Astronomia, astrologia, religione, censura

Il caso Galilei e la “carta del cielo”

Nel 2009, a quattrocento anni dalla nascita dell'astronomia moderna, da quel 1609, cioè, in cui Galileo Galilei rivoluzionò la visione del cosmo, “la Chiesa desidera onorare la figura di Galileo, geniale innovatore e figlio della Chiesa. I tempi sono ormai maturi per una nuova considerazione della figura di Galileo e dell’intero Caso Galilei”: è quanto si legge in una nota diffusa dalla Sala stampa vaticana, in occasione della presentazione delle iniziative promosse dalla Santa Sede per l’anno dell’astronomia, tra cui il convegno internazionale sul grande scienziato, che si terrà a Firenze dal 26 al 30 maggio. L’Anno dell’Astronomia rappresenta per la Santa Sede una “importante occasione di approfondimento e di dialogo”, anche e soprattutto nei confronti di Galileo, a cui si riconosce di aver “aperto per l’umanità un mondo finora poco sconosciuto, allargando i confini della nostra conoscenza e costringendoci a rileggere il libro della natura sotto una nuova luce”. La nota della Santa Sede ripercorre anche tutti i passaggi del Caso Galileo: “Già il Concilio Vaticano II, in esplicito riferimento a Galileo, aveva deplorato ‘certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza’. Posteriormente, Giovanni Paolo II istituì nel 1981 una Commissione per riesaminare a fondo il Caso Galileo e rimuovere gli ostacoli che questo caso poneva per un sereno confronto tra la scienza e la fede. La Commissione, guidata nella sua ultima tappa dal cardinale Paul Poupard, ebbe il coraggio di riconoscere gli errori dei giudici di Galileo, i quali, ‘incapaci di dissociare la fede da una cosmologia millenaria, credettero, indubbiamente a torto, che l’accettazione della rivoluzione copernicana, peraltro non ancora definitivamente provata, fosse di natura tale da far vacillare la tradizione cattolica e che, pertanto, fosse loro dovere proibirne l’insegnamento’. Questo ‘errore soggettivo di giudizio’, a causa del quale Galileo ebbe molto a soffrire, fu riconosciuto senza mezzi termini nella Seduta pubblica davanti al Corpo diplomatico e ai membri della Pontificia accademia delle scienze. Oggi, in un clima più sereno, possiamo finalmente guardare alla figura di Galileo e riconoscervi il credente che tentò, nel contesto del suo tempo, di conciliare i risultati delle sue ricerche scientifiche con i contenuti della fede cristiana”.
Del resto, la condanna, nel 1616, del De revolutionibus orbium celestium di Copernico, che colpiva l'intera dottrina eliocentrica ritenuta “assurda” e “formalmente eretica”, contraddittoria rispetto alle Scritture, aveva già allora creato qualche stupore, dato che – come ironizzava Paolo Sarpi – veniva bandita una teoria in base alla quale Gregorio XIII aveva riformato il calendario. Ma la condanna arrivava dopo che la Lettera sopra l'opinione de' pitagorici e del Copernico (Napoli, 1615) del carmelitano Paolo Antonio Foscarini, intervenendo a favore dell'eliocentrismo, aveva richiamato l'attenzione su una teoria dalle enormi implicazioni e ricadute sulla tradizione. E il decreto di proibizione a Copernico, pur non menzionando Galileo (il quale, aveva già pubblicato, nel 1610, il Sidereus Nuncius, immediatamente oggetto di osservazioni e di critiche da parte dei teologi), era anche un preciso per quanto indiretto avvertimento a lui e al mondo scientifico in genere, concretizzatosi poi con il processo inquisitoriale contro lo scienziato nel 1633.
Ma altrettanta attenzione la Chiesa aveva da sempre riservato anche verso l'astrologia, scienza alla quale Galileo non fu certamente estraneo, ed a cui intendo dedicare la gran parte di questo mio intervento, per l'interesse (in positivo o in negativo) che essa suscita ad ogni nuovo inizio d'anno. In effetti, la persecuzione delle arti divinatorie e, in particolare, dell'astrologia, già in qualche modo intrapresa in epoca romana, era stata piuttosto precoce anche nell'era cristiana, nonostante alcuni autori (come Ruggero Bacone o Raimondo Lullo) avessero cercato di dimostrare come quest'ultima, soprattutto, fosse compatibile col cristianesimo. Contro l'astrologia la chiesa intervenne ufficialmente a varie riprese, condannandola con Onorio III nel 1225, Giovanni XXII nel 1326 e Innocenzo VIII nel 1485, solo per citare gli interventi più decisi. Con la diffusione della stampa, il problema fu amplificato, dando avvio ad una dura lotta nei confronti dei libri astrologici, i quali, nonostante gli attacchi portati, al tempo della Riforma, da Lutero e da filosofi come Pico della Mirandola, e successivamente da scienziati come Cartesio o Pascal, godettero subito di ampia fortuna e continuarono a circolare (meno nei paesi di religione cristiana), fino ai tempi moderni.
