La Nassa - L'Ardiche

La ‘Nassa’ trappola non solo per pesci

La nassa e’ un attrezzo lavorato artigianalmente da mani esperte di vecchi pescatori, usato per la pesca sotto costa, viene calata su un fondale roccioso e ricco di vegetazione.
A seconda dell’ampiezza delle sue maglie diventa altamente selettiva, prevalentemente si usa per catturare il polpo, va bene anche per i masculari, vope, granchi, gamberi, ed altre varietà di pesce misto.
E' un attrezzo atavico diffusissimo nell’ottocento, è praticamente rimasto immutato sino ai giorni nostri. E’ costituita da una struttura in giunco marino di forma tondeggiante ed è formata da diverse grandezze, la più grande misura un diametro di circa un metro e mezzo e una lunghezza di due metri e mezzo, una vera trappola mortale: il pesce viene incoraggiato ad entrare  al suo interno con delle esche e dalle quali non è più in grado di uscire.
La nassa viene ancorata  sul fondale per mezzo di pesi e segnalata in superficie con corpi galleggianti per individuarne la presenza e per il successivo recupero. Ultimamente ne stanno costruendo anche in maglie di ferro morbido adatte a catturare esclusivamente il polpo di grossa taglia che, una volta entrato nella nassa di ferro, è impossibilitato ad uscire.
Nella nassa di giunco un polpo di grosse dimensioni “scampa”, così si dice in gergo marinaresco: il polpo infila i tentacoli nelle maglie facendo una forte pressione, spaccando letteralmente la campa della nassa, riconquistando la libertà.
La nassa può anche essere una “trappola” usata nel commercio, nella politica, negli affari in generale. Si prepara un bel discorso per illudere la gente, oppure ti viene presentato un buon prodotto: ti fanno credere che sia un buon affare; una volta comprato ti accorgi che in realtà non era altro che un inganno dal quale non puoi più uscire. Appunto come una nassa.
Chiudo con un  proverbio gallipolino:  “ci trasi intra la nassa nu tendessi ‘chiui”


“L’ARDICHE” cantano “LU LAZZARENU”

La Santa Pasqua è passata in modo molto semplice tanto che ha lasciato l’amaro in bocca per non aver saputo o potuto far di più per Gallipoli e per i nostri concittadini.
Nel mio piccolo, quest’anno, ho avuto l’immenso onore di suonare nella chiesa di S. Francesco D’assisi esibendomi in un canto tradizionale legato ai riti della  Santa Pasqua, ossia “Lu Lazzarenu”. E’ un canto di devozione facente parte dei riti della Passione di Cristo che nella Grecìa salentina sono molto sentiti e praticati.
Sponsorizzato dalla Regione Puglia, dalla Provincia di Lecce e dall’Istituto Diego Carpitella, nelle maggiori Chiese il “canto” è eseguito da cantori provenienti dalla Sardegna, dalla Grecìa, dalla Calabria ecc., ed ha l’obiettivo di risvegliare l’amore per i canti devozionali perchè si contemplano gli ultimi istanti della vita di Gesù.
Gallipoli, pur non essendo inserito nei  tredici comuni Griki, può essere compreso  a pieno titolo nella “tradizione”, in quanto, a memoria d’uomo, questo rito è stato sempre cantato, nelle piazze  e negli stretti vicoli del centro storico, durante la settimana delle Palme.
I pescatori intonavano il canto spostandosi di casa in casa chiedendo uova e doni (‘pe ‘llu spazzatu).
Le offerte venivano considerate di buon augurio per l’arrivo della S. Pasqua.
Questa tradizione non deve assolutamente perdersi. I giovani devono capire l’importanza della storia della nostra Città. Pertanto rivolgo un appello alle Parrocchie, alle Associazioni e ai Centri culturali per avvicinarsi al gruppo “L’Ardiche”, per aiutarlo a riscoprire le vecchie tradizioni.
Un particolare ringraziamento è dovuto al Parroco don Piero De Santis che ha contribuito in modo determinante a mantenere vivo questo nostro tradizionale tesoro.

Antonio VINCENTI