La tradizione costruttiva bizantina

OSSERVAZIONI SULLA CHIESA DI S. SALVATORE A SANARICA

Le osservazioni sulla icnografia (disegno della pianta) e sulla iconografia (decorazione pittorica) della chiesa di S. Salvatore a Sanarica suffragano l’ipotesi che essa sia stata il katholikon di un monastero di rito greco, come le chiese di San Salvatore e di San Mauro, oggi in territorio di Sannicola.
Icnograficamente la chiesa di S. Salvatore a Sanarica, infatti, è simile alle chiese dei due monasteri gallipolini: ha impianto basilicale, con tre navate terminanti in altrettante absidi estradossate. Nell’abside centrale si apriva una bifora (finestra a due arcate) e nelle due laterali una monofora. Le tre navate sono separate da archi leggermente acuti su pilastri, che hanno angoli probabilmente smussati nel XIV secolo. L’edificio ha dimensioni e modulo del paramento murario multipli del piede bizantino tardo, la muratura è costituita da conci squadrati di calcarenite locale, aventi altezze variabili da 21 a 24 centimetri, come quella di altri edifici salentini sicuramente esistenti nel XII secolo (S. PREVITERO, Osservazioni sulla metrologia antica e medievale nel Salento, in “Contributi”, 5, Roma 1998, pp. 97-102).
Nelle chiese di S. Mauro e S. Salvatore in territorio di Sannicola, come nella chiesa di Sanarica, gli archi che dividono le tre navate hanno luci diverse. Nelle tre chiesette l’arco che si apre in corrispondenza del presbiterio ha luce minore rispetto agli altri (è un semi arco nelle chiese gallipoline. Cfr. foto 3). L’uso di un’arcata presbiteriale di minor luce, nella divisione della chiesa in tre navate, potrebbe essere giustificata dalla sua funzione di ”porta di servizio” per il collegamento con il bema. Questo è evidente nella chiesa della Dormizione della Vergine a Zurtsa, nel Peloponneso, in cui le arcate della campata presbiteriale assumono le dimensioni di piccoli passaggi (G. DIMITROKALLIS, L’architettura bizantina nella Grecia settentrionale, in “L’arte bizantina in Grecia”, a cura di G. Dimitrokallis, A. Alpago Novello, Milano 1995, p. 91) lo stesso avveniva, forse, nella chiesa calabrese della Panaghia a Rossano Calabro, probabilmente, in origine, a tre navate (attribuita al sec. XII. Cfr.:D. MINUTO, S. VENOSO, Chiesette medievali calabresi a navata unica (studio icnografico e strutturale), Cosenza 1985, p. 53). Come la chiesa “basiliana” di S. Salvatore in territorio di Sannicola, anche la chiesa di Sanarica è provvista  di due accessi laterali collocati lungo la direzione sud ovest–nord est, ed uno di essi era in asse con un pilastro. Proprio quest’ingresso, con sopraluce, è stato sostituito, nella chiesa di S. Salvatore a Sanarica, con uno attiguo, in asse con l’arco. A destra dell’ingresso attuale si osservano tracce di decorazione pittorica che non suggeriscono la ricostruzione di un’immagine unitaria, ma sembrano appartenere a conci rimessi in opera casualmente (foto 2). Non potendo esaminare la muratura non possiamo dir nulla a proposito del motivo e della natura del rimontaggio.
A differenza delle due chiesette “basiliane” a noi geograficamente più vicine, la chiesa di Sanarica era in origine coperta da tetto a due falde, di cui si trova traccia nella muratura. Lungo il perimetro esterno della chiesa, infatti, alla quota di circa cm. 465, corre una stretta risega, che scompare in alcuni punti, in cui il ricorso successivo è collocato a filo. A partire dalla stessa quota, all’interno della chiesa, al di sopra dell’abside destra, si osservano dentelli di conci con andamento a spiovente, evidenziati nel corso dell’ultimo restauro. Sono le tracce di una copertura, che si impostava in corrispondenza della risega.
L’uso di archi acuti nella chiesa di Sanarica, come in quelle di S. Mauro e S. Salvatore presso Sannicola, è stato motivo di riflessione per gli studiosi. Il Venditti ha motivato la comparsa precoce di archi acuti nell’Italia meridionale accogliendo l’ipotesi, formulata dal Cecchelli, di un’influenza araba nell’architettura medievale dell’Italia meridionale. Associando la presenza di questi archi a quella delle semibotti rampanti, sia in Calabria (Mili, Itala, S. Severina), sia in Puglia, potrei anche avanzare l’ipotesi che, nell’Italia meridionale, la costruzione dell’arco acuto sia maturata attraverso un processo intuitivo ed esperienziale autonomo, del quale rimane traccia nelle volte laterali di S. Pietro di Crepacore e nell’incertezza costruttiva degli archi della chiesa di S. Marina a Muro, mentre altre testimonianze potrebbero essere state distrutte.
L’iconografia è stata studiata dalla Prof. M. Falla Castelfranchi (M. FALLA CASTELFRANCHI, Pittura monumentale bizantina in Puglia, Milano 1991, pp. 107-109), la quale ha evidenziato che la raffigurazione, nei sottarchi, di sole figure di monaci con il mantello ocra e le mani aperte davanti al petto, sia tipica dei monasteri italo-greci.  
La FallaCastelfranchi ha distinto, nellachiesa, quattro diverse “stagioni decorative”:
- la prima comprende le scene della vita di Cristo nella navata centrale ed i Santi monaci nei sottarchi e sui lati dei pilastri, affrescati nel sec. XI,
- alla seconda stagione, ovvero al XIII secolo, la studiosa attribuisce la figura di Cristo sul secondo pilastro a sinistra,
- alla terza fase la Trasfigurazione absidale;
- nel 1840, infine, fu eseguita l’ultima decorazione, che obliterò gli affreschi bizantini nella zona presbiteriale.

Simonetta PREVITERO