L'ancestrale rapporto Terra Cielo

L’elaborazione di un modello che comprenda in un’immagine l’intero universo, dovrebbe prescindere dal privilegiare un punto interno al sistema. L’essere umano, abitante della Terra, questa infinitesima parte del tutto, ha l’idea che il cosmo si sia espanso partendo da un originario big-bang (opinione tuttora prevalente, anche se affiancata da teorie quantistiche e da modelli di universi multipli “a bolle”). Tale condizione conferisce all’universo una forma curva ed espansa, all’interno della quale “vivono” elementi costituiti da materia ed energia, secondo la formula di Einstein, che riduce a semplice il complesso. Vibrazioni energetiche originarie ancora si espandono, propagandosi in onde fotoniche che trasmettono luce ed in onde fonetiche che trasmettono suoni, secondo leggi fisiche intrinseche al tutto equilibrato.
Un qualsiasi punto di tale universo, nel quale vi possa essere un’entità pensante, non può, questa, non percepire un macro sistema fisico ed energetico che l’avvolge, simile al grembo materno e protettivo di una grande madre.
L’essere umano egli stesso un “universo”, conglomerato di energia e materia, si relaziona con il tutto per mezzo delle sue facoltà percettive e ne ricava modelli, partendo da ciò che egli vede e sente, per ricostruire mentalmente anche ciò che non gli è permesso vedere e sentire. Guardandosi intorno ed alzando gli occhi al cielo, l’uomo, sin dalle origini e soprattutto in fase glaciale, ha percepito di avere sopra di sé una calotta celeste avvolgente fino ai limiti di un orizzonte, che ha letto essere corrispondente ai confini della terra. Egli li ha concepiti quali estremi di una piattaforma percorribile in tutte le direzioni, fino a montagne invalicabili ed inviolabili, perché rappresentavano, esse, il sostegno della cupola del cielo.
L’immagine di una volta celeste a forma di calotta perdura nel tempo, poiché da qualsiasi luogo della terra si guardi si ha la percezione di un’atmosfera avvolgente fino ai limiti di un orizzonte che noi sappiamo essere di forma circolare, corrispondente ad una delle tante apparenti sezioni di una terra sferica.
L’osservazione del cielo ed il calcolo dei cicli cosmici, del sole, della luna e delle stelle più brillanti nel cielo notturno, hanno permesso di venire anche a conoscenza di grandi cicli del moto di stelle apparentemente fisse.
Le devastazioni climatiche del post-glaciale, accompagnate da fulmini che sembravano squarciare la volta celeste, ispirarono un modello di cosmo simile alla tela del ragno, che vibrava e si lacerava sotto l’effetto di un’azione malefica di una grande ragno, non più protettiva come la grande madre.
Superata la fase turbolenta del passaggio dal Pleistocene all’Olocene, la calotta celeste sembrò stabilizzarsi raggiungendo l’equilibrio di un fecondo periodo interglaciale. L’umanità superstite degli eventi caotici ricominciò ritmare il suo tempo facendo riferimento alla costellazione di Orione, l’antropomorfo celeste, che si era ribaltato a clessidra in fase di passaggio precessionale.
La consapevolezza che il suo lento moto nel cielo avrebbe segnato un nuovo ciclo millenario, suggerì di stabilire in terra precisi riferimenti visibili ed incorruttibili. Ebbe origine così un programma planetario, noto come arte megalitica, corrispondente ad un’operazione di calcolo astronomico, che prendeva origine da una precisa volontà di fare della Terra il riflesso del cielo ed in questo rapporto di connessione, tra il micro ed il macrocosmo, stabilire vincoli di stabilità fisica.
Particolari punti del pianeta, intesi come privilegiati canali d’energia, divenivano luoghi di riferimento per costruzioni che perpetuavano nel tempo quella operazione originaria tendente alla ricerca degli equilibri cosmici, che, più che scientifica, appare oggi mistica. La sacralità riconosciuta a determinati luoghi, direttamente connessa con le credenze sviluppate nelle distinte religioni delle varie culture, ha fatto sì che le genti impiegassero immense energie in costruzioni adeguate a stabilire i contatti necessari tra la terra ed il cielo.
Altari all’aperto, dai quali si elevava la colonna del fuoco sacro, ebbero ben presto dei templi a loro protezione, e santa sanctorum come luoghi di accoglienza delle divinità. L’osservazione del cielo favoriva le conoscenze astronomiche, matematiche e geometriche, finalizzate al calcolo dei cicli cosmici, che procedevano di pari passo con l’elaborazione di riti di propiziazione e di ringraziamento verso le divinità benefiche, che assicuravano in terra l’equilibrio e la perfezione del cosmo.
Riproduzioni formali di modelli universali in scala ridotta (così da rapportarla alla dimensione umana) davano origine all’architettura, che è tale solo quando soddisfa il principio dell’abitabilità minima, ossia di una cellula abitativa che è tanto più rispondente alla esigenze naturali dell’essere umano, quanto più implica una spazialità avvolgente e protettiva, ad imitazione della volta celeste.
Dimensioni e forme che richiamano la configurazione e l’ordine del cosmo, così come l’uomo lo concepisce dal suo privilegiato punto d’osservazione, sono presenti nell’architettura di tutti i tempi ed in tutte le civiltà. La costruzione di strutture architettoniche non implica solo la soluzione di problemi tecnici, ma tanto più i processi architettonici appaiono arditi, quanto maggiore è l’aspirazione dell’ideatore a rispondere a precisi criteri di armonie nell’elevare verso il cielo delle opere, che rispettino i rapporti proporzionali della perfezione celeste.
L’arditezza che caratterizza ogni modello innovativo non modifica il concetto originario, poiché alla base delle forme geometriche applicate vi è, in ogni caso, il numero. Il numero, che presiede all’ordine di tutta la struttura cosmica, ugualmente si pone alla base di tutte le trasformazioni, fino alle più ardimentose della forma in architettura, così che si possa passare da elementi geometrici semplici a figure più complesse, senza tuttavia venire meno al principio di una totalità che le comprenda tutte: la sfera -e la cupola emisferica-, quale elemento espressivo più soddisfacente di tale principio, costituendo la forma più vicina alla visione che l’essere umano ha del cielo, in qualsiasi luogo egli si ponga.

Marisa GRANDE