Il 'Comunichino'

Il “Comunichino” della Chiesa di Santa Teresa di Gallipoli alla luce di nuovi documenti

Nell’ottobre del 1992, fu pubblicato il libro “Il Monastero delle Carmelitane scalze di Gallipoli”, edito dalla Tiemme di Manduria (TA) e scritto, all’epoca, dalla laureanda insegnante Carmela Casole1.
Un lavoro paziente e appassionato, in cui la Casole ricostruisce storicamente, sia la realizzazione del Monastero e Chiesa, voluta dalla costante tenacia del suo fondatore, il vescovo Mons. Antonio Perez, che la vita claustrale, di preghiera e contemplazione delle figlie di Santa Teresa d’Avila. Il tutto, attraverso un’attenta lettura dei documenti archivistici, ma soprattutto di quelli inediti conservati da trecento anni nel Monastero2 delle Carmelitane scalze.
Dalla lettura di questo lavoro ho estrapolato alcuni passaggi interessanti che mi hanno consentito di approfondire alcuni aggiornamenti su determinati aspetti:
Il 30 luglio 1700, si insediò a Gallipoli, proveniente da Napoli, il Teatino Mons. Oronzo Filomarini succedendo a Mons. Perez, la cui morte avvenne il 14 gennaio 1700, lasciando un dolore inimmaginabile per le Carmelitane e per tutti coloro che lo conobbero3. Nel verbale redatto durante la Visita Pastorale del 1714, Mons. Filomarini ci descrive minuziosamente il complesso monastico e la Chiesa che, dalla costruzione (1687) fino al loro completamento (1690), non subirono molti cambiamenti, per cui la descrizione riportata dalla Casole sul suo libro, è anche quella dell’attuale sistemazione4. La Chiesa è dominata dal barocco degli altari, un esempio significativo, se non unico, in cui la tenerezza della pietra leccese ha certamente costituito un invito all’esuberanza della decorazione, consentendo nello stesso tempo un linguaggio assai ricco di motivi. Da un accostamento con altri altari in alcune Chiese di Lecce, essi sono molto vicini alla produzione dell’ottimo scultore leccese Cesare Penna5. Ma, da una lettera di Padre Cusano alle Carmelitane, del 19 febbraio 1700, emergono i nomi dei seguenti maestri scultori: Oronzo de Abbaterusso, proveniente forse da Otranto, Gaetano Garrone, Domenico Bascelli, Carmine Santoro e altri6; inoltre, essi erano ospiti nel palazzo di Mons. Perez. Alla pagina 101, la Casole, riporta in nota quanto segue: «purtroppo, nonostante le ricerche fatte, non abbiamo potuto trovare nulla che ci permetta attribuzioni certe delle opere presenti in chiesa, eccezion fatta per il nome di alcuni maestri scalpellini» e del pittore gallipolino Amedeo Nocera autore del dipinto dell’Immacolata, commisonatogli dalle monache in sostituzione di un altro attribuito al Coppola andato distrutto per uno incendio il Giovedì Santo del 1946. Sulla base di questa affermazione, è il caso di aggiungere altri nomi di artisti famosi che hanno contribuito con i loro capolavori all’arricchimento artistico di questa Chiesa. Già dal 1983 in 1^ edizione e successivamente nel 1986 con la 2^ edizione, fu pubblicato per la Schena Editori di Fasano, il libro “Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo” a cura di Mimma Pasculli Ferrara, un risultato di un’esperienza del tutto nuova, poiché svolse l’illustrazione e l’interpretazione di un patrimonio quasi totalmente inedito7: un primo studio, in campo meridionale, che trattava le arti decorative, con un’indagine su basi documentarie di tutto il territorio pugliese in rapporto con Napoli. Significativa, fu anche la vasta documentazione, frutto sistematico e qualificato di Eduardo Nappi dell’Archivio Storico del Banco di Napoli8,  che sulla scorta di ben 200 documenti che interessavano sia la Puglia, la Basilicata e Napoli, due di questi riguardavano la Chiesa delle Carmelitane di Gallipoli. Infatti, veniamo a conoscenza che, dal giornale di cassa del 1753, Banco di San Giacomo matr. 1234 e 12189,  nell’ottobre 1752 le