La pregressa sacralità del luogo

Esistono luoghi ritenuti privilegiati in virtù delle loro caratteristiche geo-fisiche, anticamente scelti per erigere monumenti dedicati a particolari figure protettrici del territorio, la cui sacralità è stata mantenuta intatta nel tempo, indipendentemente dal credo professato dalle distinte civiltà che si sono succedute. La scelta che le figure sacerdotali delle varie religioni operavano per stabilire dove porre il simulacro aniconico o iconico del nume tutelare, l’entità che i romani chiamarono genius loci, o erigere un tempio degno della sua sacralità, avveniva con oculatezza all’interno del paesaggio. Spesso si faceva leva sulle facoltà percettive di uomini speciali. I geomanti ricavavano pronostici da particolari segni significanti presenti in terra o stabilivano riferimenti significativi tra i luoghi emergenti del territorio e gli astri o ad altri corpi celesti visibili nel cielo in particolari momenti dell’anno. I rabdomanti erano capaci di percepire l’attività energetica del terreno, dovuta alle vibrazioni provenienti dal sottosuolo, emanate da fonti idriche o minerali. Insieme, sacerdoti, geomanti e rabdomanti, valutavano le caratteristiche del luogo in funzione degli elementi che lo componevano: montagne, colline, corsi d’acqua, linee di faglia….Quando le energie emesse da ogni elemento geografico convergevano in un determinato punto, potenziando l’attività vibrazionale proveniente dalla Terra, il luogo veniva eletto a “ombelico del mondo”, come Delfi, la città oracolare greca, sorta sul luogo dell’incontro delle due aquile inviate da Zeus da direzioni opposte e punto di confluenza di faglie.
La particolare configurazione conferisce ad alcuni luoghi il ruolo di “nodi energetici” attraverso i quali i flussi magnetici sotterranei ed aerei, “resi coerenti”, risultano allineati con le risonanze cosmiche. Tale rapporto diretto Terra-cielo rende quei luoghi particolarmente attivi, punti nodali di una griglia energetica, costituita dalle linee sincroniche del campo magnetico che avvolge il pianeta e lo fa vibrare attraverso canali di flusso coerenti sotterranei ed aerei. Flussi di elettromagnetismo terrestre, che convergono ai nodi di tale griglia energetica modulare, perdono la loro carica distruttiva convertendosi in linee di campo magnetico “coerente”, allineandosi cioè con le linee di forza del campo magnetico terrestre. Là dove le onde di tali flussi energetici emanavano vibrazioni particolari (dipendenti dal non-allineamento con le polarità magnetiche della Terra) le figure sacerdotali di popolazioni oramai millenarie erigevano monumenti megalitici, impiegando pietre selezionate per le loro proprietà di buoni conduttori e stabilizzatori delle onde di flusso elettromagnetico, per “bonificare” il territorio, arginando le conseguenze dell’eccesso di elettricità, cui si devono i fenomeni distruttivi, come terremoti, maremoti, aperture di faglie, voragini…
Le civiltà che si sono succedute, rispettando la sacralità di quei luoghi, hanno costruito templi dalla forma architettonica armonica, spesso impiegando la proporzione aurea, per modulare le risonanze e rendere coerenti le linee di flusso del campo elettromagnetico. Su quei medesimi luoghi dove la civiltà costruttrice di megaliti ha lasciato la sua eredità materiale, basata su straordinarie conoscenze di geomanzia, le genti che si sono succedute ne hanno ribadito la caratteristica di sacralità, elevando in prossimità o in sostituzione di quegli antichi monumenti, costruzioni templari aventi pari proprietà di catalizzatori e normalizzatori di flussi elettromagnetici sotterranei ed aerei. Esempio significativo