Don Liborio Romano

Ho letto l’articolo recentemente apparso su Anxa news, autore Vittorio Zacchino ed ho letto anche Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni ( TEA 3°Ed 2007) di Sergio Romano, saggio di grande levatura storica ed intellettuale, in cui l’Autore affronta, è proprio il caso di dirlo, il problema d’Italia che non è mai stata una nazione “normale” e, tra l’altro,  dimostra quanto fosse aleatoria la possibilità che in Italia, partendo dal Regno di Napoli e dal  movimento Garibaldino, potesse sorgere nel 1860 una Nazione democratica moderna. Per arrivare all’unità della Nazione bisognava fare esattamente come fu fatto, anche se all’unione degli italiani non ci si arrivò, non ci si poteva assolutamente arrivare in quel modo e forse non ci si arriverà mai. Ho anche ripassato un pregiatissimo libro su Liborio Romano dono qualche anno fa di un caro amico, il Dr. Luigi Villanova di Salve ( vicino Patù), ricchissimo di documenti epistolari del nostro.
A mio avviso la figura storica di Liborio Romano, Don Liborio, va vista con gli occhi di allora. Oggi, alla luce delle conseguenze del suo comportamento, soprattutto dalla connivenza, sempre sinistramente presente nella storia patria tra Politica e Camorra,  risulta alquanto sconcertante.
E’ stato  il protagonista indubbiamente dell’ultimo atto del Regno di Napoli e della sua fine, nel bene, ma purtroppo e soprattutto anche nel male, in quanto sancì o meglio istituzionalizzò la camorra come bastone ( in tutti i sensi) del futuro stato e di tutti poi quelli a venire.
Per opera sua Garibaldi entrò in Napoli non come un Generale vittorioso alla testa delle sue truppe trionfanti, ma, unico Condottiero vittorioso della storia, in carrozza ( insieme con la nostra Antonietta De Pace, sincera patriota, e ad una famosa dama della camorra) , attorniato e preceduto da un folto gruppo di camorristi in festa, in un clamore di urla modulate all’uso di Napoli.
Per quanto strano possa sembrare oggi, dopo tanti anni di ubriacatura patriottico risorgimentale, di tromboneggianti racconti e films e ricostruzioni cosiddette storiche, di tentativi di rimbecillimento scolastico della verità storica, andò proprio così.
Fin dall’inizio del resto la spedizione dei Mille, così ingenuamente e patriotticamente  vissuta dai suoi partecipanti e raccontata ai posteri, fu pilotata da Cavour.
A Genova, sul molo dell’imbarco del Mille a Quarto, una stele riporta le parole tratte dalle Memorie di Garibaldi in cui si inneggia al “sangue freddo” necessario al “colpo di mano” per impadronirsi   dei due navigli, che si chiamavano, guarda caso, uno Lombardo e l’altro Piemonte.
Bisognava essere scemi a salire su qualche altro vascello dove non si era attesi… La rotta fino a Marsala fu sorvegliata dal Persano ( quello poi di Lissa), che doveva evitare che quei matti facessero cose diverse da quelle programmate e concordate.
Dopo Calatafimi il Generale Lanza anziché contrattaccare si ritirò: doveva pur guadagnarsi la busta che aveva già intascato e che garantiva benessere per lui ed eredi e successori per molti anni a venire… Subito dopo la conquista della Sicilia fu offerto sottobanco agli Ufficiali dell’Armata Borbonica il passaggio nell’Esercito Nazionale, pari grado. La Marina passò a ranghi compatti. Quelli che seguirono l’onore militare e non vollero rinnegare il giuramento fatto al loro Re
(Borbone) fecero una fine miserevole: condannati ai lavori forzati morirono di malattie, di fame e di fatiche. Trattati peggio che nei lager di hitleriana memoria.
La marcia del garibaldini dopo Milazzo fino a Napoli divenne così una marcia trionfale.
I mille di Marsala con l’apporto massiccio di picciotti e briganti erano diventati oltre centomila. Tutti accorrevano in aiuto del vincitore..
Ma cosa sarebbe successo se Napoli fosse stata invasa dai garibaldini? E fosse stata messa a sacco? E - orrore - fosse stata fatta giustizia?
Sergio Romano ne dà ampia ed esauriente documentazione ed alle sue ineccepibili argomentazioni e dimostrazioni non c’è nulla da dire: tutto doveva cambiare affinché tutto potesse rimanere come prima ( Gattopardo), ma con una grande novità: l’Unita della Patria. Non è stato poco.
