I grandi salentini: Antonio Bortone

Antonio Bortone,  nel settantesimo anniversario della morte (1938-2008)
Il 2 aprile del 1938, all’età di 94 anni si spegneva in Lecce il grande scultore Antonio Bortone, figlio migliore della piccola Ruffano. Ai funerali, io c’ero! Ero a ridosso di Palazzo Carafa, a pochi passi dalla statua del Fanfulla (che all’epoca costeggiava appunto Palazzo Carafa), al cui cospetto il feretro si fermò per qualche istante, quasi per un estremo saluto scambievole: del Maestro alla sua opera maggiore, e del Cavaliere indomito al suo famoso Scultore!
Ero a Lecce per motivi di studio. Avevo tredici anni e non potevo di certo immaginare che un giorno sarei divenuto il biografo più accreditato di Antonio Bortone, al cui nome avrei poi fatto intitolare il Circolo Cittadino, la Scuola Media e la casa natale (domus bortoniana) di Ruffano, dove lo Scultore era nato il 13 giugno 1844.
Per la morte del Bortone, il vescovo di Lecce, mons. Costa, aveva scritto su l’Ordine: “ Il figlio illustre del Salento, vanto dell’Arte, onore della Patria, si è spento nel bacio di Cristo mormorando le parole: cursum consumavi, fidem servavi”.
Quando si parla di Antonio Bortone la mente corre alla statua del Fanfulla, che è l’opera che meglio identifica il ‘Mago salentino dello scalpello’, sia perché essa è stata la prima a dargli rinomanza internazionale, sia perché è l’unica opera che parla epigraficamente di sé e del suo scultore.
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La statua raffigura il Fanfulla, uno dei tredici cavalieri della ‘Disfida di Barletta’, ritratto ormai avanti con gli anni quando, orbo di un occhio e col saio domenicano, faceva penitenza nel fiorentino convento di S.Marco, mentre affila la misericordia, un acuminato spadino che all’inquieto lodigiano era servito in tante battaglie.
Modellata a Firenze nel 1877 l’opera è figlia della tensione tra i circoli artistici fiorentini e il Bortone, che si era prodotto, e bene, nel ‘nudo’ con il Gladiatore morente, riscuotendo finanche l’ammirazione del Duprè, ma non aveva ancora dato prova di sé nel ‘drappeggio’. Il risultato di questa prova del fuoco fu appunto la statua del Fanfulla inviata alla Mostra internazionale di Parigi, dove però giunse ammaccata in più parti.
Invitato a ripararla il Bortone non andò mai nella capitale francese, forse per motivi economici, forse per il suo carattere che a volte lo rendeva spigoloso e quasi intrattabile.
Del carattere riservato e taciturno del Nostro parla il profilo di Alessandro De Donno in una pagina del Corriere Meridionale del 1893:
Bortone è di un carattere troppo austero, ostinatamente avverso a qualsiasi rèclame; e di ciò non manca chi lo rimproveri, pur amandolo; ed io fra questi; ma se è ben difficile mutare il carattere di un uomo, difficilissimo è mutare quello di un artista; anzi, spesso, i difetti dell’uomo completano i pregi dell’artista, e la storia dei grandi artisti ne insegna come gli uni siano inseparabili dagli altri.
Comunque, la statua fu esposta ugualmente a Parigi e vinse il terzo premio, previo il restauro praticato dal grande scultore napoletano Vincenzo Gemito, che si trovava nella capitale francese a motivo della stessa Esposizione.

Aldo DE BERNART