è la cattedrale di Chartres, che sorge sulla confluenza di quattordici corsi d’acqua e sul luogo nel cui sottosuolo è ancora esistente un dolmen megalitico. Il territorio salentino, povero di acque di superficie, ma ricco di corsi d’acqua ipogei circolanti lungo le cavità sotterranee del suo suolo carsico, concentra nel suo sottosuolo l’energia di una linea sincronica della Terra, i cui flussi di polarità nord, provenendo dal Polo Nord terrestre attraverso l’Irlanda, l’Inghilterra e la Francia, procedono verso il Polo Sud, passando per l’Egitto. Sono onde di flussi trasportati attraverso i sali ionici disciolti nelle acque, le quali facilitano l’allineamento coerente, avendo le molecole dell’acqua, secondo la fisica quantistica, la proprietà specifica di essere orientate lungo le linee di polarità nord del campo magnetico terrestre quando scorrono nel sottosuolo e di essere orientabili lungo le linee di flusso aereo di polarità sud, che procedono verso il Polo Nord, quando circolano nell’atmosfera sotto forma di vapore acqueo, di nuvole o di pioggia. Ne deriva che l’acqua, oltre ad essere il bene prezioso che conosciamo come primario per assicurare la vita degli esseri viventi delle specie vegetali e animali, è anche indispensabile alla regolare dinamica del campo magnetico terrestre, dalla quale dipende l’esistenza di tutta la vita planetaria e della Terra stessa. La presenza di corsi d’acqua è stata determinante per la configurazione delle aree antropizzate del pianeta, poiché i primi villaggi sono sorti nei pressi di fiumi e di laghi, dove era possibile l’approvvigionamento idrico dal quale dipendeva la vita di tutti gli abitanti e, dalla fase neolitica in poi, anche la buona riuscita dei raccolti e degli allevamenti. Gli stessi corsi d’acqua rappresentavano, per genti diverse, una linea di confine naturale, non potendo oltrepassarli, se non con ponti mobili, per non creare turbolenze energetiche, derivanti dall’interruzione del corso dei flussi ionici trasportati dall’acqua. Da qui deriva la sacralità dei luoghi percorsi dai fiumi. Ne erano consapevoli anche gli etruschi ed i romani, che furono artefici provetti nella costruzione di ponti sui fiumi, se si tramanda che i sacerdoti delle loro distinte religioni si prodigavano per celebrare rituali appropriati e recitare le formule necessarie per rimediare alla interruzione forzata di tale energia derivata dal fluido allineamento molecolare e ricomporre l’orientamento polarizzato delle molecole dell’acqua. Oggi riti e tradizioni remote legate a quelle antiche conoscenze risultano incomprensibili per la mente dell’uomo attuale e non potrebbero sopravvivere se non come pratiche magiche appartenenti ad un mondo pagano ed anacronistico, non riconoscendone l’implicito fondamento scientifico. È pertanto venuta meno anche la capacità di intendere il significato dei segni naturali e artificiali presenti su un territorio o di comprendere le interazioni tra gli elementi propri dello spazio vitale, quello che i greci chiamavano topos, il luogo dell’esistenza dell’uomo e degli altri esseri viventi, la dimensione fondamentale per la vita. Oggi si tende facilmente a trascurare la regola di base che sancisce come, nella stretta interazione spazio/uomo, quando il contenente (lo spazio) muta, anche il contenuto (l’uomo) muta di conseguenza, secondo la dinamica del “comportamento topologico”, cui fa riferimento lo psicologo Kurt Lewin. Ne deriva che un luogo abitabile può trasformarsi in un “non-luogo”, in un contenitore inospitale, potenziale spazio della morte, adeguando ogni essere nella direzione del disordine e del degrado cui versa  il territorio.

