Frantoio ipogeo

Il frantoio Rocci-Cesaroli di Alezio

Premessa

Quando si parla di attivitą produttiva e di lavoro del passato entra in gioco l'archeologia industriale; binomio di due parole che sembrano messe insieme quasi in antitesi: "archeologia", per associazione di idee, rimanda a qualcosa di antico, di vecchio; "industriale", invece, fa pensare al nostro tempo, alla modernitą, alle fabbriche.
Essa studia i processi produttivi, gli oggetti, i manufatti, gli edifici e i siti interessati dal fenomeno della rivoluzione industriale ed il lasso di tempo che si prende in considerazione va dall'inizio del XVIII secolo fino alla metą del XX secolo.
Tuttavia, superando le speculazioni relative alle definizioni, l'archeologia industriale Ė una disciplina che ci consente di guardarci intorno, di farci vedere con occhi diversi quello che per altri potrebbe essere solo un semplice rudere, ci fornisce gli strumenti culturali, la sensibilitą e la capacitą di leggere il territorio, ci insegna a riflettere sul significato intimo del nostro retaggio storico e culturale.
Volgendo lo sguardo tutto intorno ci rendiamo conto che il paesaggio circostante, quello salentino, Ė costellato di esempi di archeologia industriale, di testimonianze della storia del lavoro e della fatica dell'uomo; ecco infatti i frantoi, gli stabilimenti vinicoli, i pastifici, le manifatture del tabacco, ma anche le cave di tufo e di bauxite, i porti, i fari, i cantieri nautici, gli arsenali e tanto ancora.
Come possiamo notare tali elementi sono strettamente legati al territorio ed alle sue peculiaritą, ma sopratutto al tipo di materie prime da sfruttare e trasformare, che per il comprensorio della Terra d'Otranto sono state da sempre quelle agricole, specialmente (dal secolo XVII) l'olio d'oliva lampante. Non desta meraviglia, quindi, che i resti "materiali" degli opifici (manufatti edilizi e relative strutture architettoniche) pi˘ emblematici del fenomeno industriale sul territorio salentino, siano i frantoi per la produzione dell'olio d'oliva.
La diffusione di queste strutture nell'area risulta certamente molto capillare, tanto da indurre la considerazione che possa trattarsi di esempi ordinari caratterizzati da modeste valenze storiche, ma proprio il gran numero e la loro omogenea diffusione sono la testimonianza storica pi˘ importante del fenomeno produttivo e commerciale che nei secoli XVII, XVIII e XVIX  proiettŚ la Terra d'Otranto ed il porto di Gallipoli su prestigiosi scenari internazionali.
Tali strutture produttive, variamente connotate, si possono ricondurre essenzialmente a tre tipologie d'impianto:
-  ipogeo, struttura pi˘ arcaica scavata interamente nel sottosuolo;
- semi ipogeo, struttura meno diffusa parzialmente scavata nella roccia, con copertura in muratura esterna, realizzata essenzialmente a partire dagli inizi del secolo XIX, sulla spinta delle innovazioni illuministe introdotte dal Murat nel regno di Napoli, poi recepite (dopo la Restaurazione) dai Codici Borbonici del 1819 che, tra le altre norme, conteneva una legge che pose fine alla costruzione di frantoi ipogei;
-  fuori terra, che costituisce la soluzione architettonica moderna.
Riferendosi alle tre suddette tipologie d'impianto, al fine di proporre ai lettori un esempio di struttura produttiva storica, si  Ė scelto di porre in evidenza le rilevanze relative al frantoio semi ipogeo Rocci-Cesaroli, sito nel comune di Alezio, sia per gli aspetti di razionalizzazione dell'organizzazione produttiva sia per le soluzioni architettoniche di elevato interesse.

Il frantoio Rocci-Cesaroli di Alezio (fig.1)

Dalle ricerche storiche, per il momento, non sono emersi dati certi circa la costruzione dell'opificio, ma le caratteristiche intrinseche del manufatto collocano la datazione della struttura in un periodo non anteriore ai primi anni dell'800.

