FORUM

FUNZIONI E LIMITI DELL’AMMINISTRAZIONE CONDOMINIALE - II PARTE

Per proporre quesiti in materia, scrivere a info@studiolegalevinci.it, rubrica “forum”.
Al di là delle considerazioni di carattere applicativo, le funzioni assegnate dal Codice Civile all’amministratore condominiale, ne contraddistinguono comunque il ruolo di “uomo d’ordine” e segretario particolare, al quale è demandato di far fronte alle necessità della gestione ordinaria ed a prestare attenzione alle urgenze di ogni tipo.
Con riferimento alla seconda delle attribuzioni ex art. 1130 c.c., ovvero alla disciplina dell’uso delle cose comuni e della prestazione dei servizi nell’interesse comune, occorre sottolineare come si tratti di una funzione che va a sostituire l’eventuale carenza di specifiche regole dettate, in tal senso, dal regolamento di condominio. Ovviamente, resta sovrano il volere dell’assemblea, le cui deliberazioni in tali ambiti dovranno essere eseguite dall’amministratore ai sensi del n. 1 dello stesso art. 1130 c.c.
Appare opportuno precisare che, sono servizi prestati nell’interesse comune tutte quelle opere (ad es. l’ascensore, il parcheggio) o prestazioni d’opera di carattere generale, predisposte a favore di tutti (o quasi tutti) i condomini. Tra le prestazioni d’opera spiccano il servizio di portierato e tutti quei rapporti obbligatori assunti per la gestione di un servizio comune.
Nel disciplinare l’uso delle cose comuni, peraltro, va escluso che l’amministratore, pur intendendo assicurare il migliore godimento a tutti i condomini, possa spingersi oltre l’ordinaria amministrazione: non può apportare modifiche strutturali all’edificio (Cass. n. 1945 del 24.09.1997), né, ad esempio, “costituire, per contratto, una servitù sulle parti comuni dell'edificio, poiché tale servitù rappresenterebbe un aggravio della funzione delle cose e dei servizi comuni del condominio” (Trib. Milano, sent. del 17.11.1988).
Secondo la giurisprudenza (in particolare, Cass. n. 10144 del 19.11.1996), l’amministratore deve vigilare sulla regolarità dei servizi comuni “anche per quanto attiene alle interferenze con i singoli appartamenti”, eseguendo verifiche tese a “mantenere integra la parità del godimento dei beni comuni da parte di tutti i condomini”. Occorre sottolineare che le iniziative volte a censurare o contenere gli eventuali comportamenti abusivi dei condomini, al pari di quelle finalizzate a far rispettare il regolamento di condominio, appaiono, anche in questo caso, caratterizzate dalla carenza di adeguati strumenti giuridici nelle mani dell’amministratore.
Per quanto concerne le attribuzioni di cui al n. 3 dell’art. 1130 c.c., la riscossione dei contributi è strettamente connessa alla gestione contabile del condominio, ovvero ad una delle competenze tecniche maggiormente connotanti la professione di amministratore.
Al fine di poter riscuotere le quote condominiali, l’amministratore ha la possibilità di porre in essere attività maggiormente incisive nei confronti dei condomini, in quanto suscettibili di colpire direttamente il patrimonio degli stessi e, pertanto, normalmente dotate di intrinseca efficacia.
Una volta che l’assemblea ha approvato il bilancio annuale, l’amministratore, in base alla ripartizione millesimale, ha il dovere di riscuotere i contributi nei confronti di tutti i condomini. L’assemblea, inoltre, può deliberare in ordine a quote di previsione, autorizzando l’amministratore a richiedere ai condomini pagamenti provvisori con riserva di conguaglio all’approvazione del successivo bilancio.
Con riferimento alle quote condominiali ordinarie e di previsione, nonché alle spese di carattere straordinario, l’amministratore, ai sensi dell’art. 1131 c.c., è legittimato ad agire in giudizio nei confronti dei condomini morosi, senza necessità di specifica autorizzazione da parte dell’assemblea (Cass. n. 2452 del 15.03.1994; Cass. 4751 del 23.07.1988; ecc.): potrà, pertanto, promuovere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (ai sensi dell’art. 63 att. c.c.) ed, altresì, resistere ad una eventuale opposizione al decreto stesso.
L’autorizzazione assembleare, nel caso di specie, può considerarsi implicitamente contenuta nel provvedimento di approvazione delle spese, dal quale discende automaticamente, ex art. 1130 c.c., il dovere da parte dell’amministratore di riscuotere i contributi. Con riferimento ai costi che derivano dalla manutenzione delle parti comuni dell’edificio, peraltro, secondo la giurisprudenza maggioritaria, il provvedimento di approvazione delle spese potrebbe anche non sussistere, poiché il relativo obbligo contributivo per i condomini deriva “non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell'attività di manutenzione”, sorgendo per effetto dell’attività gestionale compiuta in concreto e non dell’autorizzazione al compimento della stessa (Cass. n. 4393 del 17.05.1997).
L’erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di esercizio delle cose comuni è strettamente collegata con la riscossione dei contributi, costituendone uno dei presupposti.
