Sommario di storia gallipolina

Gallipoli è città dalle origini oscure, ma con un toponimo unico ed esclusivo dal significato trasparente, non ancora recepito dalla classe dirigente. Il territorio fu interessato da insediamenti abitativi nel neolitico, accertati da ritrovamenti archeologici in contrada Sabèa, Sàmari e Pizzo Cutrieri. I primi abitanti stanziati in epoca storica furono i Messapi giunti dai Balcani, forse prima del 1000 a. C., a fondare molte colonie salentine sul crinale della dorsale costiera a dominio della baia gallipolina. Il sito di Gallipoli fu uno dei principali approdi dei Messapi, gente di mare, ne condivise per secoli la sorte, se fu intenso il sinecismo economico-politico-culturale con il vicino centro messapico di Alezio. Il primo nome della città ionica, certamente indoeuropeo di una sovrabbondante griglia semantica, fu Anxa, attestato da Plinio il vecchio; il suo significato è “la stretta” a ragione della posizione geografica, l’angusto istmo congiunto all’isola abitata. Colonizzata da Archita di Taranto nel 367 a. C., divenne magnogreca e fu detta Kallipolis (“bella città”).
Fu alleata di Taranto contro Roma da cui subì una severa punizione: confisca dell’ager publicus e deportazione di civili nelle regioni italiche, ancor più grave dopo Canne. Divenuta romana a seguito di fatti bellici sfortunati (alleanza con Pirro e Annibale), fu elevata al rango di statio militaris nell’ambito della “XII legio”. Come “municipium” romano fu testa di ponte nel sinus tarentinus, punto focale nel controllo dei traffici marittimi, mercantili e militari, lungo le rotte per l’oriente greco e asiatico, sino alla caduta di Roma ed oltre, soffrendo saccheggi e devastazioni dai Vandali (428) e dai Goti di Totila (542).
Sotto la dominazione dell’Impero Romano d’Oriente i Bizantini riedificarono e fortificarono la città facendone un caposaldo strategico nel Mediterraneo sud-orientale. Gallipoli dominò il basso Salento e sottomise un vasto territorio sino a Ugento e Porto Cesareo, l’antica Sasina. La città non conobbe il dominio longobardo né carolingio dei nuovi “Galli”, ma fu ampliata assumendo il toponimo di Gallipoli e l’insegna civica del gallo. Passate senza danni le minacce saracene, nel 1071 entrò a far parte dei possedimenti normanni sotto Roberto il Guiscardo, conservando cultura avita, idioma greco e liturgia bizantina. Si narra fosse di qui transitato S. Pietro, che, nella marcia di avvicinamento all’Urbe, evangelizzò le popolazioni locali. È accertato che fu sede episcopale a partire dal 551, ma è mera leggenda che il suo primo vescovo fosse stato S. Pancrazio. Dalla fine del IX sec., dopo le lotte iconoclastiche, sino al 1510, la chiesa locale seguì il rito greco-bizantino grazie ai monaci basiliani che fondarono un celebre cenobio e l’abbazia di S. Mauro. I Normanni non riuscirono a latinizzare la Chiesa locale, ma ebbero il merito di aver favorito il progresso della città, munita di ulteriori difese da divenire potenza marittima con traffici sino alla Sicilia.
L’imperatore svevo Federico Barbarossa, dopo un assedio settennale, la rase al suolo (1254) per punire l’appoggio a papa Innocenzo IV che lo aveva colpito di scomunica. Ma quando suo nipote Federico II, figlio di Costanza d’Altavilla, ereditò legittimamente il regno normanno, mutarono le sorti della città che ricevette dall’illuminato re di Palermo favori d’ogni sorta (mura e castello, autonomia municipale, franchigie e privilegi fiscali). La fortuna non fu però durevole se, alla morte del sovrano ghibellino inviso al papa, i cittadini ostili alla dinastia germanica furono puniti da Manfredi, l’ultimo degli Svevi (1256). Ricostituita la pace con gli Hohenstaufen, la città non mostrò di gradire inizialmente la successione degli Angioini, che non mancarono di ricorrere a severe vessazioni (è del 1269 la strage dei 33 baroni ribelli rifugiati nel castello).
