La Gallipoli sotterranea

La morfologia geologica di Gallipoli attraversò una fase di assestamento nel periodo pliocenico, riscontrabile nelle formazioni di arenarie, composte da sabbie argillose giallastre e marne argillose grigio-azzurre. Tali sedimentazioni, che ebbero origine in fondali poco profondi, come dimostra la presenza dei resti di organismi marini fossilizzati, confermano l’azione metamorfica, geologica e litologica avvenuta per mezzo delle trasformazioni fisiche, chimiche e biologiche subite dalle rocce. Durante l’ultimo milione di anni, prima che l’intera Puglia potesse emergere definitivamente dal mare, le fasi alterne di abbassamento e di innalzamento del livello marino formarono una ulteriore sedimentazione di sabbie mediamente cementate, impropriamente note come tufi.
Nel territorio di Gallipoli l’estesa formazione di un calcare arenaceo concrezionato, chiamato carparo, ha fornito un resistente materiale da costruzione. La pietra, che appena estratta è facilmente lavorabile sia per mezzo di strumenti da taglio, che permettono di ottenere forme lineari, che per mezzo di scalpelli adatti a modellarla, è impiegata in architettura per la sua buona resistenza alla compressione, qualità necessaria per conferire solidità alle strutture.
Lo sfruttamento dei banchi rocciosi per ricavare conci di tufo ha trasformato alcune aree del territorio in profonde cave di estrazione.
L’intensa attività estrattiva è avvenuta fino a tempi recenti per mezzo dei cavatori o zoccatori, un termine locale derivato dalla loro azione, per la quale si soleva adoperare il verbo zoccare.
Essi utilizzavano utensili a mano per penetrare nella roccia ed ottenere blocchi omogenei, secondo una tecnica mantenuta quasi inalterata fino al ventesimo secolo. Impiegando il piccone, attrezzo a manico lungo di legno, provvisto di un ferro a due punte, si cavavano cuzzetti, o blocchi dalle misure variabili per l’impiego in architravi o in elementi di sostegno, come colonne e pilastri, o in decorazioni per interni ed esterni.
L’estrazione avveniva dopo aver effettuato un’operazione di saggio, ossia, una volta eliminato il terreno vegetale, si procedeva ad uno scavo a pozzo di sezione quadrata o rettangolare.
L’apertura superficiale era allargata man mano che si scendeva in profondità, seguendo una direzione possibilmente obliqua. L’ampliamento del foro, rispetto al punto di partenza, serviva per aumentare l’estensione dell’area da sbancare, ma, data la presenza di strati più compatti alternati a quelli tufacei, si realizzava in modo da assicurare alla cava una adeguata forma strutturalmente resistente.
Per poter scendere e risalire venivano praticati nelle pareti dei fori, dove gli addetti appoggiavano mani e piedi. Il materiale estratto veniva portato in superficie utilizzando grosse carrucole o sistemi rotanti con grossi cilindri di legno pieno, poggianti su strutture dello stesso materiale, montate all’esterno ad una certa altezza da terra.
Il manovratore azionava tali macchine per srotolare nelle cave delle grosse funi, alle cui estremità si legava il materiale da portare in superficie. Oggi per l’estrazione, che avviene a cielo aperto, si usano macchinari elettrici, che permettono di ottenere una produzione di conci di tufo perfetta e molto più veloce rispetto a quella manuale, che richiedeva impiego di enorme fatica e di tempo. Le antiche cave di estrazione si estendono in profondità nel sottosuolo formando delle gallerie sotterranee “a volta”, spesso anche comunicanti tra loro.
Si può dire che il territorio di Gallipoli e quello limitrofo risultano in buona parte cavi, sia per l’attività dei cavamonti, che per la presenza dei frantoi ipogei scavati nella città antica. L’equilibrio esistente tra le forze agenti permette di assorbire le vibrazioni provocate dal passaggio dei veicoli e dalle attività effettuate in superficie, ma a volte si aprono voragini stradali e crepe sui muri delle abitazioni, che vanno risanate procedendo ad operazioni di consolidamento.
Le gallerie formate a seguito dell’estrazione del materiale lapideo, presenti nel Borgo e nelle aree periferiche, possono essere individuate e tutelate per garantire la stabilità del territorio e per evidenziare la loro importanza storica, poiché testimoniano l’abilità dei cavatori e il loro duro lavoro. Corredandole di appropriate strutture di accesso, potrebbero essere visitate, senza tuttavia alterare l’originaria configurazione, conferita loro dall’ammirevole e apprezzabile maestria delle mani abili dei cavatori locali, cui le cave hanno assicurato la sopravvivenza.

Cosimo PALESE