Costantino, il papa che sostò a Gallipoli

Gli antefatti: dispute teologiche e tensioni tra Costantinopoli e Roma
    Il passaggio dal Salento di Papa Costantino, nell’anno 710, si iscrive nel contesto delle intricate e difficili relazioni politico-diplomatiche e delle controversie teologico-disciplinari tra Roma e Costantinopoli, nell’arco di tempo compreso tra i secoli V e VII. Si trattò di uno dei periodi più delicati della storia della Chiesa, segnato da complesse vicende, che è opportuno qui richiamare almeno in estrema sintesi.
    In seguito al Concilio di Calcedonia del 451 che aveva affermato l’unione ipostatica delle due nature, divina e umana, in Cristo, ripudiando il monofisismo1,  ossia la dottrina dell’esistenza in Cristo di un’unica natura, quella divina che avrebbe sopravanzato la natura umana sino ad annullarla, si verificarono dolorose lacerazioni nella comunione ecclesiale. Per ripristinare l’unità, o per lo meno per ridurre le divisioni, l’imperatore Zenone, nel 482, emanò, come legge dell’impero, l’Henotikon, ossia l’Editto di unione, una professione di fede, redatta da Pietro Mango, patriarca di Alessandria, e da Acacio, patriarca di Costantinopoli, con cui si  rigettavano le deliberazioni del Concilio di Calcedonia, si condannavano le teorie di Nestorio e di Eutiche2  e si attribuiva validità solo a quanto approvato nel Concilio di Nicea del 325. Per la Chiesa occidentale, l’Henotikon risultava inaccettabile perché annullava la fede di Calcedonia. Per questo, papa Felice II scomunicò Acacio. Si trattò della prima frattura tra Occidente e Oriente, meglio nota come scisma acaciano.
    Nel secondo Concilio di Costantinopoli, il quinto della storia dei concili ecumenici, tenutosi nel 553, si tentò di favorire il monofisismo, condannando i principali esponenti della scuola teologica antiochena, ossia Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Iba di Edessa, e i loro scritti, i cosiddetti «tre capitoli». Anche se papa Vigilio finì col riconoscere questo concilio, i contrasti non si placarono. Fu allora elaborata una nuova dottrina, il monotelismo, di cui si fece vessillifero il patriarca costantinopolitano Sergio. Si trattava di una formula cristologica compromissoria, che affermava la presenza in Cristo di due nature, ma di una sola volontà (thélema), con la quale si mirava ad avvicinare le posizioni della chiesa ufficiale e quelle dei monofisiti. Intanto, l’imperatore Eraclio, di fronte alla minaccia sempre più pressante delle invasioni e della disgregazione in atto nell’impero bizantino, ritenne necessario recuperare l’unità religiosa. Pertanto, emanò nel 638 l’Ekthesis, un editto che imponeva il monotelismo e che, com’era naturale, provocò forti polemiche e la netta opposizione della Chiesa romana, nonostante l’abile patriarca Sergio fosse riuscito astutamente a coinvolgere in qualche maniera papa Onorio I (625-638). Nel 648, l’imperatore Costante II, nel tentativo di porre fine alle laceranti dispute teologiche, emanò un altro decreto, il Typos, con il quale proibiva ogni discussione circa l’unicità o dualità della volontà ed energia in Cristo. Si trattava naturalmente di un intervento senza alcun significato, in quanto pretendeva di determinare la verità, e quindi la concordia ecclesiale, imponendo il silenzio. Di fronte a tale situazione, l’anno successivo, papa Martino I convocò un sinodo in Laterano3, che condannò il monotelismo e ribadì la dottrina delle «due volontà e delle due operazioni» presenti in Cristo, secondo quanto affermato dal Concilio di Calcedonia. Per porre fine alle varie dispute e alle conseguenti lacerazioni, venne convocato a Costantinopoli un nuovo concilio che fu detto Trullanum perché si tenne nella sala conica (trullos) del palazzo imperiale dal 7 novembre del 680 al 16 guglio del 681, sotto la presidenza dei legati papali. Esso procedette alla condanna del monotelismo.