Si tratta, anche in questo caso, di un compito che caratterizza fortemente il ruolo dell’amministratore, il quale deve gestire le uscite del condominio prestando particolare attenzione al “quanto” ed al “quando”. Allo scopo, l’amministratore può concludere appositi contratti necessari per provvedere alla manutenzione ordinaria ed alla prestazione dei servizi comuni;  tali contratti, stipulabili “nei limiti della spesa approvata dall'assemblea”, divengono “vincolanti per tutti i condomini ai sensi dell'art. 1131 c.c.”  (Cass. n. 3159 del 17.03.1993;  Cass. n. 1998 del 20.07.1963; ecc.).
Il limite della spesa approvata ci rammenta ancora una volta che la volontà assembleare resta sovrana, costituendo un serio ostacolo allorquando le suddette spese risultino urgenti ed improrogabili. Quando la maggioranza dei condomini resta insensibile alle comuni necessità e, cercando di contenere in maniera confusa i costi, omette di deliberare in ordine a determinate spese di manutenzione ordinaria e di esercizio delle cose comuni, l’attività di erogazione viene inevitabilmente condizionata e frenata: spesso, infatti, l’amministratore è costretto a scegliere se sostenere un spesa od un’altra, se eliminare oppure differire un servizio, e così via.
L’amministratore, peraltro, non è eventualmente abilitato, senza espressa autorizzazione dell’assemblea, a contrarre mutui in nome del condominio, anche se allo scopo di pagare le spese di gestione (Cass. 1734 del 5.03.1990): il potere di rappresentanza ex art. 1131 c.c., difatti, non può essere esercitato oltre i limiti delle attribuzioni conferitegli dall’art. 1130 c.c.
Frequentemente, peraltro, la mancanza di denaro nelle casse condominiali viene generata da situazioni di carattere oggettivo, come ad esempio le difficoltà relative al recupero dei contributi dai condomini morosi (un’azione di recupero del credito può comportare lunghi tempi di attesa, oltre al rischio di non raggiungere l’obiettivo ove l’attività giudiziaria si imbatta in procedure fallimentari complesse). Ma l’effetto è lo stesso, ovvero la necessità per l’amministratore di “tamponare” qua e là in relazione alle uscite del condominio.
Riguardo agli “atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio”, l’amministratore ha l’obbligo giuridico di promuovere, in loro vece, tutte le iniziative (di carattere cautelare, ripristinatorio, ecc.) che spetterebbero ai condomini comproprietari delle parti comuni.
Tra le attribuzioni ex art. 1130 n. 4 rientrano anzitutto le c.d. azioni possessorie, ovvero i rimedi processuali tipici a tutela del possesso, tese al recupero (o al mantenimento) del godimento della parte comune dell’edificio sottratta illecitamente ovvero molestata da terzi:  
L’esercizio di tali azioni, poiché consentita di diritto, non è subordinata ad autorizzazione dell’assemblea, né può essere da essa esclusa o limitata (Cass. n. 369 del 20.01.1982).
L’amministratore condominiale, pertanto, potrà autonomamente esercitare l’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.) per reintegrare nel possesso del bene il condominio, allorquando questo sia stato vittima di un di uno “spoglio” (privazione totale o parziale del possesso a carattere definitivo) violento o clandestino da parte di terzi.
L’amministratore è, ovviamente, abilitato a promuovere l’azione di reintegrazione anche nei confronti di un condomino, avverso la sottrazione di una parte comune dell’edificio.
Con l’azione di manutenzione (art. 1170 c.c.), l’amministratore potrà procedere giudizialmente al fine di far cessare una qualsiasi molestia o turbativa nel possesso, ovvero un’attività che ostacola o rende più gravoso il possesso (es. tipici sono la violazione delle distanze legali o l’esercizio di una servitù oltre il suo contenuto).
L’amministratore è, infine, abilitato anche a porre in essere tutte le iniziative di natura prettamente cautelare dirette alla conservazione “dell’integrità delle cose comuni”, potendo agire in giudizio, senza autorizzazione assembleare, ex art. 1171 e 1172 c.c. (denunzia di nuova opera e di danno temuto), nonché iniziative di natura compensativa come le azioni ex art. 1669 c.c. contro l’appaltatore per il risarcimento dei danni in caso di rovina dell’edificio o gravi vizi di costruzione che ne compromettano la sicurezza (Cass. n. 152 del 19.01.1985).
E’ necessario, in conclusione, sottolineare che le attribuzioni indicate dall’art. 1130 c.c., allorquando si traducano nel dovere di compiere determinate attività (sostenere dei costi, attivare servizi, esperire azioni, ecc.), sussistono per l’amministratore sino a quando le stesse risultino concretamente esercitabili, ritornando in capo ai singoli condomini “qualora, per comprovate cause accidentali (ad esempio: indisponibilità dei fondi occorrenti o rifiuto dell'assemblea, ovvero dei singoli condomini, di contribuire alla costituzione del fondo spese)”, l’amministratore versi nella impossibilità materiale di adoperarsi allo scopo suindicato. Tale, interpretazione, delineata dalla giurisprudenza (Cass. pen. n. 7764 del 19.06.1996) con riferimento ai lavori di manutenzione straordinaria urgenti ex art. 1135 comma 2 c.c. (nel caso di specie, per una situazione di pericolo per l'incolumità delle persone derivante da rovina di parti comuni dell’edificio condominiale), deve ritenersi a tutti gli effetti valida per ogni genere di dovere fattivo assegnato all’amministratore.

Giuseppe VINCI