Illustrazione degli stemmi di Vincenzo Dolce

Appare in seguito lo stemma di

CONSALVO OCCHILUPO

Antica e nobile era la famiglia di Consalvo Occhilupo. In un vetusto atto notarile si costituisce Polimena Vivilacqua vedova del nobile Consalvo Occhilupo, e madre di Pompeo, Gianpietro, Ottavio, e Simone. Consalvo fu Sindaco nel 1549. Questa prosapia da tempo immemorabile è spenta, e non bisogna confonderla con quella di Bonaventura Occhilupo, il quale, come rileviamo da alcune memorie, usurpò lo stemma e tentò di trarre a se la nobiltà della famiglia di Consalvo.
Sono storiche le controversie nel trascorso secolo avvenute fra il primo e secondo ceto de' cittadini. Il patriziato provò con documenti la disparità de' natali di queste famiglie Occhilupo, e che recente era nella Chiesa di S.Domenico l'acquisto del padronato nell'altare, e sepolcro ivi, su di che Bonaventura appoggiava il suo dritto al patriziato gallipolino.
Lo stemma nell'antica famiglia di Consalvo ci presenta in campo celeste un Lupo, che cerca elevarsi sur un albero, verso i rami del quale tien rivolti gli occhi; emblema pur anche disunto dal cognome del casato.
Quindi scorgiamo lo scudo di

COLELLA CAMALDARI

Il cronista gallipolino Abbate di S.Salvatore, e sacerdote greco Francesco Camaldari numera le famiglie esistenti quì nel secolo 13° allorchè le armi inesorabili di Carlo 1° d'Angiò uguagliarono la Città al suolo. Fra quelle accenna la sua esule e raminga per molti anni al pari delle altre, essendo vietato rimpatriare. Antichissimo era il casato Camaldari, e distinto ancora vuoi per illustri parentele, vuoi per onorifiche cariche civili ed ecclesiastiche da' suoi componenti occupate. Esso si estinse nel 1820  in persona dell'Arcidiacono di questa Cattedrale D. Francesco Maria.
Il primo che di questa prosapia si presenta fra gli stemmi sindacali è il Dottor Colella nel 1550, poscia Gesualdo nel 1583, 1593, 1598, 1606, Francesco nel 1615, 1626, Antonio nel 1620, Domenico nel 1664, altro Francesco nel 1701, ed in ultimo un altro Domenico nel 1726 e 1727.
Duolci che della famiglia Camaldari non possiamo molto diffonderci per difetto di estese memorie, ma il solo individuo che basta convenevolmente ad illustrarla è il mentovato Abbate di S.Salvatore Francesco, dal quale rileviamo ch'ella è greca di origine. Fu lodato costui da Gio.Bernardino Tafuri, dal padre Bonaventura da Lama, dal Coleti, da Rodotà, e scrisse la storia de' successi del suo tempo, di cui a quando a quando abbiam fatto tesoro in queste illustrazioni. Vi fu Guglielmo Camaldari Arcivescovo di Rossano, di cui esiste il ritratto nella Sagrestia della nostra Cattedrale, ed Antonio Camaldari molto amato dal Pontefice Paolo IV destinato Vescovo di Montepeloso in Basilicata, morto prima di prenderne possesso. Le due ricche abbazie di S.Salvatore, e di S.Mauro furono sempre occupate dai sacerdoti di quel casato. Le sue parentele furono con Crisigiovanni, Abbatizio, Sansonetto, Pandolfo, Musurù, Rodogaleta, Gorgoni, Patitari, Rajmondi, Munittola, Rocci Cerasoli, Frisulli, e con altre.
Il suo stemma ci presenta in campo azzurro un Leone elevato sul piè sinistro tenente nel dritto un libro, e fra gli artigli de' due piè d'avanti ha stretto una Croce, simboleggiando i pellegrini, che incamminavansi in Oriente alla conquista del Santo Sepolcro, cioè con la forza del Leone, con la Croce, e col libro de' vangeli. Forse un Camaldari fece parte a quelle onorande imprese, che cangiarono poscia aspetto alla politica de' governi.
Dopo leggiamo il nome di

STEFANO DE IALA

Quando una famiglia ne' primordi di suo ingrandimento si estingue, e soprattutto in epoca in cui mancano fatti rimarchevoli e degni di essere tramandati alla posterità, cui essa si leghi e rannodi, facilmente cadrà nell'obblio, e se ne perderà ogni memoria. Tanto avvenne al casato de Iala. Possiam congettuare che fu dovizioso, poiché una estesa Tenuta fra i territori di Gallipoli e Parabita appellasi Iala dal nome dell'antico suo proprietario. Camaldari non menzionollo, né il poteva Lumaga non più esistendo all'epoca di costui. Lo stemma non è blasonato. Il solo che conosciamo è Stefano Vicecastellano di Gallipoli nel 1539, e poscia Sindaco nel 1551.
Indi si legge il nome di