UN EX-LUOGO SACRO
Il Fosso dei Samari, che sfocia nelle acque cristalline della Baia Verde, la cui spiaggia rappresenta per Gallipoli una risorsa fondamentale per l’economia turistica stagionale, corrisponde ad uno dei pochi corsi d’acqua superficiali che scorrono per brevi tratti costieri del territorio salentino. Fino ad epoca relativamente recente percorreva un’area paludosa, bonificata prima degli anni trenta nel Novecento, che costituiva un naturale confine tra il territorio di Gallipoli e le aree scarsamente antropizzate che si estendono a sud, verso Punta Pizzo. Il breve promontorio del Pizzo, insieme all’isola di Sant’Andrea e lo scoglio di Gallipoli delimitano un tratto di mare circolare, una cellula dall’energia radiante, che per millenni, insieme all’erosione marina, ha configurato il profilo della baia. L’erosione continua incessante, resa a volte percettibile da qualche scoglio affiorante prima sommerso e a volte “insidiando” anche la stabilità della strada litoranea, costruita dopo la bonifica della palude attraverso le dune costiere e la macchia mediterranea, superando il “fosso dei Samari” con un ponte costruito in prossimità della sua foce, in località Li Foggi. Oggi ridotto ad un canale, il Fosso dei Samari corrisponde invece al “luogo emergente” che ha contribuito a fare la storia del territorio di Gallipoli. La sua portata d’acqua dei tempi remoti può essere facilmente calcolabile attraverso l’erosione che le sue acque hanno determinato più a monte della foce, dove sulle pendici del suo alveo si aprono delle grotte probabilmente abitate sin dalla preistoria.
Oggi possiamo ricostruire le potenzialità della portata d’acqua del canale Samari solo quando assume carattere torrentizio e provoca la piena, inondando tutto il territorio circostante e creando disagio là dove un tempo costituiva invece una risorsa non solo idrica, ma come tutte le zone paludose costiere anche faunistica e botanica, per le genti che si insediavano nei pressi delle sue rive.
Tracce megalitiche si trovano nel territorio circostante, nell’area delle Serre ioniche, ed attestano la presenza dei costruttori di megaliti sul versante sud-est della baia, lì sbarcati ed insediati prima di aggirare il Capo di Leuca ed occupare le aree più a nord del Salento. Sono Specchie di mira, ossia cumuli di pietre informi erette sulla Serra di Castelforte e di Monte Li Specchi e sul breve promontorio del Pizzo, un primitivo dolmen costruito a ridosso di una roccia-osservatorio, un piccolo menhir, oggi distrutto, nell’area della zona litoranea denominata “il Campo” e il più maturo dolmen d’Ospina ed un menhir, entrambi nell’area di Castelforte, verso l’entroterra.
Sul versante ovest del canale Samari, invece vi sono tracce di un’interessante area sepolcrale di genti neolitiche risalenti al V millennio a.C. Scavi effettuati dall’archeologo Cremonesi negli anni ottanta del secolo scorso hanno messo in luce l’area archeologica, che rappresenta un esempio raro di sepoltura e testimonia dell’antichità del sito che, come quello di Trasano in Basilicata, corrisponde al neolitico più arcaico del territorio italico. Il canale e la sua palude costituivano, pertanto, una linea di confine naturale che separava bacini di culture diverse, ma rappresentava per tutti una fonte di vita, come ogni corso di acqua dolce. Lasciarono anche tracce visibili sul territorio circostante i monaci basiliani, trasformando in “lauree” le cavità naturali. Trovato rifugio nel territorio italico meridionale, i monaci  perseguitati in Oriente a seguito della riforma iconoclastica, contribuirono nell’Alto Medioevo alla ripresa sociale ed economica degli abitanti, provati da secoli di devastazioni ambientali e di vicissitudini storiche che seguirono la caduta dell’Impero Romano. Il credo greco-bizantino rimase vivo in Gallipoli fino alla seconda metà del 1500, in alternativa alla fede cristiana della Chiesa latina di Roma, il cui primo pontefice fu Pietro. L’apostolo, proveniente dalla Samaria, era approdato già nel 43 d. C. sul promontorio di Leuca, dove per suo volere sorse poi il primo santuario cristiano dedicato alla Vergine Annunziata, in sostituzione del tempio pagano dedicato a Minerva. La tradizione vuole che egli abbia fatto tappa e celebrato il rito cristiano anche nei pressi del Fosso, che da quell’evento prese il nome dei Samari. Sul medesimo luogo, nel XIII secolo, al ritorno delle crociate, il cavaliere Ugo di Lusingano fece erigere la chiesa denominata San Pietro dei Samari in ricordo di quel memorabile passaggio dell’apostolo. Elevata a simbolo di un ideale sincretismo religioso, orientale e occidentale, come attestano le due cupole emergenti sul suo tetto piano, la chiesa mantiene solo poche caratteristiche strutturali e ornamentali dell’originaria costruzione romanica, e nelle cupole “a vista” sembra volere ricalcare più i modelli orientali, che non le reminiscenze classiche romane.