Ma, in occasione dei Vespri Siciliani (1281), Gallipoli insorse, fu massacrato il presidio francese e inalberato il vessillo aragonese. Nel 1284 Carlo II d’Angiò assediò e in parte rase al suolo la città; gli abitanti, dispersi e raminghi, rifugiarono nel casale di Villa San Nicola e S. Maria dell’Alizza, in agro Rodogallo e Raggi. Durarono le ambasce per tutto un secolo e fu trasferita la sede episcopale presso il santuario dell’Alizza, mentre si disgregava la diocesi per una trama tessuta dal feudatario e dall’abate benedettino di Nardò. Allorché i cittadini rimpatriarono per ricostruire l’abitato, ebbero non pochi aiuti da Giovanna I, figlia di Carlo, che nel 1347 confermò gli antichi privilegi (condono delle imposizioni). Sotto il suo regno aumentò il numero dei “fuochi”, si edificò la cattedrale dedicata a S. Agata dopo la miracolosa invenzione della mammella (oggi in S. Caterina d’Alessandria a Galatina grazie al principe di Taranto, signore di quel feudo), s’innalzò inoltre il convento francescano con l’annessa chiesa di S. Francesco, la più antica della città.
Gallipoli continuò a godere di favori dagli altri regnanti di Casa angioina (Carlo III, Ladislao e Giovanna II), ma non accettò la signoria di Antonio Del Balzo Orsini e le scorrerie minacciose delle soldataglie guidate dal generale Giacomo Caldora che voleva imporre con la forza la sudditanza al nuovo feudatario (1427). La città non tollerò né ebbe mai padroni, duchi o baroni, tranne i sovrani. Fu sempre città libera e franca. Dopo il completamento del castello passò nel 1442 sotto la dinastia d’Aragona cui si mostrò sempre fedele (“Fideliter excubat”), sì da ricevere sommi privilegi specie dopo il 1463 con re Ferdinando, che volle alleviare i danni subiti in gravi calamità naturali da cui la città fu funestata: terremoti, nevicate rovinose (1457), invasioni di bruchi e carestie (1458).
Quando Venezia guastò i rapporti con gli Aragonesi, sobillando l’ostilità di Maometto II con la strage e il saccheggio di Otranto (1480), Gallipoli, dotata di ulteriori fortificazioni e fornita di un consistente presidio militare, pur riuscendo ad allontanare il terrore delle scimitarre  e i vessilli del profeta, conobbe la pagina più amara della sua storia. Il 16 maggio 1484 l’armata della Serenissima al comando del generale Giacomo Marcello attaccò la città; gli assediati si difesero strenuamente con artiglierie e lancio di olio bollente, grazie al fiero contributo delle donne presenti sugli spalti, per arrendersi dopo tre giorni al preponderante numero dei nemici. Cadde sotto le mura il generale veneziano Giacomo Marcello e nell’occupazione, protratta per quattro mesi sino alla pace di Bagnolo (RE), i mercenari del doge si macchiarono di atrocità (rovine, deportazioni, ruberie). In seguito al triste episodio s’intensificarono i favori della Corona attestati con missive a partecipare la predilezione verso la città. Così fu sotto Alfonso II e Federico III fino a che si spense la dinastia aragonese. È di quest’epoca (1517) l’arrivo in città dei domenicani a fondare il convento e poi l’annessa chiesa di S. Domenico.
Nel periodo critico delle lotte tra Spagnoli e Francesi per il Regno partenopeo Gallipoli non appoggiò nessuno dei contendenti,  ma poi si schierò con il viceré spagnolo don Pedro de Toledo che provvide a dotare la città del Rivellino, di baluardi e bastioni, di torri costiere di avvistamento a controllo dell’intero litorale; era il 1540, l’anno in cui furono espulsi gli Ebrei dal quartiere della Giudecca. Si rivelavano sempre più minacciose intanto le scorrerie piratesche maomettane: nel 1544 fu catturata una nave turca incagliata sugli scogli di S. Andrea e nel 1562 due navi con 400 archibugieri assalirono nella rada ugentina due fuste saracene facendo prigionieri. Nel settembre 1571 nella baia gallipolina si radunò l’Armata Cristiana capitanata dal principe don Giovanni d’Austria per preparare lo scontro finale con la flotta del sultano: fu l’ultima Crociata conclusa con la vittoria di Lepanto implorata da Pio V alla Vergine del Rosario (7 ottobre).