L’alternativa era l’attacco da parte delle nazioni europee, Impero Austro Ungarico in testa, a distruggere tutto quello che era stato fatto per l’Unità d’Italia fino ad allora.
Era necessario neutralizzare Garibaldi, impedire la guerra civile che stava per insorgere, a chi altri Don Liborio se non all’aiuto della Camorra, l’unica seria e potente organizzazione di Napoli poteva ricorrere?
Questa fu l’opera di Don Liborio, che della determinazione di quella organizzazione  conosceva molto bene le potenzialità.
Nell’impossibilità di contrastare il processo unitario e la marcia trionfale di Garibaldi, dice Zacchino, Don Liborio fece la sola scelta possibile e sensata: chiamò in aiuto la Camorra.. Viva la verità.
Nella notte tra il 27 ed il 28 giugno Liborio Romano assume la carica di Prefetto di Polizia.
Nei giorni seguenti continui focolai di agitazione sorgevano qua e là per Napoli facendo temere il peggio, nonostante la neonata Guardia Nazionale. Riporto dalle Memorie del Prefetto Don Liborio
“Fra tutti gli espedienti che si offrivano alla mia mente agitata…pensai prevenire la triste opera dei camorristi offrendo ai più influenti loro capi un mezzo per riabilitarsi; e così parsemi toglierli al partito del disordine, o almeno paralizzarne le tristi tendenze, in quel momento in cui mancavami ogni forza, non che a reprimerle, a contenerle. Laonde, fatto pervenire in mia casa il più rinomato tra essi”…..Tore e’ Criscienzo, che, insieme a Mastro Tredici e Michele il Piazziere, famosi capicamorra del momento, organizzarono una polizia e salvarono l’ordine, la città e le stesse libere istituzioni. G Ghezzi: Liborio Romano con la Camorra fece prodigi.      
Tore e’ Criscienzo mise  nelle posizioni di comando nella nuova polizia ( camorra riformata…)  i suoi affiliati, rispettandone rigorosamente le gerarchie all’interno dell’onorata società ed eliminò trucidandoli in modo bestiale i poliziotti borbonici residui.
Lazzaro G. rimarca  esaltando l’ azione “ lo squisito tatto pratico, che solo dottrinari meschini hanno potuto condannare”.
Ma già De Cesare afferma” il provvedimento ebbe il suo bene ed il suo male”.
Che avesse il suo male ne era convinto lo stesso autore, non si vantò mai e lo considerò un atto di disperazione.
Ma era fatto: il seme della malapianta era stato affondato molto bene, in un terreno molto fertile.
Attecchì infatti e soprattutto per l’ottusità tutta piemontese con cui i governanti successivi si accanirono nel Sud dell’Italia. Morto Cavour con il quale Don Liborio ebbe un incontro molto costruttivo, le Sue proposte di leggi per il governo del Sud apprezzate da Cavour, furono  assolutamente ignorate  dai successori ( Rattazzi – che nome – sembra tutto un programma). Assolutamente sordi ad un governo appena decente, si lanciarono ad una politica di saccheggio e sfruttamento del Sud, che portò ad una crisi economica molto grave, al potenziamento della camorra, ossia ad una serie di attività illecite cui l’assenteismo e la sfiducia anzi l’odio nei confronti dello Stato dettero forza e addirittura alibi morale, infine al brigantaggio.  
Unica valvola di sfogo l’emigrazione, che nelle condizioni in cui si svolse, fu un esodo disperato verso un ignoto avvenire.
Non altrimenti si comportò circa un secolo dopo negli Stati Uniti a CIA, per stroncare la rete di spie, che permettevano agli U-Boat germanici di essere con grande esattezza e tempestività informati del movimento di navi dai porti atlantici verso l’Europa in guerra. Si rivolse alla mano nera americana, che dette dimostrazione della sua grande efficienza: in un paio di settimane sgominò la rete di spie. La mano nera ebbe a compenso mano libera  nei suoi affari che si allargavano così alla droga, prostituzione, case da gioco, riciclaggio di denaro, contrabbandi di ogni sorta… fu in salto di qualità e di fatturato, di livello nazione economicamente leader, che dura tuttora e che trova nei picciotti siculi  manovalanza assolutamente affidabile ed …abbondante.