ALFONSO DELETTO

Per notizie, di cui siam privi non possiamo dare contezza alcuna intorno alla famiglia Deletto. In una breve antica memoria si accenna ch'essa oriunda da altro luogo quì si era stabilita, e perché nobile fu accolta fra le patrizie. Il suo scudo non ha blasone. Quando il Reame di Carlo V passò a Filippo II, Alfonso Deletto, poi Sindaco negli anni 1555 e 1557, ebbe l'onorevole incarico dal Municipio di recarsi in Napoli a prestare omaggio di fedeltà al novello Monarca.
Scorgiamo poscia lo scudo di

GIOVAN PIETRO ABBATIZIO

Illustre ed antichissima era la famiglia Abbatizio mentovata dal Camaldari come quì esistente nel secolo 13°. Nel suo scudo in campo verde sonvi inquartate quattro sciarpe da dritta a manca di colore aurato, che in segno di onore occupavano il terzo dello scudo. Già si sa, che il colore verde spieghi allegria, giovinezza, e speranza; e l'aurato dovizia ed amore. Gli Abbatizio indossarono quei colori e quelle sciarpe nel tempo de' Tornei quando la Dama di taluno di questo casato aveali somministrati ad esso lui per ferire una lancia in occasione di Corte bandita. Tal'è il linguaggio figurato di questa impresa, se strettamente star voglimo alle regole del blasone.
La Casa Abbatizio fu congiunta in parentele con varie famiglie patrizie di quì, come si è data occasione di osservare. Due soli Sindaci diè alla Città, Giovan Pietro nel 1561, 1568, e Giovan Lelio nel 1572, 1575, 1599.
L'ultimo che conosciamo degli Abbatizio fu il padre Carlo dell'Ordine de' Minimi, il quale con le sue cure, e con la diffusione de' beni di sua famiglia eresse un Monastero nel luogo medesimo di sua nascita, certo argomento che in lui la prosapia si estingueva, altrimenti non avrebbe donato la casa paterna. Fu il padre Carlo religioso esemplarissimo, di vita illibata, ottimo predicatore, ed esatto osservante della regola del suo Ordine.
Indi si legge il nome di

TIBERIO BARBA

Nell'anno 1519 a 20 Agosto a Gallipoli concedevasi da Carlo V privilegio, che noi riporteremo nella 2° parte. Dallo stesso si rileva, che l'Università spediva in Barcellona il suo cittadino Pietro Barba per implorare da quel Sovrano la conferma de' capitoli, franchigie, usi, e consuetudini, ch'essa da tempo immemorabile avea goduto. Le suppliche furono accolte, ed altre franchigie aggiunte, fra le quali che la Città non dovesse in cosa alcuna dipendere dall'Almirante, o suo sostituto, ma da' proprii Governatori. L'Augusto Carlo in quel diploma fa onorata menzione di Pietro Barba, che poscia occupò il dignitoso posto di Castellano di Gallipoli dal 1526 insino al 1535.
Quest'antica famiglia non più esiste, e non avendo lasciato discendenti in linea maschile o femminile niuno curò di conservare il balsone del casato. Camaldari non menzionolla, forse perché quì non esisteva nel secolo 13°.
Nella sala comunale leggonsi i nomi di Tiberio, e dottor Giovanni Barba siati Sindaci il primo negli anni 1562,1566, ed il secondo nel 1584, e quindi tal famiglia scomparisce da qualunque carica di questa Città.
Leggonsi poi i nomi de'