Sotto il dominio spagnolo, anche Gallipoli, che intanto era unita al continente con un ponte a dodici arcate (1607), risentì del malgoverno per le peggiorate condizioni economiche, ma non intese seguire la sommossa di Masaniello (1647) pur subendo le angherie di esosi tributi, come fu sotto Carlo II (1661), allorché dovette contribuire con 3.000 ducati per far fronte alle esigenze dello Stato. Ma è anche in questo secolo che usufruì dell’opera di grandi artisti, quali il progettista Vespasiano Genuino e i pittori Gian Domenico Catalano e Giovanni Andrea Coppola che arricchirono le chiese locali di egregie opere d’arte.
Salito al trono Carlo di Borbone, primo della nuova dinastia, Gallipoli conobbe il suo periodo più prospero, perché, specie nel ‘700, divenne un centro di prim’ordine nel traffico marittimo; vi era il mercato internazionale dell’olio con la prerogativa di calmierarne il prezzo per la presenza di numerose agenzie commerciali europee con annessi consolati.
Mentre la municipalità continuava a godere delle antiche franchigie fiscali, con la nuova ricchezza avvenne che dal 1765 il governo cittadino, prima rappresentato da nobili, passò nelle mani della borghesia prevalentemente mercantile, costretta a superare non poche resistenze provocate dalla vecchia classe in declino. Nel 1797 Ferdinando I di Borbone con la consorte fece visita a Gallipoli quasi in una festa popolare per il raduno della nobiltà di Terra d’Otranto. Con la rivoluzione del 1799 anche a Gallipoli si piantò l’albero della libertà ma, caduto con la Restaurazione il regno napoleonico del Murat (1815), i cittadini patirono la reazione borbonica con un’ondata di arresti, processi, condanne. Nel periodo francese l’economia gallipolina entrò in crisi per il blocco navale imposto dagli Inglesi alla città: la miseria fu generale perché s’arrestò il commercio dell’olio e la produzione agricola. L’attività portuale rallentò sì da accentuare la povertà. Il 24 agosto gli Inglesi intimarono la resa con dure cannonate ma la risposta della resistenza fu perentoria e il blocco cessò. Il malgoverno borbonico durò sotto Ferdinando II fin oltre il 1830 provocando sommosse e la nascita di società segrete come la locale Vendita carbonara “L’asilo dell’onestà”. Nel 1848 il consiglio decurionale si organizzò in Comitato rivoluzionario collegato con quello provinciale presieduto dal gallipolino Bonaventura Mazzarella. La reazione borbonica fu tempestiva e tanti cittadini dovettero soffrire il carcere o l’esilio. Nella seconda guerra d’indipendenza gli animi si riscaldarono sino a salutare l’impresa garibaldina; vi partecipò anche l’eroina gallipolina Antonietta De Pace che entrò a Napoli al fianco di Garibaldi (8-9-1860); il giorno prima giunse a Gallipoli il maggiore Garcea a proclamare il governo italiano con re Vittorio Emanuele II. I gravi problemi post-unitari però si avvertirono nondimeno a Gallipoli: anzitutto la renitenza alla leva nel nuovo esercito con la bandiera tricolore. Il 24-11-1861 scoppiò una sommossa popolare di un centinaio di pescatori e portuali ribelli, ma la Guardia Nazionale lasciò in piazza due morti e diversi feriti.
Nel corso degli anni calamità naturali in agricoltura frenarono la produzione e il commercio con seri danni per i 500 portuali e i 500 bottai, mentre si cominciarono a costituire le prime organizzazioni politiche e sociali, come il Partito Democratico Repubblicano e la Società operaia di mutuo soccorso ed istruzione d’ispirazione mazziniana, grazie a cui si aprirono le prime scuole: l’asilo e le elementari negli ex conventi (di domenicani e clarisse), il ginnasio e la scuola tecnica nel Seminario vescovile.
