difese , fiumi laghi e mari resi  cloache di  tutti i rifiuti industriali , tempo di cattedrali di “munnezza” che scaturiscono delle nostre attività insensate  e sommergono tutto  e tutti, case, strade, città , coscienze individuali e collettive. Oggi tutto  è banalità e , insieme, dramma,  terrore , non ci sono vie di mezzo.  E la gente ? , la gente accetta tutto, - dice Urso - con una passività da pollaio, purchè gli si diano quindici minuti di fama televisiva,  o soldi da spendere per comprare cose inutili . Questo tempo che non finisce mai  di finire è quello del   consumismo ,  - padre  e madre di tutte  le altre droghe  e di ogni guasto sociale , il kischt, la follia straripante  che tutto e tutti coinvolge , che diventa esigenza: “l’esigenza di fare denaro , ad ogni costo, ad ogni modo, sino a sfidare la illegalità”  (pag.72);  è anche il tempo delle  fole ,  come quella del  rilancio del centro (“El futuro està in centro” , dicono anche gli spagnoli) , o del Mezzogiorno terra promessa e Puglia uguale California . Bisogna finirla  con “gli  insulsi radicalismi, le smaccate sudditanze , gli  intrugli politici,  le immonde divisioni che riflettono solo convenienze personali di basso profilo”  ( pag. 14), bisogna finirla di  piangersi addosso . E’  necessario ritrovare  lo spirito giusto per  il ritorno alla tre province , ricreare  il Salento delle tre province  , quella Terra d’Otranto favolosa , smarrita dalla storia , dalle faide , dalle incomprensioni , dai diversi profili, dalle diverse strade  intraprese ( la spartana Taranto , che gravita verso Bari, col suo imponente ruolo industriale;  la Brindisi “testa di cervo” , anch’essa pesantemente industrializzata , antica rivale di Lecce , che si trova nella terra di mezzo, terra di nessuno;  e Lecce, terra madre, che si rinserra nei suoi confini estremi , nella sua beata solitudine elitaria e vagamente aristocratica ) . Bisogna ricreare  quel Salento che pur  vocato alla pace  e alla fratellanza  continua  a navigare in balia delle terribili contingenze  , quali sicurezza pubblica, mafia, disagio sociale , qualità della vita . Bisogna  rimboccarsi le maniche , attrezzarsi  con i criteri  “fai da te” , e fare corpo unico , camminare insieme , andare avanti insieme per contare di più  . Amici, da soli  non si va da nessuna parte , questo bisogna capirlo, dice Urso. E’ essenziale ricreare la realtà Salento, l’Università Salento ,  il valore “Salento” , terra impareggiabile e straordinaria , ma priva di una vera forza coesa, di una vera coscienza di se stessa , di una vera volontà politica unitaria che prescinda dal colore dei partiti. Non è più pensabile una Regione Salento , ma il ritorno alle tre province unite è indispensabile    per crescere in autorevolezza e decisione , e rinnovare un’antica nobile fraternità che fa parte del nostro Dna , del nostro essere stati crocevia di tutti i popoli, razze, religioni , destini , incontri e scontri, ma sempre e soltanto  come spettatori delle altrui volontà...E’ ora di prendere in mano il nostro destino e farci storia , abitare i nostri spazi  con mente ,cuore , volontà , fantasia, illuminarli della nostra umanità e della nostra fede , della nostra intelligenza  e cultura . E non considerarci più “figli di un dio minore”.
            
Augusto BENEMEGLIO