    Il quinto e il sesto concilio, tenutisi entrambi a Costantinopoli, avevano affrontato delicati temi teologici, ma non avevano adottato deliberazioni disciplinari. Per sopperire a questa lacuna, l’imperatore Giustiniano II Rhinotmèto4 convocò un nuovo sinodo, che si tenne dal 691 al 692, passato anch’esso alla storia come Trullanum o Quinisextum in quanto voleva essere un’integrazione dei due precedenti concili. In esso vennero approvati 102 canoni concernenti appunto la vita e la disciplina ecclesiali. Pur volendo legiferare per la Chiesa universale, questo sinodo adottò, però, come criterio legislativo ispiratorio, il diritto canonico bizantino, per cui, con diversi canoni, si prese posizione, expressis verbis, contro la Chiesa occidentale e le sue norme. Ad esempio, il can. n. 1 reiterava l’anatema contro papa Onorio che il quinto concilio aveva condannato per eresia non essendosi opposto in maniera inequivocabile al monotelismo; il can. n. 36 replicava il can 28 di Calcedonia che affermava il coprimato tra le Chiese di Roma e di Costantinopoli (nuova Roma), già respinto a suo tempo da papa Leone I Magno; il can. n. 55 prendeva posizione contro il digiuno nei sabati di quaresima.
    Naturalmente la tensione tra Roma e Costantinopoli crebbe e l’Imperatore cercò di costringere con la forza papa Sergio I (687-701) e, successivamente, papa Giovanni VII (705-707) a riconoscere i canoni approvati, senza però riuscirvi. 

 Il ruolo di papa Costantino e il suo viaggio in Oriente
    Una nuova fase nei rapporti tra la Chiesa occidentale e quella orientale si aprì con l’elezione al soglio pontificio di Costantino, dopo la morte di papa Sisinnio5. Eletto il 7 marzo del 708 («Die septima Martii creatus Pontifex Constantinus natione syrus»)6, Costantino, di origine siriana come il suo predecessore7, durante il suo pontificato dovette affrontare delicate questioni relative non solo al primato, ma anche alla giurisdizione papale in Italia a causa delle pretese di autocefalìa espresse nelle regioni dell’Esarcato, in particolar modo a Ravenna. Il nuovo Pontefice, però, aveva eccellenti doti diplomatiche e notevole intuito, per cui seppe districarsi ottimamente nelle complicate vicende politico-religiose dell’epoca, riuscendo ad ottenere importanti risultati nelle controversie con il mondo bizantino e un’effettiva distensione nelle relazioni tra Roma e Costantinopoli. Egli, infatti, aveva intuìto che, per il bene della Chiesa e del papato, l’opportunità offertagli da Giustiniano II, che sembrava disponibile ad abbandonare la via della costrizione per quella del confronto e del dialogo, non andava fatta naufragare. Per questo, accettò l’invito di recarsi a Costantinopoli per trovare un accordo con l’Imperatore sui canoni approvati nel sinodo del 691-’92, esponendosi ai notevoli rischi di un viaggio lungo e faticoso. Ma è bene seguire la vicenda attraverso la testimonianza delle fonti storiche.
    Nell’autunno dell’anno 709 («Redemptoris annus septingentesimus nonus, Indictione septima, quo mense Octobri iam inchoata»), Giustiniano II chiese per iscritto al Papa di recarsi a Costantinopoli («Justinianus Imperator [...] accersit ad urbem Constantinopolim Constantinum Papam»8 ), a partire dal mese di settembre dell’anno successivo («a mense Septembri Indictione octava»)9. L’Imperatore si premurava di usare nei confronti del Pontefice un tono quanto mai indulgente («precibus additis»), assicurandogli altresì ogni garanzia circa la sicurezza del viaggio e l’incolumità fisica («omnique securitate praestita»). Dichiarava apertamente che lo scopo dell’invito consisteva esclusivamente nella volontà di porre fine alle controversie relative ai canoni aggiunti nel sinodo del 691-‘92 ai canoni dei concili V e VI («ut finis aliquis controversiae ob canones ad Quintam, et Sextam Synodum superadditos ponetur»10).