Inizialmente la proprietą dovette essere ecclesiastica, sicuramente appartenente alle pertinenze della vicina chiesa della Lizza, come farebbe supporre un collegamento ancora esistente che dalle strutture abitative annesse all'opificio conduce direttamente al piazzale antistante la chiesa e come si evince  dal Catasto dei terreni del comune di Alezio che elenca nell'anno 1865, tra i trappeti del territorio aletino, anche quello con impianto alla genovese della Mensa Vescovile di Gallipoli situato in contrada Lizza.
Quasi contemporaneamente, al seguito delle leggi sullo scioglimento del patrimonio ecclesiastico promulgate dopo l'unitą d'Italia, la proprietą del frantoio passa alla famiglia Rocci Cesaroli.
Questa antica famiglia si insedia a Gallipoli a seguito degli Aragonesi quando a don Sancio Roccio da Gaeta (ma di origini spagnole) venne affidato l'incarico di "castellano" nel periodo dal 1496 al 1505 (1).
Furono quelli anni travagliati per i sovrani Aragonesi ormai prossimi al definitivo declino della loro dinastia.
Infatti, nei primi mesi del 1495, Carlo VIII aveva preso a rivendicare diritti sulle terre ed i porti meridionali dell'antico Regno angioino, aiutato dalle numerose divisioni interne e da una forte opposizione ai sovrani aragonesi messa in atto dai baroni filo-angioini.
La trionfale marcia dell'esercito francese si concluse con la conquista di Napoli il 22 febbraio 1495 e con la resa senza combattere delle cittą e dei feudatari del vecchio regno, che in tal modo speravano di liberarsi dall'oppressione e dall' aviditą dei vecchi sovrani.  
Solo le cittą demaniali di Gallipoli e Brindisi rimasero fedeli agli Aragonesi e resistettero stoicamente all'assedio delle truppe francesi.
Sconfitto Carlo VIII nella battaglia di Fornovo (6 luglio 1495) ad opera della lega antifrancese (sostenuta dalle Case regnanti degli Asburgo e di Spagna con la benedizione del papa Alessandro VI), seguĻ un breve periodo di restaurazione del vecchio regime che declinŚ definitivamente a seguito del trattato di Granada (2 novembre del 1500). L'accordo, consumato sopra le teste dei deboli Aragonesi, prevedeva la spartizione del vecchio regno tra francesi (re Luigi XII) e spagnoli (re Ferdinando il Cattolico); secondo i patti stipulati, i francesi si mossero per occupare Napoli mentre gli spagnoli, al comando di Consalvo di Cordova, assalirono il Meridione (2).
Ed Ė in questo contesto storico che incontriamo il nostro don Sancio Roccio, castellano di Gallipoli. Consalvo di Cordova cinse d'assedio la cittą di Gallipoli (che nel frattempo era rimasta fedele agli Aragonesi) nel settembre del 1501 e, constatandone la ostinata resistenza, fece pressioni sul castellano per ottenere la resa della piazzaforte senza combattere; cosa che avvenne nel novembre dello stesso anno e che determinŚ anche la resa della cittą, privata della protezione del castello(3)..
Il Condottiero spagnolo ricompensŚ magnanimamente don Sancio Roccio, lo appella "nobilem et egregium virum", gli concede la nomina a castellano della cittą di Lecce a vita, regalie varie ed una pensione vitalizia di 150 ducati a carico della stato, reversibile agli eredi del ramo primogenito(3).
Il Roccio ebbe poi tre figli: Pietro, Domenico e Rajmo; dal primogenito Pietro derivano gli ultimi Rocci Cesaroli di Gallipoli.
Lo stemma araldico della famiglia (fig. 2) rappresenta in campo azzurro un albero di ciliegio che fa riferimento all'antico cognome (Cerasoli) contornato dalle lettere MV a sinistra ed SL a destra; esse sono l'acronimo della frase "Modeste Sumpta Viscerit Linpha" ossia " La Modestia la rese illustre".
                                                                   