Nel nostro piccolo i garibaldini, cari e generosi da far tenerezza nel loro sincero ed ingenuo patriottismo, entrarono a Napoli alla chetichella, alla spicciolata, senza farsi notare quasi. La loro armata vittoriosa, anzi gloriosa, fu sciolta. Loro non ebbero neanche la paga promessa, né meritatamente costituirono il nerbo del futuro Esercito Italiano. Tornarono a casa portandosi dietro il loro fucile, ormai vecchio catanaglio da esibire ai nipoti….da poveri pirla insomma.
Garibaldi andò alla cerimonia religiosa ad onorare S. Gennaro: lui che ne aveva definito una “vergognosa composizione chimica” il sangue miracoloso ed aveva definito Pio IX “ metro cubo di letame”
Miracolo di Don Liborio, capo della Polizia Borbonica e della camorra, col solito populazzo festoso con tricche, ballacche e putipù.
Alla luce e con la mentalità democratica odierna non è possibile non turarsi il naso. Ma allora erano altri tempi…
Soprattutto fu salva quella classe dirigente borbonica, se così si può definire tale o piuttosto  putridume avanzato di feudalesimo, che tanta parte avrebbe avuto poi nei ricorrenti esodi biblici dell’emigrazione dal Sud e su cui si appoggiava il nuovo Regno.
Ma a quei tempi …secondo il feudalesimo il signore del luogo aveva diritto di vita e di morte su tutto quello che si muoveva nel suo feudo. Nei feudi c’era il signore, nelle città il camorrista avrebbe garantito il politico. Il populazzo?:  nessuno.
Don Liborio fu ricompensato con la carica di Ministro dell’Interno….. nel primo governo dell’Italia Unita, ma scaricato poco dopo. Le piaghe del Sud di cui informò il Cavour, ormai ad entrambi restavano pochi anni di vita, prime tra tutte il feudalesimo e la malavita ( Camorra - Mafia ‘Ndrangheta - ossia la Trimurti ), restavano, anzi ne uscivano legittimate ed istituzionalizzate proprio da lui. Di questo forse non se ne rese conto del tutto. Ma era troppo tardi e comunque erano altri tempi….
Si tramanda che Garibaldi dopo l’incontro con il Re a Caianello, visto che a lui era stato concesso di mettersi in fondo al corteo e non al fianco del Re disse: g’a mis ‘n cua . In dialetto nizzardo significa ci hanno messi in coda.  Ma la frase può assumere per assonanza anche un altro significato indubbiamente volgare, ma vero. Solo che ad averlo ‘n cua…non fu tanto lui, quanto i meridionali.    
La “classe dirigente” suddetta ritornò al suo posto sulla punta delle baionette piemontesi e ne fu difesa. Seguì infatti una guerra civile che durò sei anni, con notevole impegno di gran parte dell’esercito nazionale – ancora lacrime e sangue e distruzioni di interi paesi e lutti - , sempre con l’aiuto e l’alleanza fondamentale della camorra.: situazione immutata ancor oggi. Fu chiamata guerra al brigantaggio. Le volte che i contadini inermi occupavano le terre incolte dei baroni trovavano i fucili dell’esercito nazionale a farne strage. Oggi si commemorano le steli che ricordano quei fatti con l’onore delle attuali Autorità Militari: come si cambia!
L’unità d’Italia fu conseguita al Nord con il contributo determinante dei Francesi e dei Prussiani, attraverso le “trame di Cavour con le sue bustarelle e le…grazie della Castiglione”, non certo delle vittorie sul campo ( Novara, Custoza I e Custoza II, Lissa ), al Sud al costo di un prezzo altissimo d’una guerra civile, pagato dalla plebaglia sudista dei briganti, come venne definita quella massa imponente, dotata d’ immensa forza creativa, che, costretta a rifarsi una patria sotto altri cieli, contribuì alla nascita di splendide Nazioni democratiche moderne, Stati Uniti compresi: era l’ora infatti di o brigante o emigrante. Questo secondo fu un prezzo ancor più alto.
Cantava in una sua rivista degli anni sessanta “Rinaldo in campo”  l’indimenticato Domenico Modugno “ ritornerò… se Dio vorrà “  nelle vesti di un brigante/garibaldino..
I lombrosiani studiavano intanto la conformazione dimensionale delle teste dei briganti alla ricerca delle prove scientifiche della loro congenita predisposizione alla malavitosità.
Sbagliavano teste.

Giovanni SANSO'