    Aderendo alla richiesta imperiale, il 5 ottobre del 710 papa Costantino s’imbarcò, sulle navi messe a disposizione dall’Imperatore, dal porto di Ostia11 («egressus est a Portu Romano die quinta mensis Octobris, Indictione octava») con il suo seguito, del quale facevano parte «Nicetas Episcopus Silvae Candidae, Georgius Episcopus Portuensis, Michaelius, Paulus, Georgius praesbyteri, Georgius diaconus, Georgius secundicerius12, Joannes primus defensor, Cosmas sacellarius13, Sisinnius nomenclator14, Sergius scriniarius15, Dorotheus et Julianus subdiaconi» e numerosi altri chierici appartenenti ai restanti gradi della gerarchia ecclesiale («et de reliquis gradibus Ecclesiae non pauci clerici»). Dopo una breve sosta a Napoli, dove fu lasciato il prete Giorgio, presumibilmente per ragioni di salute («Georgius vero presbyter Neapoli relictus est»), il Papa con il suo seguito si diresse in Sicilia dove fu accolto con grande venerazione dal patrizio e stratega Teodoro, che, ammalato, andando incontro al Pontefice e salutandolo e accogliendolo con grande venerazione, ottenne un rapido miglioramento («Pontifex cum suis in Siciliam perrexit, ubi Theodorus Patricius extraticus languore detentus, accurrens Pontifici, magna cum veneratione salutans atque suscipiens, medelam adeptus est celerem»). Non è possibile individuare la località siciliana in cui il Papa sbarcò, ma la presenza di un’autorità politica e militare come il patrizio e stratega fa supporre che si trattasse di un centro di una certa importanza. Dalle indicazioni riguardanti la prosecuzione del viaggio, secondo le quali il Papa lasciò la costa siciliana dirigendosi verso Reggio e Crotone («Atque inde egrediens per Rhegium et Cortonam»), si può ipotizzare che sia stata Messina la città siciliana nella quale egli si fermò.

                                Salvatore  MARRA   (I° parte)


COSTANTINO (708-715)   II° parte

La sosta a Gallipoli e il soggiorno ad Otranto    
    Dalla Sicilia, il Papa, navigando lungo la costa calabra, raggiunse Gallipoli, dove fece sosta («Atque inde egrediens per Rhegium et Crotonam, transfretavit Calliopolim»). Non è possibile, alla luce dei dati documentari, stabilire quanto tempo sia durato il soggiorno gallipolino di papa Costantino. Certamente, però, il Pontefice dovette trattenersi alcuni giorni, considerato che, mentre egli e il suo seguito erano in questa città, morì il vescovo Niceta («ubi mortuus est Nicetas Episcopus»)16. Si tratta, ovviamente del vescovo di Silva Candida, accompagnatore del Pontefice, e non del Pastore del luogo, come si potrebbe pensare. A questo proposito, va precisato che non ci è dato conoscere il nome del vescovo di Gallipoli che accolse il Papa, risultando per quel periodo marcatamente lacunosa la cronotassi dei vescovi gallipolini.
    Da Gallipoli, papa Costantino si spostò a Otranto («Hydruntum, vulgo Ottranto, urbs est in ora Maris Adriatici posita») dove, sopraggiunto ormai il periodo invernale, dimorò alcuni mesi («Hydrunti moras faceret, eo quod hyems erat») in attesa della bella stagione per riprendere il viaggio. Otranto era, all’epoca, il centro di maggiore importanza della provincia bizantina di Terra d’Otranto sotto il profilo politico-militare, anche se, come Gallipoli, in spiritualibus ricadeva sotto la giurisdizione del Papa17. Mentre il pontefice Costantino soggiornava in Otranto, l’Imperatore si premurò di fargli pervenire, mediante un alto dignitario, il regionario Teofanio, un documento con il sigillo imperiale con il quale si decretava che in ogni luogo in cui il Papa fosse giunto venisse riverito da tutti i magistrati alla stessa stregua dell’imperatore in persona («illic suscepit sigillum imperiale per Theophanium Regionarium, continens ita ut ubi denominatum contingeret adesse Pontificem, omnes judices ita eum honorifice susciperent, quasi ipsum praesentialiter Imperatorem viderent»)18.
