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Un "virus" che oramai ha contagiato gran parte dei Comuni italiani è l'istituzione delle fatidiche aree di sosta a pagamento (caratterizzate dalla predisposizione sull'asfalto stradale delle antiestetiche strisce blu). Con il proliferare di queste aree, la cui creazione è stabilita e regolata dal Codice della Strada (art. 7), i casi in cui un automobilista può vedersi (o scoprirsi) multato, sono inesorabilmente aumentati.
Ciò che più sconforta è, comunque, la semplice constatazione che tali multe (come le stesse tariffe del parcheggio a pagamento) non ricoprono alcun ruolo nella disciplina del traffico veicolare, mentre l'unica funzione ravvisabile è, per le Amministrazioni Comunali istitutrici, quella di rimpinguare le proprie casse (quasi mai, peraltro, i relativi introiti vengono destinati alla "installazione, costruzione e gestione di parcheggi" ovvero ad "interventi per migliorare la viabilità urbana" come richiesto espressamente dallo stesso art. 7 C.d.S.).
Poiché, pertanto, l'utilità delle strisce blu risulta essere essenzialmente economica, sovente, nel predisporre le aree di sosta a pagamento, le Giunte Comunali tendono a "spremere" al massimo i tragitti cittadini, concentrandole in zone di rilievo storico, sociale e lavorativo. Questa sfrenata corsa ad "azzurrare" le strade, però, s'imbatte inevitabilmente con alcuni limiti di carattere giuridico che, sovente, non sono tenuti in considerazione o vengono sottovalutati dagli organi competenti a decidere.
L'art. 7 comma 6 del Codice della Strada, in primo luogo, richiede espressamente che le aree destinate al parcheggio, con sosta a pagamento mediante dispositivi di controllo della durata, siano "ubicate fuori dalla carreggiata". Di conseguenza, le Giunte Comunali potrebbero predisporre le strisce blu esclusivamente ove tali aree risultino collocate all'esterno della zona stradale di percorrenza (inglobate da marciapiedi, protette da cordoli spartitraffico, ecc.). L'illegittimità della sanzione, pertanto, come confermato in più occasioni dalla giurisprudenza di merito (si fa cenno, ad esempio, alle sentenze del Giudice di Pace di Bari n. 1824/01, 16353/03, 30229/03 e 14338/04), deriverebbe dalla illegittimità della delibera comunale che ha predisposto l'ubicazione delle aree di sosta all'interno delle carreggiate, poiché assunta in violazione della legge e dunque viziata da eccesso di potere.
Sempre l'art. 7 del Codice della Strada ha recentemente evidenziato un ulteriore profilo di illegittimità riscontrabile nell'applicazione delle aree di sosta a pagamento. Il comma 8, difatti, richiede che il Comune, ogniqualvolta istituisca questo genere di spazi, debba contemporaneamente riservare una "adeguata area" destinata a parcheggio non a pagamento "su parte della stessa area o su altra parte nelle immediate vicinanze".
Si tratta di una previsione normativa non troppo chiara, considerata la genericità degli stessi concetti di "area adeguata" ed "immediate vicinanze". Comunque sia, nei casi in cui sussista un'evidente carenza di aree libere di parcheggio nelle vicinanze delle strisce blu, i provvedimenti amministrativi istitutivi delle zone di parcheggio a pagamento sono viziati da illegittimità, in quanto assunti senza rispettare una disposizione di legge.
In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella autorevole e recentissima sentenza n. 116 del 9.01.2007, secondo la quale, ad esclusione delle zone a traffico limitato, delle aree pedonali e da quelle di particolare rilevanza urbanistica, gli amministratori comunali hanno sempre l'obbligo di realizzare aree di sosta libera nelle immediate vicinanze di quelle a pagamento.
Oltre ai due suddetti profili, l'illegittimità delle contravvenzioni rimediate sulle inesorabili strisce blu, può discendere dalla carenza di elementi formali tali (se ritenuti rilevanti dal Giudice) da comportare l'annullabilità della multa.