Un genere letterario, quello dei libri di astrologia, assai complesso fin dall'antichità, quando questa scienza nacque nella sua formulazione teorica, sia per il suo carattere ambiguo e controverso, sia per la tradizione scritturale, la quale, poco nota e sommersa nel corso dei secoli, venne consolidata nei libri degli astrologi arabi, ebraici e latini medievali e poi, in parte (ma certamente non la maggiore), portata alla luce, sul finire del secolo XV, con l'invenzione della stampa.
Filosofi come Aristotele e Posidonio di Apamea (maestro di Cicerone) svilupparono una teoria dell'influenza dei moti dei corpi celesti sulle vicende terrene, individuali ed universali (le nascite degli uomini, il sorgere delle grandi religioni e degli imperi, ecc.), fondando quest'idea sulla dottrina della simpatia o della corrispondenza tra cielo e terra. Ma a giustificare l'inserimento dell'astrologia come scienza pratica che concerne l'influenza celeste nell'astronomia o teoria dei moti di tutti i corpi, fu il grande astronomo e matematico Claudio Tolomeo, il quale, nel prologo ai tredici libri del suo Almagesto e nei quattro libri del fondamentale Tetrabiblos o Quadripartito (la cui invenzione è stata però attribuita dalla leggenda al mitico Ermete Trismegisto) divulgò la dottrina della totale corrispondenza tra astrologia ed astronomia, come del resto fece tutta la tradizione astronomico-astrologica successiva, fino a Galileo Galilei. Furono gli astrologi arabi non solo a commentare i fondamenti dell'astrologia tolemaica, ma anche a rielaborarla e riordinarla in forma originale, insieme a numerosi ed importanti dotti ebrei e astrologi latini a partire dal IX secolo fino alla fine del secolo XVI. Il Quadripartito Tolomeo fu poi ritradotto ed integralmente edito, in ambiente protestante, da Filippo Melantone nel 1553, mentre nello stesso periodo fiorirono in Italia commenti importantissimi come l'esposizione di Girolamo Cardano (Basilea, 1554).
Il più importante libro di astrologia latino-medievale è l'opera dal titolo Lucidator dubitabilium astronomiae (Chiarimento dei dubbi dell'astrologia), redatta tra il 1303 e il 1310 dal grande medico e filosofo padovano Pietro d'Abano, da cui si ricava anche la classificazione arabo-latina ed ebraica di questa tipologia di testi: i libri di astrologia come scientia de motibus (considerati più specificamente “astronomici”, aventi per oggetto la scienza di tutti i movimenti) e quelli come scienza dei giudizi o giudicativa (iudicialis), le opere, cioè, più propriamente “astrologiche”, dove per “iudicium” si intende il verdetto, pronostico o previsione dell'influenza di questi movimenti celesti sulle vicende individuali e universali del mondo terrestre. I libri appartenenti a quest'ultima categoria sono stati poi, a loro volta, classificati in due gruppi generali: il primo, che annovera i libri che trattano dell'introduzione ai principi e alle regole filosofiche e matematico-fisiche delle influenze celesti sul mondo terrestre (divisi, anch'essi, in libri di Introduzione lunga o maggiore e libri di Introduzione breve); il secondo, comprendente i libri di astrologia esercitativa o pratica, che insegna la tecnica per tracciare un oroscopo (o carta del cielo) per poi ricavare la previsione o giudizio (divisi in quattro generi: i libri delle rivoluzioni, De revolutionibus; i libri delle natività o geniture, De nativitatibus, De genituris; i libri delle interrogazioni, De interrogationibus; i libri delle scelte, De electionibus, o anche modernamente “Libri di astrologia oraria”). Tutti generi, questi ultimi quattro, dalla grande importanza, meritevoli – magari in un'altra occasione – di un più specifico approfondimento. Per il momento, mi limito solo a ricordare che dai cosiddetti “libri delle rivoluzioni planetarie” sarebbero poi derivati, ad esempio, gli almanacchi o pronostici giornalieri, scanditi dalle posizioni assunte nella volta celeste, alle diverse ore del giorno o in un'ora fissa, dal sole, dalla luna e dai pianeti. Come pure, tutti i calendari, i quali, da tabelle indicanti i gradi dei transiti celesti, subirono alcune trasformazioni dopo l'invenzione della stampa: compilati anno per anno in un misto di previsioni del tempo, festività religiose e profezie astrologiche, vennero destinati anche alla gente di campagna (celebre il Barbanera), e si arricchirono, col tempo, di elementi sempre più vari e disparati (riassunti degli avvenimenti degli anni precedenti, ritratti di personaggi celebri, consigli di agricoltura e di medicina, interpretazione dei sogni). Un argomento, questo dei calendari, sul quale mi permetto di rinviare ad un mio articolo pubblicato sul n. 1/2 di gennaio/febbraio 2006 di questa rivista, dove, all'interno di un discorso più generale necessario ad un corretto inquadramento della problematica, prendevo in esame alcune informazioni, tratte da documenti rinvenuti presso il locale archivio diocesano, relative all'invio, nel gennaio 1815, all'ordinario gallipolino G. G. Danisi di alcune copie di calendari da parte dell'Intendente di Terra d'Otranto, “dopo di essersi accordata all’osservatorio astronomico” la loro stampa e vendita.
