La poesia di Uccio Piro

Uno spettacolo che affascina e rapisce, come musica alo-penetrante     
La presentazione al pubblico del libro di Uccio Piro UNDE TE MARE, una raccolta di poesie dialettali, ha rappresentato un appuntamento al quale ci tenevo, chissà quanto, ad essere presente. Purtroppo, mi è stato impossibile partecipare per motivi di salute, oltre tutto sono stato il curatore grafico del volume.
Per me è stato un piacere e un onore dedicare parte del mio tempo libero alla sua impaginazione, pur con qualche peccato veniale di refuso.  L’ho fatto per la stima e l’amicizia fraterna che mi lega ad Uccio, l’ho fatto, oltretutto, per arricchire il mio bagaglio culturale, linguistico  dialettale.
In questi ultimi anni le pubblicazioni di poeti dialettali o presunti tali, si sono sprecate. Di auto-celebrazioni ce ne sono state anche troppe. Il volume UNDE TE MARE, la cui stampa la si deve, esclusivamente, alla magnanimità di Carlo COPPOLA (Niccolò Coppola S.r.l.) e di Francesco FONTO’ (Associazione Gallipoli Nostra), impreziosito dal commento critico del prof. Luigi SCORRANO,  va’ ad occupare un posto da molto tempo rimasto vuoto, affianco alle raccolte poetiche dei massimi poeti dialettali gallipolini dell’800 e del 900.
Il libro di Piro è arricchito, tra l’altro,  da numerosi riferimenti esplicativi che l’autore ha voluto inserire nelle note.   
Uccio Piro lo possiamo tranquillamente collocare nei primissimi posti tra i poeti contemporanei, se non addirittura al primo ed appartiene alla ristretta schiera degli aedi. Egli nelle sue poesie esprime il valore etico, affettivo, viscerale e vitale del mondo che lo circonda, avvalendosi della forza incontenibile della lingua dei nostri padri. E lo fa con ironia, con la satira, con passione, con fede, con ilarità, con drammaticità, con allegria, a volte con l’arte canzonatoria.
Piro per le sue composizioni usa anche l’italiano ma è sicuramente la lingua dialettale che ama di più ed è per questo che paventa il rischio che questo patrimonio culturale vada disperso. Nella prefazione del suo libro, infatti, così conclude:
“Nel momento in cui il dialetto sta scivolando via dal nostro dire quotidiano, sembra anacronistico dare alle stampe una pubblicazione dialettale. Però, se non leggiamo solo per diletto, se non leggiamo solo per curiosità, possiamo, scavando tra questi versi, trovare, forse, quel qualcosa che ancora ci appartiene e ci identifica, perché il nostro patrimonio culturale non può essere così facilmente vanificato o fatto cadere su un distinguo linguistico e letterario”
Ignazio Buttitta, il massimo poeta dialettale siculo contemporaneo, scomparso da qualche anno, esprime chiaramente, a proposito del dialetto, quale valore si deve assegnare a questa lingua.

Un populu
mittitilu an catina
spugghiatilu
attuppatici a vucca,
è ancora libiru.

Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavola unni mancia
u lettu unni dormi
è ancora riccu.

Un populu,
diventa poviru e servu,
quannu ci arrobbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempi.