Iniziava nel 1858 a concretizzarsi col progetto governativo “Lamonica” il piano urbanistico del nuovo borgo che prendeva forma a scacchiera sul promontorio oltre il ponte, nella direttrice ovest-est, ai due lati dell’arteria centrale di Via XX Settembre (oggi Corso Roma). Sorsero, tra gli isolati, diversi opifici, magazzini, fabbriche di botti, l’industria principale per il commercio dell’olio dopo la pesca, che si avvaleva anche della tonnara del “Rais” nel seno delle Fontanelle. La fine dell’800 fu un periodo assai duro per la città. L’economia entrò in crisi, la dialettica politica diveniva lotta aspra senza quartiere. Dopo la grave epidemia di colera del 1867, che causò 68 vittime e la cui fine fu attribuita dalla fede popolare all’intervento prodigioso di S. Cristina, si attrezzò il porto con banchine e molo foraneo sino al lanternino, mentre nel 1870 il Governo centrale decretò la realizzazione dell’ultima tratta ferroviaria Gallipoli-Zollino, collegata con Lecce (oggi Società Sud-Est).
La vita amministrativa cittadina viveva i contrasti delle fazioni della classe dirigente, mentre la popolazione si dibatteva in una profonda crisi dell’agricoltura, con carestia e miseria, per cui nel 1881 nacquero disordini soffocati con la forza. Anche se molto attivi, i repubblicani non riuscivano a prevalere sui conservatori, che erano chiamati a fronteggiare le Società operaie, appoggiate dal giornale locale “Spartaco”, organo democratico filo-socialista.
Nel 1890, dopo un’amministrazione trentennale di destra, passarono a reggere la città i democratici repubblicani, mentre nel 1897 i socialisti, per la prima volta impegnati, non ebbero successo nelle elezioni politiche generali, appannaggio di forti potentati. Intanto scoppiavano i tumulti, causati dalle tristi condizioni economiche di operai e pescatori, bottai e portuali, finché nel gennaio 1898 una sommossa fu sedata con l’intervento della gendarmeria che arrestò 71 militanti socialisti. Ma la crisi economica non cessò e le agitazioni durarono per tutto il primo decennio del ‘900, allorché il governo cittadino ritornò nelle mani di conservatori che amministrarono la città dotandola di un mercato coperto addossato al castello (1901) e con una popolazione di 10 mila abitanti, essendo Alezio e Sannicola già comuni autonomi. Gallipoli aveva la sottoprefettura sin dal 1913, l’anno in cui si tennero le elezioni politiche a suffragio universale maschile, vinte, nel nostro collegio, dal socialista gallipolino Stanislao De Pace con l’insegna della Croce, nonostante la chiesa locale avesse appoggiato ufficialmente il radicale Antonio De Viti De Marco.
Nel dopoguerra il fascismo trovò adesioni quasi generali e, negli anni Trenta, cresciuta la popolazione, si registrarono alcuni significativi interventi: l’ospedale, la scuola tecnico-professionale, il liceo-ginnasio (nel borgo nuovo), la media nell’ex-convento domenicano e l’elementare nell’ex monastero delle Clarisse, oggi demolito. Nella seconda metà del secolo scorso la città nuova si è arricchita di chiese, palazzi, quartieri abitati, impianti turistici e ricreativi, esercizi commerciali e di un grattacielo, nuovo simbolo da presentare al turista, a ridosso della fontana antica. Dal secondo dopoguerra il governo cittadino è stato retto prima dalla DC, alleata pure dei socialisti (anni ’70) e dei comunisti (anni ‘80), e poi dalla sinistra (anni ‘90). Dal 2001, con vera alternanza democratica, amministrano gli stessi protagonisti del centro-destra. Ma in 60 anni di vita repubblicana, in verità, non tutto è filato liscio: per qualche ignota epidemia o per amore del forestiero, frequenti sono stati i commissariamenti!

Gino SCHIROSI