monache Carmelitane affidano l’esecuzione per un nuovo altare marmoreo di gusto napoletano, al famoso marmoraro Aniello Gentile, per la somma di ducati 250 e che  nel 1753 fu «posto in opera nella Chiesa10». Ma in data 14 marzo 1753, Aniello Gentile era già morto, e la moglie Rosina d’Adamo, ricevette gli ultimi compensi, da cui ne doveva trattenere D. 40 per Fabio Maiorino orefice, «per una portella di custodia di rame d’orato»11, destinata per l’altare e i restanti D. 30 in beneficio di Giuseppe Barbero, maestro riggiolaro «a compimento di D. 40 intero prezzo del pavimento di riggiole impetinate, per la Cappella del Santissimo Sacramento di Brindisi»12, in quanto creditore di detto Aniello. Sulla scorta di quest’ultima notizia si potrebbe ipotizzare che la pavimentazione della Chiesa delle Carmelitane di Gallipoli sia stata eseguita anche dal Barbero.
Dall’indagine della Pasculli, emersero i nomi dei più famosi artisti napoletani che operarono per un rinnovamento in Puglia e tra questi spiccò la presenza di un ben noto architetto, Giuseppe Astarita (forse autore del disegno dell’altare di Santa Teresa), con il quale lavorava il raffinatissimo Aniello Gentile13. Ma ecco che come un puzzle il quadro artistico della Chiesa delle Carmelitane prende forma, e ancora una volta è l’Archivio Storico del Banco di Napoli a darci notizia, grazie ad una nuova indagine storico-critica realizzata da un mio carissimo amico di Sansevero, Christian de Letteris, che da alcuni anni, svolge uno studio sulla straordinaria civiltà del marmo lavorato, tra le produzioni più tipiche dell’espressività figurativa napoletana14. Infatti nel suo ultimo lavoro “Marmorari napoletani in Capitanata. Documenti inediti e proposte attributive” edito dal Rosone, Foggia, 2007, alla pagina 58, pubblica il documento n°35 riguardante il “Comunichino” della Chiesa di Santa Teresa di Gallipoli, e che qui ringrazio per avermi gentilmente inviato la trascrizione del documento, autorizzandomi a pubblicarlo in anteprima per Gallipoli su questa rivista. Il “Comunichino”, la finestrella dove solitamente le monache di clausura ricevono la comunione, è opera di un altro grande artista marmoraro napoletano, Pasquale Cartolano15 che alla morte del Gentile, lavorerà con il famoso ingegnere e architetto Giuseppe Astarita.
Il de Letteris, nel suo lavoro, lega strettamente la vicenda del “Comunichino” di Gallipoli, a tutto il percorso del marmoraro, tentando di ricostruirne parte dell’attività artistica e biografica; inoltre veniamo a conoscenza che tra il Cartolano e l’Astarita vi era un legame non solo artistico ma anche di parentela, in quanto quest’ultimo prese a nozze la sorella del Cartolano.
Il “Comunichino”, incorniciato da una mostra realizzata completamente in marmo rimpiazzerà il precedente formato da una semplice «finestrella …, con due porte lignee, una dalla parte della chiesa, e una da quella del Monastero», come annotò Mons. Filomarini nella visita del 171416. Esso si distingue per la sobrietà delle forme e per la nobile armonia del disegno di Astarita. La solenne compostezza del volume e degli elementi architettonici sono scanditi dalla policromia del marmo. Ma vediamo il documento: giornale di cassa, matr. 1482, Banco di Sant Eligio, 11 marzo 1767; A Ignazio Savastano ducati 30; e per lui a Pascale Cartolano mastro mormorale date sono a conto del prezzo del Comunicatoio di marmo sta lavorando per la chiesa del Monastero di Santa Teresa di Gallipoli, giusta il disegno fatto dal Regio Ingegnere Don Giuseppe Astarita, e da lui firmato.
Quanto emerge dai nuovi documenti dell’Archivio Storico del Banco di Napoli e non solo è ulteriore conferma che la ricerca storiografica è costantemente aperta al perfezionamento derivante da nuove indagini e da nuove scoperte che contribuiscono alla determinazione della verità storica.

Antonio FAITA