Ritornando al frantoio in Alezio, questo nel 1940 era ancora proprietą della famiglia Rocci Cesaroli e precisamente del sig. Francesco Rocci Cesaroli, come attestano le mappe catastali storiche.
Fu utilizzato come trappeto per la produzione di olio sia lampante sia commestibile dalla sua realizzazione sino al terzo decennio del '900; poi, dopo un lungo periodo di non utilizzo, fu parzialmente impiegato come essiccatoio per il tabacco e, dagli anni 60 sino agli anni 90 del '900, come stalla ed ovile, quindi, sino ad oggi, praticamente completamente abbandonato e ridotto a discarica.
L'edificio č facilmente raggiungibile dall'attuale circonvallazione Rocci-Perrella (ingresso principale) e da via Sotto la Lizza (ingresso secondario).
Esso presenta un impianto planimetrico regolare, sviluppato su pi˘ livelli e comprendente un seminterrato, un piano rialzato, un primo piano ed un secondo piano, basato su un'area di superficie  pari a circa 900 mq.
Si entra alla struttura tramite un grande portale (fig. 3) che immette in un ampio cortile (fig.4) dal quale si puŚ accedere sia al frantoio attraverso un corridoio con volta a maltrotta sia a dei vani (due

per fianco) sviluppati simmetricamente ai lati del corridoio, probabilmente utilizzati come alloggi.
Il piano seminterrato, quello del frantoio vero e proprio, ha forma a staffa di cavallo, con i lati corti orientati a ponente, verso la strada principale. 
La base planimetrica del frantoio Ė scavata direttamente nella roccia tufacea che nel sito presenta un andamento degradante.
La profonditą di scavo varia approssimativamente da circa 1 metro del versante strada principale ai circa 3,5 metri del versante opposto ove sono collocati i torchi.
Le murature laterali del seminterrato sono completate poi, per l'altezza voluta,  con conci di tufo probabilmente cavati sul posto; sulle quali si aprono finestre di forma ellittica distribuite in modo simmetrico (fig. 5), due sul fronte della strada principale ad illuminare direttamente i due bracci corti dell'impianto (dove si trovano collocate le macine), ed altre due collocate ai lati del braccio centrale (dove si trovano i torchi).

La copertura del tappeto, ancora con l'intonacatura interna pressochČ integra ed originale, risulta realizzata con volta a botte di notevoli dimensioni, caratterizzata dagli innesti a spigolo nelle due zone di congiunzione con le volte a botte dei bracci laterali. 
Entrando nel seminterrato dall'ingresso principale (circonvallazione Rocci-Perrella), si scopre frontalmente (fig. 6) l'imponente fila di 16 torchi alla genovese direttamente scavati nella roccia tufacea, ognuno corredato dal relativo pozzetto di raccolta dell'olio (pozzo dell'angelo).

Le prime tre colonne di spremitura partendo da sinistra conservano in sito le madrevite di legno.
Volgendo lo sguardo a destra, si notano altri due torchi alla genovese (posti sul lato perimetrale di destra) e l'ampio spazio di raccordo con l'area di molitura a destra, che conserva l'impianto di due vasche di molitura (fig. 7 e 8).

Volgendo lo sguardo a sinistra, simmetricamente al lato destro, si vedono ulteriori due torchi alla genovese (posti sul lato perimetrale di sinistra) e l'ampio spazio di raccordo con l'area di molitura a sinistra, che presenta anch'essa le tracce dell'impianto di altre due vasche di molitura(fig. 9) e l'imboccatura di un pozzo per lo smaltimento delle acque di molitura (santinaro) .
 
Sul lato opposto alla ubicazione dei torchi (fig.10) si trovano le aperture quadrate di alcune sciave (depositi delle olive in attesa della molitura) che presentano la caratteristica apertura sulla volta (tipo a botte) con funzione di foro di immissione delle olive.

Adiacenti e comunicanti con il braccio destro del frantoi, si trovano il vano stalla per gli animali adoperati per la movimentazione delle macine ed, attraverso la stalla stessa, un disimpegno per un ingresso di servizio del frantoio comunicante con la strada  ora circonvallazione Rocci-Perrella.
Sempre sul lato destro dell'opificio (fig. 11) si nota la presenza di un pozzo per l'acqua e dell'abbeveratoio delle bestie; questo ultimo risulta collegato al pozzo mediante canalizzazione ricavata direttamente nella parete di roccia tufacea.

Le aree di molitura destra e sinistra sono poi collegate da un corridoi ai cui lati si trovano ubicate rispettivamente le partizioni di altre sciave ed il dormitorio per i frantoiani, corredato questo da due cammini per il fuoco (fig.12) ed illuminato direttamente da piccole finestre ovali che guardano nel cortile interno dell'ingresso principale. 
Il primo piano (fig.13), interamente occupato dalle sciave (cubicoli delle dimensioni utili approssimative di metri 2,80-2,20 per metri 1,80-1,60,) Ė totalmente attrezzato per il deposito delle olive.