    Non è possibile identificare con assoluta certezza il vescovo di Otranto che ospitò il Pontefice. L’ultimo Pastore idruntino prima del 710, di cui ci è pervenuto il nome, è Giovanni, che risulta titolare della diocesi nel 680, il cui episcopato, stando alla Cronotassi iconografica ed araldica dell’Episcopato Pugliese19, sarebbe durato sino al 689. Dopo tale data, nella serie dei vescovi di Otranto vi è un’ampia lacuna. Questo non esclude che il vescovo Giovanni fosse ancora in vita nel 710 e che, quindi, sia stato lui ad accogliere papa Costantino. Il vescovo Giovanni partecipò, infatti, al concilio detto Trullanum e, poiché con questo nome si indicano sia il concilio del 680-‘81 che il sinodo del 691-‘92, è possibile che Giovanni abbia partecipato a quest’ultimo e che quindi non abbia cessato di guidare la diocesi nel 689, data anzi che potrebbe essere quella iniziale del suo episcopato, considerata l’alta probabilità, nella trascrizione della data, di scambiare il 689 con il 680. Non è da escludere, quindi, che sia stato il vescovo Giovanni ad ospitare papa Costantino ad Otranto. Da rilevare, inoltre, che Giovanni prese parte al concilio come Eparca di Calabria, ossia di Terra d’Otranto, titolo che lascia intendere già avviato, per Otranto, un processo di bizantinizzazione anche nella sfera religiosa, essendo denominate eparchìe le giurisdizioni episcopali della Chiesa orientale. È possibile pertanto, specie se Giovanni partecipò al sinodo Trullanum del 691-‘92, che il Pontefice abbia scelto di proposito di trascorrere alcuni mesi nella sede idruntina, sia per consultarsi con chi aveva diretta cognizione dei canoni approvati in quell’assise sinodale, sia anche per ribadire, con la sua presenza a Otranto, che Roma considerava la diocesi idruntina pienamente ricadente sotto la sua giurisdizione. Certo è che solo verso la metà del X secolo Otranto passò sotto il controllo ecclesiale costantinopolitano. 
    Non conosciamo la data precisa in cui il Papa lasciò Otranto, ma certamente rimase in città per alcuni mesi, sino all’inizio della  primavera del 711 («in qua [nella città di Otranto] ideo hyemavit Constantinus et vere ineunte, anni DCCXI, Constantinopolim pervenit»)20.

L’arrivo a Costantinopoli
    Partito dal porto di Otranto, papa Costantino e il suo seguito fecero tappa sulla sponda greca («Egressi e portu scilicet Hydruntino, partes Graeceae contingentes»), precisamente sull’isola di Croia («in insula quae dicitur Coea»). Qui il Pontefice fu accolto con ogni sollecitudine e con tutti gli onori dal patrizio e stratega Teofilo («accurrit Theophilus Patricius et Strategus, id est Dux, curiavisianorum, et cum summo honore eum suscepit, et amplectens ut jussio continebat»). Avendo ripreso il viaggio («iter absolvit pergere coeptum»), da questa località giunsero a sette miglia di distanza da Costantinopoli («A quo loco navigantes venerunt a septimo milliario Constantinopolim») dove, trovandosi l’imperatore Giustiniano a Nicea di Bitinia, andò incontro al Pontefice il figlio e successore designato dell’imperatore, ossia Tiberio, («Ubi egressus Tiberius Imperator filius Justiniani Augusti»), che accolse festosamente il Papa con le autorità, il Senato, il patriarca Ciro, il clero e una grande moltitudine di fedeli («cum Patriciis et omni Syncleto, nempe senatu, et Cyrus Patriarcha cum clero et populi multitudine, omnes laetantes»). Con questa accoglienza solenne il Pontefice fece il suo ingresso nella città di Costantinopoli («Pontifex autem et ejus primates cum sellaribus imperialibus sellis et frenis inauratis simul et mappulis, ingressi sunt civitatem»), dirigendosi rapidamente verso la regale residenza Placidia, dove fu ospitato («in Placidias, ubi hospitaturus erat, properavit»).
