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FUNZIONI E LIMITI DELL'AMMINISTRAZIONE CONDOMINIALE  (I PARTE)

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Quello dell'amministratore di condominio è forse uno dei ruoli professionali più singolari esistenti nel panorama giuridico. Si tratta di una figura che, nel corso degli anni, a causa del progressivo moltiplicarsi e delinearsi delle esigenze condominiali, ha necessariamente dovuto specializzarsi e rendersi autonoma.
Oramai definitivamente conclusi i tempi dell'amministratore interno o del c.d. "capo condomino" che dir si voglia, scelto tra i condomini e, sovente, protagonista nel bene o nel male di folkloristiche vicende (si badi, con le dovute e positive eccezioni), oggi quella dell'amministratore condominiale è divenuta una professione a tutti gli effetti e, come tale (in omaggio ai nostri tempi), affollata ed, a volte, inflazionata.
Considerata l'eterogeneità delle mansioni e le singole specificità normalmente richieste, infatti, l'amministratore dovrebbe saper essere un esperto contabile, un valido tecnico edile, un buon giurista ed anche uno psicologo.
Sotto il profilo normativo, tuttavia, quella dell'amministratore di condominio sembra essere una professione in fatto ma non in diritto, poiché le sue caratteristiche risultano poco definite dal punto di vista normativo, determinandone una nozione complessa.
Anche in questo settore, comunque, le esigenze di specializzazione e di competenza, oltre alla immancabile saturazione, stanno conducendo ad una evoluzione del mercato, attraverso l'istituzione di corsi specialistici, la creazione di associazioni a carattere nazionale o locale, la costituzione di albi privati. Tali iniziative, però, non possono modificare uno stato delle cose che vede questo mestiere poco tutelato ed inquadrato giuridicamente, nonché praticamente troppo subordinato ai condomini (i quali, molto spesso, per incoerenza e testardaggine, ne determinano l'immobilità e ne sviliscono le prerogative).
Per fare l'amministratore, in realtà, non sono richiesti specifici titoli di studio né l'appartenenza a determinate associazioni ovvero l'iscrizione a particolari albi (come detto, amministratore potrebbe essere uno qualsiasi tra i condomini).
Tutto ciò è determinato dall'essenza stessa del condominio, che deve essere giuridicamente considerato non come un'unità, bensì come un insieme di condomini i quali, in quanto comproprietari, decidono insieme (più o meno democraticamente) tutto quanto concerne la vita condominiale: regole, interventi, modificazioni, spese ed anche la nomina e la revoca dell'amministratore.
In estrema sintesi, dunque, il condominio (per il quale, nel Codice Civile non esiste una definizione), non è altro che una "contitolarità" (ex lege od ex contracto) di diritti ed oneri relativi allo stesso bene, ovvero sia, secondo la definizione data dalla più recente giurisprudenza (Cass. n. 3064/2007) un c.d. ente di gestione (non può essere assimilato, pertanto, ad una persona giuridica).
Il ruolo dell'amministratore condominiale, quindi, non può che essere strettamente condizionato dalla natura del condominio.
L'amministratore condominiale ha la precipua funzione di mettere ordine ed è, salvo qualche specifica eccezione, totalmente soggetto al volere dell'assemblea, la quale può decidere in qualsiasi momento di contrastarlo, di censurarlo, di "licenziarlo".  Conseguentemente, determinarne la natura giuridica risulta estremamente complesso, data l'estrema peculiarità dei tratti caratteristici.
E' chiaro che, se il condominio fosse fornito di personalità giuridica, l'amministratore sarebbe un organo dell'ente - condominio.  Le sue prerogative, pertanto, potrebbero essere cooptate da quelle stabilite dal Codice Civile con riferimento all'amministratore delle società di capitali.
In realtà (sintetizzando, ancora una volta, l'enorme dibattito dottrinale), l'amministratore condominiale deve essere considerato un semplice mandatario con rappresentanza, sia pure evidenziando qualche particolarità rispetto alla disciplina dettata dagli artt. 1703 c.c. e seg. (particolarità che concernono gli specifici poteri attribuiti all'amministratore dalle norme in tema di condominio). Si tratta, pertanto, di un soggetto al quale viene conferito il mandato (collettivo) di compiere una serie di atti di amministrazione nel corso di un periodo limitato di gestione, essendo sempre soggetto a revoca.