Giuseppe Lombardo Radice, riconosceva al dialetto una funzione propedeutica all’apprendimento della lingua italiana, Benedetto Croce considerava il dialetto “il monumento parlato del buon senso”. Il dialetto aiuta a ricostruire la storia, la tradizione ed il folklore sia regionale che locale. Perché negare dunque la valenza espressiva, affettiva, tradizionale e culturale del dialetto?
Questa è una lingua che può affascinare i giovani se convenientemente studiata ed usata. E’ errato considerare il dialetto un elemento inquinante della lingua italiana.
Anche se da un po’ di tempo a questa parte esiste il malvezzo di inquinare il dialetto con idiomi che non sono altro che la traduzione letteraria dall’italiano .
In questo modo non si tramanda nulla. Anzi non si fa altro che disperdere quel poco di memoria che a denti stretti si cerca di proteggere e conservare. Noi gente di mare, possiamo e dobbiamo attingere alla nostra cultura.
Dentro di noi c’è un mondo che consente di capire la vera storia del nostro popolo; una storia di fatiche e stenti, di sacrifici e rinunce ma anche di valori etici ben radicati, di tradizioni, di riti.
Per fortuna non mancano i cantori locali, che genuinamente esprimono in dialetto i moti dell’anima.
Uccio Piro è uno di questi. Egli fa parte dei puristi linguistici, unitamente al compianto Emilio Passeri.  Nei suoi componimenti traspare, in tutta la sua bellezza e musicalità l’idioma gallipolino, tramandato a noi dai nostri padri.
Il dialetto gallipolino trae le sue origini da una enormità di vocaboli stranieri, ciò dovuto alle molteplici dominazioni e ai vari rapporti con popoli ed eserciti stranieri che hanno lasciato i segni nella nostra lingua.
Non è facile parlare del poeta Piro, si rischierebbe di essere superficiali. Il suo mondo poetico è un diamante con mille sfaccettature luminosissime. Espressioni, sfumature, musicalità del verso, pathos, sensibilità si fondono per dar luogo ad una sonata o ad un dipinto policromo. 
Le sue produzioni poetiche sono entrate nel mondo della scuola grazie alla sensibilità e all’attenzione su iniziativa personale degli insegnanti.
Forse è arrivato il momento che il dialetto a scuola entri dalla porta principale. L’ideale sarebbe che l’insegnamento della lingua dialettale procedesse di pari passo in maniera parallela con l’italiano. Le lezioni dovrebbero essere improntate sul confronto tra quello che accade nella lingua italiana e le inflessioni dialettali delle parole, la coniugazione dei verbi, le frasi idiomatiche, e tante altre regole di cui il vernacolo è ricco. Un metodo che di certo non penalizzerebbe, in alcun modo, gli alunni appartenenti a famiglie di classi sociali più elevate ed evolute. Essi al contrario si arricchirebbero di vocaboli ed espressioni popolari fino ad ora sconosciuti e pian piano imparerebbero a distinguere la differenza tra i due codici: l’uno, come portatore del “pensato” e il dialetto quale portatore del “sentito”. 
Uccio non è solo un poeta. E’ anche un commediografo. Già nel 1975 con la commedia LABBIGGIATA (due atti drammatici con musiche originali del prof. Bruno Giordano) seppe liberare il teatro dialettale gallipolino da quelle che erano, fino a quel momento le incrostature sedimentate  del teatro oratoriale e proiettarlo verso  un nuovo modo di fare teatro.
Lui ama definirsi un grafomane e ripetutamente dice che scrive per se stesso e non per gli altri. E’ vero: i suoi componimenti poetici spesso sono lunghi ma non per questo noiosi. Gente Caddipulina, che è il suo lavoro poetico più ampio, è una testimonianza di Fede, di intensa e drammatica liricità, è una ammissione di appartenenza e dichiarazione di amore per la propria terra e per i valori morali dei suoi abitanti
Uccio rappresenta, per gli addetti ai lavori, un punto di riferimento. Sempre prodigo di consigli, al tempo stesso è da considerare una delle poche memorie storiche esistenti a Gallipoli. Fino ad oggi, forse, non ha ricevuto, da chi si è avvicendato nel governo della città, quello che avrebbe meritato. E cioè una maggiore gratitudine e considerazione Eppure lui canta con trasporto e passione, affetto e semplicità vizi e virtù della 

Gente gaddipulina, anime care!
Quiddu ca nc’è alla ucca nc’è allu core.
Gente de fede spassiunata e viva
occhi chini de cielu,
gente ca nu sparte mai palore 

E comunque…..buona lettura a tutti con UNDE TE MARE!!!

Cosimo PERRONE