Il viaggio di Pietro verso Roma, dove divenne capo della Chiesa cristiana e andò incontro al suo martirio in nome di Cristo, avvenne lungo la Via Appia, raggiunta attraverso la località di San Pietro in Bevagna, nei pressi di Taranto, ed attraverso tutte le località intermedie che, ricordandone il passaggio attribuiscono veridicità storica alla tramandata tradizione. Anche la leggenda del rinvenimento della mammella di Sant’Agata, trova nell’area del Canale Samari lo scenario giusto per l’evento miracoloso. Si narra, infatti, che i trafugatori dei suoi resti,  impossibilitati a proseguire via mare, li depositarono presso una fonte d’acqua dolce, che sorgeva nell’area della baia, presso il Fosso dei Samari, dove la piccola innocente trovò la mammella della martire, durante un “inspiegabile” sonno della madre, che l’aveva condotta presso la fonte.
Il miracolo fu determinante per consacrare la comunità di Gallipoli alla chiesa latina di Roma, per eleggere Sant’Agata a protettrice e per erigere la chiesa Cattedrale seicentesca, in sostituzione di quella romanica dedicata al santo greco-bizantino Crisostomo.

QUANDO LA STORIA NON INSEGNA
Oggi, bonificata l’area paludosa che la presenza della zanzara anofele rendeva malsana colpendo gli abitanti con l’endemica malaria, costruita la strada litoranea attraverso le dune e la macchia mediterranea di un tempo, costruite nella palude bonificata le case della zona residenziale su zatteroni di cemento, attrezzate le spiagge per l’accoglienza dei turisti affluenti durante il periodo estivo, la Baia Verde rappresenta una risorsa economica non indifferente per l’economia del comune di Gallipoli. Il vantaggio si protrae anche nel periodo “morto” invernale, poiché non vengono meno le tasse dei proprietari degli immobili della Baia Verde.
Il Canale Samari è ciò che resta ancora di quell’antica area umida litoranea, ma non comprendendone l’importanza, si tende ad occultarlo tra detriti e spazzatura posti a ridosso del canneto che attraversa. Ridotto ad un rivolo maleodorante trasporta verso il mare le acque reflue del depuratore, dopo aver aggirando la chiesa in rovina di san Pietro e la zona residenziale, escluso quando d’inverno assume carattere torrentizio e straripa, contribuendo insieme all’acqua piovana stagnante nella zona depressa del territorio a rendere inaccessibile la zona residenziale “alluvionata”. A tale calamità si è aggiunto l’effluvio degli olezzi di fogna a cielo aperto, che effonde per tutto il territorio e del quale si “beano” tutti i bagnanti che si accalcano presso la sua foce. Le millenarie divinità tutelari, aniconiche o iconiche, hanno oramai abbandonato il luogo sacro nelle mani degli uomini, il genius loci divino ha ceduto il posto al genius umano, che ha permesso l’ultimo degli atti dissacranti: trasformare la purezza delle acque dolci in fogna (se pur depurata)!
Oramai non possono più proteggerlo né i numi tutelari antidiluviani, né san Pietro, la cui chiesa tende ad implodere “naturalmente”, né sant’Agata, che fu l’ultima ad eleggerlo come luogo sacro per il suo miracolo, forse anche per comunicare che l’inspiegabile sonno della madre della bambina sarebbe stato promonitore di una “beata” inconsapevolezza di chi “dorme” per non sapere e non vedere. O, nella migliore delle ipotesi, per sognare un futuro migliore per tutta la baia, nella speranza, forse, di poter assistere, svegliandosi, al nuovo miracolo di trovarsi in un territorio finalmente vivibile?

Marisa GRANDE