Essere cristiani...

...NELLA SOCIETA’ CONTEMPORANEA: UNA SFIDA E UN IMPEGNO

Mi sembra doveroso, e per questo ringrazio il carissimo Prof. Giungato, richiamare anche dalle pagine di questo giornale la necessità della conoscenza, da parte del cristiano maturo, delle linee fondamentali della Dottrina Sociale Cattolica.
E’, infatti, mia profonda convinzione che l’odierna discussione su alcuni temi cruciali che riguardano la città di Gallipoli e, nondimeno il Salento e, in generale, la nostra società, costituiscano il segno di una chiara sensibilità legata alla questione sociale, dinanzi alla quale è giunto il momento, da parte di tutti, di smettere i panni dello spettatore per indossare quelli del soggetto impegnato e responsabile.
Se tutto ciò rappresenta un preciso dovere morale per ogni buon cittadino, per il cristiano diventa testimonianza evangelica in un mondo che ha sempre più bisogno di riscoprire il senso e il gusto di Dio per una convivenza pacifica e felice.
Mi preme, perciò, richiamare al riguardo due principi fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa, quello personalista e quello del bene comune.
Si tratta realmente di due pilastri senza i quali la società civile degenera nella situazione hobbesiana del “bellum omnium contra omnes”1 e la persona umana precipita in una sorta di deplorevole degrado animalesco.
Il principio personalista costituisce il punto di partenza della Dottrina Sociale della Chiesa. Esso, presente come filo conduttore nell’intera dottrina cristiana, è stato adeguatamente teorizzato da numerosi interventi del Magistero della Chiesa, tra cui quello del papa Giovanni Paolo II, di v.m., nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999: “La dignità della persona umana è un valore trascendente, sempre riconosciuto come tale da quanti si sono posti alla sincera ricerca della verità. L’intera storia dell’umanità, in realtà, va interpretata alla luce di questa certezza. Ogni persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26-28), e, pertanto, radicalmente orientata verso il suo Creatore, è in costante relazione con quanti sono investiti della medesima dignità. La promozione del bene dell’individuo si coniuga, così, con il servizio al bene comune, là dove i diritti e i doveri si corrispondono e si rafforzano a vicenda”.2
Queste eloquenti parole di Giovanni Paolo II ben esprimono la premessa indispensabile per ogni azione sociale giusta ed onesta: la considerazione della persona umana sempre come fine e mai come mezzo, sempre come soggetto dotato in sé di un valore e di una dignità inestimabili, frutto del progetto del Creatore, mai come oggetto manipolabile secondo l’arbitrio di pochi.
Tutti dovremmo chiederci con molta serietà in che misura il nostro impegno sociale rispecchi fedelmente questa nobile concezione della persona.
In secondo luogo, è opportuno approfondire la visione cristiana del bene comune quale finalità concreta che il cittadino cristiano si propone nel suo impegno a servizio della società.
Il bene comune è rappresentato dall’ “insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente”.3
Tale bene è, per definizione, indivisibile e può essere raggiunto soltanto mediante lo sforzo di tutti, tenendo naturalmente conto delle particolari condizioni sociali e dei reali problemi delle persone che abitano la stessa società.4
Queste riflessioni, presentate sic et simpliciter all’attenzione di quanti, giorno dopo giorno, lottano per creare una società migliore, possono apparire utopistiche, lontane dalla quotidianità.
La Chiesa è alquanto consapevole che le verità che propone, partendo dal Vangelo di Cristo, unica Via, Verità e Vita, si trasformano, poi, in programmi da concepire ed attuare, punti d’arrivo, mete da raggiungere.
E questo richiede impegno, sacrificio, incomprensione, lentezza…
Pertanto, il volto che oggi spesso assume il bene comune è quello del bene possibile, del bene che si può realizzare a breve termine, un bene a volte parziale, frammentario, incompleto, ma pur sempre un bene.
Dunque, quale la differenza, poste queste condizioni, tra bene possibile e male minore?
La discriminante è proprio costituita dal bene: la prospettiva del male minore indica una situazione di scoraggiamento, di apatia, di mancanza di entusiasmo nell’impegno del bene; essa risponde alla logica del disfattismo e della rinuncia.
In questa situazione – secondo il pensiero di alcuni contemporanei profeti di sventura – è meglio accontentarsi della negatività già presente, cercando di renderla quanto più innocua e meno pericolosa possibile.
L’idea di bene possibile, al contrario, dimostra che il cittadino onesto, sia esso politico, economista, libero professionista, non ha paura di continuare a lottare – in spe et contra spem – perché il benessere si realizzi e offre quotidianamente il proprio contributo.
In sostanza, tutti siamo chiamati a vivere l’impegno nella società come servizio d’amore, affinché ogni persona realizzi in pienezza il suo essere.
Come scrive il papa Benedetto XVI, nella sua enciclica Deus Caritas est, “il programma del cristiano – il programma del Buon Samaritano, il programma di Gesù – è un cuore che vede. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente”.5
Dobbiamo riscoprire l’Amore, cioè Dio quale fondamento essenziale dei nostri rapporti sociali.
Forse il nostro contributo sarà una goccia nell’oceano, forse i cristiani buoni ed onesti cittadini saranno, oggi più che mai, “rari nantes in gurgite vasto”, ma questo non deve atterrire: in fondo – e questa non è certamente utopia – la salvezza del mondo è partita da un piccolissimo gruppo, il quale ha reso davvero bella questa nostra umanità, riempiendola di Dio.
E di questa bellezza, Gallipoli, la “Città bella”, dovrebbe essere enormemente gelosa!

Don Francesco MARULLI