    Nel frattempo, l’imperatore Giustiniano, avvisato a Nicea dell’arrivo del Papa, pieno l’animo di grande gioia, ringraziò Dio («Dominus autem Justinianus Imperator eius adventum, magno repletus gaudio [...], misit sacram gratiarum actione plenam»). Papa Costantino e Giustiniano II si incontrarono, dopo alcuni giorni, a Nicomedia. L’Imperatore, giunto al cospetto del Papa, si prostrò con grande umiltà («In die autem qua se invicem viderunt, Augustus Christianissimus cum regno in capite sese prostravit, pedes osculans pontificis»); poi i due si abbracciarono fraternamente («deinde in amplexum muutum corruerunt»), suscitando grande gioia in tutto il popolo («facta est laetitia magna in populo»). La domenica, l’Imperatore partecipò alla Messa celebrata dal Papa e si comunicò direttamente dalle sue mani («Die vero Dominico Missas Imperatori fecit et comunicans Princeps ab eius manibus»).
    Nei colloqui che seguirono riguardo alla ragione per la quale il Pontefice si era recato a Costantinopoli, il Papa riconobbe i decreti del Sinodo del 691-‘92, previa espunzione di tutte le norme che confliggevano con l’ordinamento giuridico della Chiesa romana e con la sua dignità («Costantinum primum fuisse e pontificibus Romanis qui canones Trullanae Ecclesiae Romanae decretis non adversantes probavit»). Giustiniano II otteneva così da papa Costantino ciò che non gli era riuscito dai precedenti pontefici Sergio I e Giovanni VII («Iustinianus quod a Joanne VII postularat ab eo obtinuisse»). L’Imperatore, da parte sua, rinnovò il riconoscimento di tutti i privilegi della Chiesa di Roma e dei suoi pontefici, compreso il primato («omnia privilegia Ecclesiae renovavit»)21. Veniva così inaugurato, tra Costantinopoli e Roma, un periodo di pace che sarebbe durato per oltre un secolo e mezzo, sino cioè alla lacerazione prodotta dal patriarca costantinopolitano Fozio che, nell’867, scomunicò papa Nicola I.

Il rientro del Papa in Italia
    Papa Costantino si trattenne in Oriente per alcuni mesi. Il suo rientro in Italia avvenne alla fine del 711 «Septingentesimus undecimus Domini adest annus»). Il Baronio, attingendo alla cronaca di Anastasio Bibliotecario, ci informa che il Pontefice, quando lasciò Nicomedia, era logorato da continue malattie («Egressus igitur a Nicomedia civitate, crebris valetudinibus Pontifex attritus»). Finalmente, dopo il lungo tragitto, concedendogli il Signore la salute, giunse incolume al porto di Gaeta («tandem sospitatem Domino tribuente, incolumis ad portum Caietae pervenit»), dove lo attendevano numerosi sacerdoti e una grande moltitudine del Popolo Romano («ubi sacerdotes, et maxime populi Romani reperit moltitudinem»). Il 24 ottobre 711, Costantino rientrò in Roma («ac vigesimaquarta die mensis Octobris, Indictione decima, Romam ingressus est»). Il viaggio del Papa a Costantinopoli non ebbe un carattere esclusivamente diplomatico, bensì anche pastorale. Egli, infatti, sia all’andata che al ritorno («in eundo, et redendo»), nei luoghi in cui fece sosta («per diversa loca»), ordinò diversi vescovi («fecit autem ordinationes Episcoporum»), per un totale di dodici («Episcopos duodecim»)22.
    Il Pontefice, però, al suo rientro a Roma, trovò la popolazione in uno stato di grave prostrazione. Infatti, l’esarca di Ravenna, Giovanni Rizocopo, subito dopo la sua partenza, aveva assalito la città, cercando di impadronirsene. Alla ferma opposizione dei Romani, aveva risposto con estrema crudeltà, uccidendo gli ecclesistici che non si erano a lui sottomessi e seminando il terrore tra i cittadini. Poco dopo, inoltre, a Roma giunse anche la notizia dell’assassinio dell’imperatore Giustiniano II per mano di Filippico Bardanes, che si autoproclamò imperatore («Iustinianus, christianissimus, et ortodoxus Imperator, trucidatus est, et Philippicus haereticus in Imperiali promotus est arce»)23, e che tentò di avere l’approvazione del Papa, minacciando la reintroduzione del monotelismo. Per questo il cronista lo definisce «haereticus».
    Papa Costantino, al cui nome sono, quindi, storicamente legate le città di Gallipoli e di Otranto, guidò la Chiesa per altri quattro anni, sino al 9 aprile 715, data della sua morte.

Salvatore MARRA