Ogniqualvolta, ad esempio, i cartelli di regolamentazione della sosta risultino privi delle indicazioni di cui all'art. 77 comma 7 del Regolamento di attuazione del C.d.S. (marchio della ditta che ha fabbricato il segnale, anno di fabbricazione, estremi dell'autorizzazione al fabbricante, estremi dell'ordinanza comunale di apposizione), che dovrebbero essere "chiaramente indicate" sul retro, la sanzione deve considerarsi illegittima poiché irrogata in violazione di uno specifico dovere di informazione nei confronti del cittadino.
L'illegittimità della sanzione, peraltro, è stata riconosciuta anche per mere irregolarità riscontrabili sul verbale di contravvenzione. Questo genere di doglianze meriterebbe una separata trattazione, sia perché comune a miriadi di ricorsi contro le contravvenzioni, sia perché l'individuazione di tali irregolarità ha da sempre condizionato gli stessi accertatori (che hanno dovuto adeguare i loro verbali alle censure mosse, con il tempo, dai Giudici).
Segnalo, in questa sede, solo l'omessa l'indicazione sul verbale dell'ordinanza sindacale che delimita le aree destinate alla sosta: l'illegittimità della sanzione deriverebbe dalla natura di tale indicazione quale elemento essenziale per l'esecutività del verbale di accertamento, consentendo al cittadino di conoscere la validità del provvedimento amministrativo e la sua efficacia ai sensi dell'art. 47 della Legge n. 142/90.
Occorre, infine, segnalare anche i frequenti casi in cui la sanzione sia stata accertata erroneamente, come l'ipotesi in cui il tagliando orario non venga notato dall'accertatore (per mera distrazione o perché, ad esempio, il biglietto si sia spostato accidentalmente).
In questi casi, infatti, il verbale di contestazione dovrebbe considerarsi comunque illegittimo, in quanto il parcometro (di cui all'art. 157 C.d.S.) è stato regolarmente attivato.
Il comma 6 dell'articolo in questione, invero, con riferimento al "dispositivo di controllo della durata", si limita ad affermare semplicemente che "è fatto obbligo di porlo in funzione" e non, comunque, di esporre il tagliando in modo visibile (come riportato sugli stessi ticket).
L'esposizione cui si riferisce l'art. 157 C.d.S., invece, riguarderebbe il c.d. disco orario, poiché la norma parla di "luoghi in cui la sosta è permessa per un tempo limitato" (e nel caso delle strisce blu, la sosta è comunque consentita senza limiti di tempo).
Di conseguenza, prescindendosi dall'accertare se la mancata presa visione del tagliando di sosta sia ascrivibile ad errore dell'accertatore, ovvero al caso fortuito, l'aver attivato il dispositivo di controllo della durata significa aver rispettato la norma. Tali conclusioni, peraltro, risultano oramai consolidate in giurisprudenza: in particolare, nella recentissima sentenza del 13.02.07, il Giudice di Pace di Lecce ha sostenuto che il ricorrente che abbia provveduto regolarmente a munirsi del tagliando, "ha sostato regolarmente, essendo in possesso del titolo richiesto per la sosta regolamenta".
Con riferimento all'avvenuta attivazione del dispositivo di controllo orario, inoltre, risulta annullabile una contravvenzione comminata per il superamento dell'orario allorquando lo "sforamento" sia giustificato dalla forza maggiore, derivata da situazioni di impossibilità imprevedibili od inevitabili (come ad esempio il prolungarsi di un impegno lavorativo).
Ebbene, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. n. 9738/2000 e n. 3961/1989) ha spiegato che, in tema di sanzioni amministrative, la forza maggiore (che "rimane integrata con il concorso dell'imprevedibilità ed inevitabilità, da accertare positivamente mediante specifica indagine") non può che escludere la responsabilità dell'agente, in quanto elemento che incide direttamente sul c.d. nesso psichico.

Giuseppe VINCI