La ricerca medica italiana: luci ed ombre

I fondi governativi per la ricerca scientifica sono stati progressivamente ridotti dalle varie leggi finanziarie che si sono succedute negli ultimi anni fino a diventare attualmente il 25% rispetto alle cifre stanziate solo dieci anni fa.
Ciononostante la vivacità della ricerca scientifica italiana è dimostrata dal numero sempre elevato di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali. Un esempio per tutti: nel biennio 2004-2005 i ricercatori italiani dell'area medica cardiologica sono risultati terzi per numero di pubblicazioni scientifiche sull'organo ufficiale della Società Americana di Cardiologia (una delle riviste mediche più prestigiose al mondo) dopo gli statunitensi e i giapponesi.
La voglia di continuare a produrre buona ricerca si è dovuta scontrare, anno dopo anno, con la dura realtà dell'inaridimento dei fondi pubblici. Questa situazione, in costante degenerazione, ha causato la ben nota "fuga di cervelli" fuori dai nostri confini nazionali (soprattutto verso gli Stati Uniti, ma anche la Gran Bretagna, la Germania, etc.), in luoghi dove ottenere non solo una gratificazione economica adeguata (impensabile in questo momento in Italia), ma anche disponibilità di materiali e mezzi (umani e strumentali) atti a progettare e realizzare disegni di ricerca molto onerosi ma di sicuro interesse scientifico e con possibilità di reale applicazione clinica.
In Italia nel frattempo, in un panorama in cui la ricerca scientifica è ormai basata sulla buona volontà dei singoli e delle strutture universitarie e spesso perseguita a patto di sacrifici personali anche gravosi, numerose aziende farmaceutiche e di prodotti medicali si sono fatte avanti dichiarando la loro disponibilità a finanziare progetti di ricerca. Ma questo, inevitabilmente, costringe a incanalare la ricerca solo in determinate direzioni, quelle dettate dal profitto delle aziende.
Ecco allora che molti Centri di Ricerca hanno creato o si sono trasformati essi stessi in Fondazioni Onlus, finanziate da qualche mecenate o da privati cittadini con campagne di raccolta fondi più o meno note (si pensi al Telethon).
Alcune Facoltà di Medicina italiane si sono dotate, all'interno delle loro strutture, di Centri di Ricerca resi autonomi dai Dipartimenti Clinici e deputati solo allo sviluppo di progetti di ricerca.
L'Università Cattolica del Sacro Cuore ha fatto qualcosa di più con l'apertura, nel 2003, di un nuovo polo ospedaliero e universitario in Molise, a Campobasso. Il nome dato a questo Centro (Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche "Giovanni Paolo II") riassume bene gli obiettivi che l'Università Cattolica si è prefissata per questa struttura all'interno della quale Dipartimenti Clinici di cura e Laboratori di Ricerca convivono collaborando insieme costantemente protesi a raggiungere una perfetta simbiosi. Nel pensiero dei Cattedratici fautori di questo progetto e del personale medico impegnato nella sua attuazione, l'obiettivo da raggiungere sarà quello di arruolare in studi clinici e progetti di ricerca ogni paziente ricoverato nel Centro, ovviamente assicurandogli nel contempo le migliori cure possibili e trattamenti terapeutici all'avanguardia.
I risultati ottenuti nei primi anni di vita del Centro sono più che soddisfacenti: un numero di ricoveri in costante crescita (oltre 7000 nel 2006 avendo a disposizione solo 180 posti letto); decine di studi clinici e lavori di ricerca pubblicati su riviste scientifiche internazionali; medici e ricercatori invitati a presentare le loro esperienze nei più prestigiosi congressi medici internazionali; la partecipazione attiva a numerosi studi multicentrici internazionali; l'ideazione e l'iniziale attuazione dello studio "Moli-sani" (un progetto di ricerca unico nel suo genere): 20000 abitanti del Molise che verranno caratterizzati con esami di screening (anamnesi clinica, elettrocardiogramma, esami emato-chimici, prove spirometriche) e poi seguiti nel corso degli anni successivi per individuare quali possano essere, oltre a quelli già noti, altri fattori predisponenti (genetici, ambientali, legati allo stile di vita) a malattie tumorali e cardiovascolari.
Finanziare la ricerca con i proventi derivati dai DRG (Diagnosis Related Groups - il rimborso che la Sanità regionale eroga ad ogni ospedale per i trattamenti specifici forniti a ciascun paziente ricoverato, pesato sulla base della complessità delle cure ricevute) è dunque la strada da seguire in un momento in cui la Sanità rappresenta una spesa insostenibile per lo Stato italiano e la ricerca scientifica viene vista solo come un "buco nero" in grado di fagocitare risorse finanziarie eventualmente spendibili per altre necessità valutate come più reali.


Quintino PARISI