VALDIRAVANO, PANDOLFO, MANGALABETA, ALTESE, AMARI

Di siffatte famiglie non possiamo dare alcun ragguaglio sì perché ci mancano le memorie, sì perché gli stemmi di esse non sono blasonati. Ritroviamo, che Francesco Valdiravano fi Vice Castellano di Gallipoli nel 1509, e che Antonio fu Sindaco nel 1563,1569, e Francesco nel 1565; che Colella Pandolfo lo fu negli anni 1564, 1573, 1578, 1585; che Francesco Mangalabeta fu Sindaco nel 1508, ed il Dottor Traiano nel 1576, 1579 congiunti in parentado con la famiglia Zacheo; che Gaspare Altese lo fu nel 1580 quando sursero le gravi controversie col Vescovo Errera, accennate dal Micetti e terminate quindi amichevolmente; e Giacomo Amari nel 1513. Forse queste antiche e ragguardevoli famiglie o si saranno estinte, o avranno emigrato in altri luoghi.
Nel secolo, in cui ci troviamo l'italiana favella avia raggiunto con Dante, Petrarca, Boccaccio, e con altri poeti e prosatori l'apogeo della sua gloria. Non per tanto molti rimanean tenacemente attaccati agli usi antichi, non intendendo mica distaccarsi dalla prediletta lingua de' Tulli e degli Ortensi, simili a coloro, che, cambiate leggi e costumanze, deplorano le già perdute, senza badare ch'elleno si rendevano disadatte al buon reggimento di un popolo per l'idee progressive dell'umana ragione. Vero è però, che la lingua latina formava per gl'italiani un vanto nazionale. Essa rammentava l'epoca di Cicerone quando da' rostri vibrava quei lampi di portentosa eloquenza, che atterrirono ed annientarono gli Antonii, i Verre, i Catilina; essa richiamava alla memoria il Campidoglio quando dettava leggi a tutto il mondo allor conosciuto. Ma Roma non era più. Le intestine discordie, la mollezza, la vecchiaja, l'infingardaggine, i barbari in fine aveano sgominato e distrutto quel Colosso formidabile. Nuove leggi, costumanze, e lingue erano sottentrate alle antiche, e la nostra favella rozza ed incolta sul principio, poi candida e terza udissi pronunziare insù le rive del'Arno. Ma invano Sannazzaro, Fracastoro, e Vida co' loro scritti puri ed elaganti, e che imitavano l'armonia virgiliana contender poteano col Guicciardini, col Caro, col Firenzuola, con la Corte finalmente di Cosimo 1° ove si eseguirono le più classiche traduzioni di scrittori greci e latini. Ma Gallipoli stava tenacemente avviticchiata agli antichi suoi usi, e metodi di studii derivanti dal greco, e dal latino. Aristotile e Platone i suoi filosofi; Ippocrate e Galeno i suoi Esculapj. Le nuove scoverte fisiche, o speculative poste in non cale se non rivestite di veste latina; abbandonati o non richiesti i classici, che scrivevano col novello idioma. E come mai potersi ostacolare un progresso così spontaneo, e naturale? Se il volgo parlava una favella, perché poi scriversi e studiare in un'altra? Ciò era un convellere la natura, un abusare de' propri talenti, un volersi rendere superiore alla comunanza e gineralità degli uomini coll'arcano di un linguaggio che tutti, o molti non intendevano. In fatti le convenzioni si rogavano in latino, e spesso il contraente ne ignorava il contenuto. Dall'infanzia si studiava una lingua già morta, e si negligeva la vivente, e quindi o l'ignoranza di ambedue, o al certo della vivente, che trascurata ne' suoi elementi e nelle sue regole, rimanea negletta ne' mezzi e nel fine. Ecco perché i Diarii di Lucio Cardami, la Cronaca del Camaldari, e le suppliche che l'Università diriggeva a' Monarchi sono scritte in una barbara, e rozza favella; ed ecco perché in queste contrade le scienze fisiche, e speculative rimasero in un forte assestamento, e se taluno acquistava fama di medico addottrinato, altro non era, se non che un puro empirico.
Ne' secoli posteriori non fu così, e noi lo andremo osservando.
Si presenta ora lo scudo di

GIOVAN PAOLO VERNALEONE

Esisteva pur anche in questa Città la famiglia Vernaleone. Essa o perché estinta, o perché altrove trasmigrata, non ci ha lasciato alcuna memoria di se. Il suo scudo in campo celeste ci presenta tre fasce orizzontali di colore aurato, le quali occupandone la terza parte, danno chiaro contrassegno di sua nobilità. Il solo Sindaco che ci ha dato nel 1587 è Giovan Paolo. Ritroviamo solamente, che Caterina Rajmondo patrizia gallipolina prese in consorte il Barone D. Francesco Venaleone di Nardò. Fosse mai costui della famiglia Vernaleone di Gallipoli? Come possiamo noi saperlo essendo affatto privi di documenti?
Dopo di questo si legge il nome di

MARCANTONIO CRISIGIOVANNI

Questa famiglia era antichissima di Gallipoli. Camaldari l'annovera fra quelle quì esistenti nel secolo 13°. Francesco Crisigiovanni si distinse pel suo valore quando insieme a Carluccio Patitari combattè contro i Turchi, che una tempesta avea gettati sulla nostra Isola di Sant'Andrea, siccome accennammo parlando della famiglia Patitari. Marcantonio Crisigiovanni fu Sindaco negli anni 1588, 1595, 1605, e Bernardino insieme ad Oliviero Russo nel 1514 fu spedito dall'Università in Napoli al Vicerè per esporre le doglainze contro i soldati di guarnigione nel Castello per le continue molestie da costoro arrecate a' cittadini, riportando la risposta del Vicerè, che dà l'epiteto di nobile al Crisigiovanni. Era congiunta in parentela questa famiglia con altre distinte della Città, ma adesso più non esiste, ed il suo scudo non è blasonato. Fra i sacerdoti greci della nostra Cattedrale si nomina D. Grande Crisigiovanni, il che dimostra che dessa sia stata di origine greca.
Scorgiamo poi lo scudo di