Ritornando ora ai libri astrologici in genere, si diceva che, con la diffusione della stampa, il problema della pericolosità dei libri astrologici cominciò ad essere particolarmente sentito: le opere astrologiche comparvero, quindi, nei vari Indici dei libri proibiti, sia singolarmente sia sotto proibizioni generali che consentivano di colpire l'intera e vasta produzione, spesso circolante in forma manoscritta. La condanna raggiunse il suo apice, nel 1586, con la bolla Coeli et terrae di Sisto V, che portò, in ambito cattolico, ad identificare il libro di astrologia, diffusissimo clandestinamente, come un pericolo urgente, assimilandolo a quello di negromanzia e alle opere degli eresiarchi. Allo stesso modo, la produzione astrologica fu combattuta  in contesti in cui la censura non era immediatamente riconducibile alla sfera religiosa (in Francia, ad esempio), ed anche nei territori protestanti. Nonostante le proibizioni, una certa ambiguità contrassegnò comunque l'atteggiamento delle istituzioni ecclesiastiche, essendo l'astrologia coltivata dal clero anche ai più alti gradi della gerarchia.
Il rapporto fra religione e astrologia fu comunque sempre controverso e complesso. Particolarmente colpita era l'astrologia giudiziaria, che andava di fatto a negare il principio del libero arbitrio, della quale fu cultore Matteo Tafuri, medico singolare, indicato dalla voce popolare e dalla pubblicistica corrente come il “mago di Soleto”. Inoltre, la conoscenza delle cose future faceva parte delle esclusive competenze di Dio, e qualsiasi tentativo umano in questo senso era da considerarsi un crimine di lesa maestà. In assenza poi di un preciso discrimine fra magia demonica ed astrologia, era opinione comune che gli astrologi basassero le proprie capacità predittive sul commercio coi demoni, sia attraverso patti taciti e, talvolta, inconsapevoli, sia attraverso un contratto esplicito. Particolarmente invisi furono quei testi, come il commento di Girolamo Cardano al Quadripartitum di Tolomeo, che contenevano l'Oroscopo di Cristo, o quelli che, facendo seguito alle interpretazioni eterodosse dell'aristotelismo diffuse nella scuola padovana da Nifo e Pomponazzi, portavano a negare la trascendenza volgendo a un pericoloso naturalismo. La lotta contro la letteratura astrologica andò comunque evolvendo – soprattutto nel corso del '600 e del secolo successivo – anche in una prospettiva antisuperstiziosa e sulla base di considerazioni di carattere epistemologico, più che teologico ed etico.
Oggi, dunque, in occasione della proclamazione dell'anno dell'astronomia, la Santa Sede sottolinea il “vincolo stretto tra la contemplazione del cielo stellato e la religione”, ricordando come anche l’astronomia fu introdotta nel curriculum ecclesiastico da Gerberto d’Aurillac, papa ed astronomo, a cavallo dell’anno mille. A testimonianza di questo interesse, ci sono le meridiane nelle Chiese, una delle quali è la stessa piazza s. Pietro e, soprattutto, c’è l’Osservatorio astronomico vaticano. E Benedetto XVI, all’inizio dell’anno dell’astronomia, ha ricordato il sorgere ai nostri tempi di una nuova visione cosmologica proprio “grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità”. Dovrebbe essere, pertanto, il trionfo di Galileo, mentre affiora, invece, il lato oscuro del grande scienziato: anche lui, il fondatore del metodo scientifico, compilò oroscopi, addirittura per se stesso e le sue due figlie, tuttavia mai azzeccati.

Milena SABATO