La nomina di un amministratore, invero, è imposta dall'art. 1129 comma 1 c.c. allorquando i condomini siano più di quattro. In caso di mancata nomina da parte dell'assemblea, ciascun condomino può chiederne la nomina al Giudice con ricorso (l'autorità giudiziaria, sempre previo ricorso, può provvedere, in alcune specifiche ipotesi, anche alla revoca).
La fragile posizione professionale dell'amministratore balza agli occhi nel successivo comma 2, ove è stabilito il limite di un anno alla sua durata in carica (la nomina deve essere rinnovata ogni anno) e, soprattutto, la possibilità di revoca "in ogni tempo" da parte dell'assemblea. L'amministratore, infine, può essere revocato dall'autorità giudiziaria, su ricorso del singolo condomino, in tre casi:  se "per due anni non ha reso il conto della sua gestione", se vi siano "fondati sospetti di gravi irregolarità" od, infine, qualora ometta di dare notizia all'assemblea di azioni giudiziarie o provvedimenti amministrativi riguardanti il condominio che abbiano un contenuto esorbitante le proprie attribuzioni.
Le attribuzioni dell'amministratore sono specificate all'art. 1130 c.c., ove è stabilito che "L'amministratore deve: 1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio; 2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini; 3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni; 4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.  Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione".
L'amministratore detiene, nei limiti delle sopra indicate attribuzioni, il potere di rappresentanza dei condomini e "può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi" (c.d. rappresentanza processuale attiva), nonché, ovviamente, "essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni" (rappresentanza processuale passiva).
L'art. 1133 c.c. dispone che i provvedimenti presi dall'amministratore nell'ambito dei suoi poteri "sono obbligatori per i condomini", i quali possono comunque presentare ricorso all'assemblea condominiale, oltreché agire giudizialmente ex art. 1137 c.c.
Tutti gli elementi normativi sino ad ora indicati, concorrono a delineare la figura dell'amministratore di condominio e devono essere letti alla luce di altre disposizioni (in particolare dell'art. 1135 c.c. che individua le attribuzioni dell'assemblea).  
A tal proposito, già riguardo alla prima delle attribuzioni di cui all'art. 1130 c.c., emergono taluni elementi che, in conclusione di questa trattazione, meritano di essere approfonditi.
Invero, l'obbligo di eseguire le deliberazioni dell'assemblea, che si riferisce esclusivamente alle cose ed alle parti comuni del condominio (Cass. n. 954/1977), è il miglior ritratto del mandato conferito dai condomini all'amministratore. Questi è libero di determinare le modalità di attuazione delle deliberazioni, sempreché le stesse non siano predeterminate, ed è legittimato ad agire in giudizio nei confronti del singolo condomino e dei terzi "senza la necessità di una specifica autorizzazione assembleare" (Cass. 9378/1997).
Anche per quanto concerne l'osservanza del regolamento di condominio, l'amministratore può agire in giudizio contro i condomini (Cass. n. 16240/2003), potendo essere, in teoria, autorizzato ad irrogare sanzioni laddove il regolamento lo preveda espressamente.  In realtà la Corte di Cassazione ha statuito chiaramente come l'amministratore non sia dotato ex se di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei condomini, "salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 disp. att. c.c., preveda la possibilità di applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose comuni" (Cass. n. 8804/1993).
Alla luce di questa precisazione, possiamo concludere con una considerazione che appare sbalorditiva, nonché alquanto sintomatica in ordine alle potenzialità dell'amministratore di condominio:  la sanzione stabilita dall'art. 70 disp. att. c.c. per le infrazioni al regolamento di condominio è, nondimeno, il pagamento di una somma che, nel limite massimo, non può superare le € 0,05; Secondo la giurisprudenza, peraltro, "sono nulle, in quanto «contra legem», le eventuali delibere assembleari che dovessero prevedere sanzioni di importo maggiore" (Cass. n. 948/1995). Alias, una freccia spuntata.

Giuseppe VINCI