Questo piano Ė caratterizzato da un lungo corridoio con andamento ad E, con copertura a botte, interamente intonacato e pavimentato con battuto di calce, sui cui lati si affacciano le aperture quadrate delle sciave (fig. 14).  L'area di accesso al piano Ė attrezzata, nelle immediate vicinanze delle scale e su entrambi i lati, di due aperture rialzate comunicanti con altrettanti pozzi gettitoie per le ulive, collegati verticalmente con il seminterrato del frantoio.
Il corridoio del piano occupato dalle schiave risulta poi illuminato ed arieggiato direttamente da due finestra poste agli estremi del lato lungo del corridoio.
   Fig. 14
Il lato corto di sinistra del corridoio, attraverso una apertura priva apparentemente di infisso, sbocca su un piano terrazza, finito in battuto di calce; il lato corto di destra del corridoio porta invece ad alcuni vani ad uso abitativo.
Esiste poi un collegamento decentrato tra il corridoio delle sciave con la parte retrostante del complesso, che porta verso l'ingresso secondario di via Sotto la Lizza, frutto di probabile successiva modifica, .
Attraverso il vano scala si raggiunge infine il suggestivo secondo piano (fig. 15), utilizzato certamente come area di consegna delle olive, realizzato a due navate con colonnato centrale che sorregge i pilastri delle volte a stella (fig. 16 e 17).

Sul pavimento del secondo piano, realizzato in battuto di calce, si notano le imboccature delle sciave sottostanti e le aperture di due pozzetti-gettitoie, situate ai lati della porta sul vano scala, collegati verticalmente con il primo piano ed, attraverso esso, con il frantoio seminterrato (fig. 18 e 19).

Il secondo piano, inoltre, risulta comunicante con il corpo di fabbrica adiacente attraverso una porticina, probabilmente realizzata in tempi successivi, che collega locali ed aree pertinenti con l'ingresso secondario di via Sotto la Lizza.
L'opificio, infine, risulta dotato di un efficace sistema di circolazione d'aria che assicurava al trappeto stabili condizioni ambientali (fig. 20)

Conclusioni
L'impressione generale che se ne ricava Ė quella di trovarsi davanti ad un esempio di opificio realizzato sulla spinta delle innovazioni illuministiche che si affermarono in Italia nei primi anni del secolo XIX e che contribuirono a modificare anche i tradizionali metodi di produzione dell'olio.
La struttura molto razionale e dedicata all'alta produttivitą, sul piano costruttivo, Ė connotata da una certa ricercatezza e precisione delle soluzioni architettoniche che conferiscono all'insieme un certo pregio.
Considerando, infine, che un edificio o un sito industriale non Ė solo un involucro esterno, ma anche un volume interno ove sono stati contenuti componenti sia "materiali", come oggetti, macchinari, e manufatti sia "immateriali" come i processi produttivi e le condizioni di lavoro dell'uomo,  si auspica un recupero oculato e responsabile, nel rispetto di tutti gli elementi originari e del rapporto tra questi ed il contesto territoriale.

Nota (1) da "Il Castello di Gallipoli" di E. VERNOLE - Elenco dei castellani; pubblicato col concorso e sotto l'egida dell'Istituto di Architettura Militare, Museo del Genio n Castel Sant'Angelo, Roma 1933
Nota  (2)  da "Gallipoli nel Regno di Napoli - dai Normanni all'Unitą d'Italia" di F. Natali, pag. 108 tomo Primo; Mario Congedo Editore n Galatina 2007
Nota (3) da "Il Castello di Gallipoli" di E. VERNOLE - pag. 114-116; pubblicato col concorso e sotto l'egida dell'Istituto di Architettura Militare, Museo del Genio n Castel Sant'Angelo, Roma 1933
Le planimetrie a corredo dell'articolo sono state concesse dall'attuale proprietą, la societą "L'Araba
Fenice s.r.l.; che si ringrazia; le foto sono invece di proprietą dell'autrice.                

Caterina MINERVA