ORSINO TRAIANO COPPOLA

Fra le famiglie patrizie di Gallipoli a buon diritto deve collocarsi quella di Coppola vuoi per le parentele di riguardo, vuoi per le cariche, che i suoi componenti hanno occupato, e per lettere e belle arti da esse esercitate, che li han resi sommi e famigerati tra le nostrane ed estere contrade. Dicesi, che da Lupo Coppola e Lucrezia Cuti nati fossero cinque figli, ciascuno de' quali formò cinque rami di questa illustre prosapia. Il primo fu Angelo, il secondo Giovan Luigi, il terzo Francesco, il quarto fu il Dottor Dionisio, rami tutti già estinti. Ma rimane in linea retta discendente dal quinto figlio Dottor Orsino l'attuale D.Giuseppe Francesco Coppola marito di D.a Addolorata Bernardini, figlia del Barone di Vernole, or dimorante nel Villagio Picciotti, il cui suolo in maggior parte a lui appartiensi in diretto dominio, avendolo i suoi antenati concesso a canone perpetuo a diversi coloni.
Dal mentovato Dottor Orsino nacque il Cavaliere Giovanni Andrea famoso pittore, celebrato per l'esercizio di questa bell'arte. La massima parte de' quadri, che abbellano la nostra Cattedrale sono opere di questo benemerito cittadino. Da Tiziano egli ritrasse la naturalezza, lo stile puro ed elegante dal Correggio, la simmetria da Raffaello, l'invenzione dal Primaticcio, la grazia dal Parmigiano, il colorito dalla scuola Lombarda, ed imbevuto de' principi di questi caposcuola creò quei suoi dipinti, che son lavori insigni per coloro, che intendono, e possono comprenderne il bello, e darne giudizio.
Da Angelo Coppola, primogenito figlio di Lupo, nacque Gionav Carlo, esimio poeta e letterato, che fu Vescovo di Muro in Basilicata. Fece i primi suoi studi di greco, e di latino, di rettorica, filosofia, e teologia in Gallipoli per quanto i mezzi comportavano. Indi passò in Napoli, ove spiegò il suo poetico genio, che la sua bell'anima in sé racchiudeva, e per mera curiosità ascoltò la filosofia di Tommaso Campanella, e forse ne conobbe gli assurdi. Vide Roma, ed ivi contrasse ragguardevoli amicizie. Andò a Firenze, ove scrisse un poema, che intitolò "Maria Concetta", e riscosse il nome di Tasso sacro. Il Gran Duca onorollo coll'epiteto di gran Poeta, e Coppola in sette giorni mandò in luce un altro poema intitolato le Nozze degli Dei in occasione del matrimonio di quel Principe. Scrisse un sonetto per augurio di un buon capo d'anno al predetto Gran Duca, ch'è un capolavoro nel suo genere; compose il Cosmo o l'Italia trionfante ed il Filosofo illuminato, due altri poemi questi, che lo resero immortale. Il Pontefice Urbano VIII destinollo a Vescovo di Muro in Basilicata. Gallipoli lo perdè, avvegnacchè le anguste sue mura non poteano contenere uomini di tal fatta. Coppola ricolmo di onori, fra l'ozio beato, e la cura delle anime a lui affidate cessò di vivere nell'anno 1652.
Il Sig. Villarosa asserisce nel suo Dizionario storico politico esservi stato "un Giovan Carlo Coppola di Gallipoli nel Regno di Napoli rinomato poeta. La sua fama lo fece conoscere a Ferdinandi 1° Re di Napoli. Questo Principe dopo essersi associato con lui nel suo commercio, lo chiamò a Corte, e lo innalzò alle primarie dignità. Ma Coppola abusando dell'autorità, e trascinato da sregolata ambizione si unì con altri nobili, e formò una congiura contro la persona del Re. Scoperta la trama, e convinto del tradimento fu condannato ad avere ricisa la testa, il che fu eseguito il 15 maggio 1487".
Furonvi ancora Ercole Coppola di Francesco Vescovo di Nicotera, e Giacinto anche buon poeta scrittore di un volume di poesie intitolato "plettro armonico".
Questo ragguardevole casato ebbe Canonici e Dignità nella nostra Cattedrale, Dottori di Leggi, e molti Sindaci. Il prino Sindaco fu Orsino Trajano nel 1612. Antonio nel 1633, Giovanni Andrea nel 1640, Dionisio nel 1669, Giuseppe Francesco nel 1673, 1688 che fu anche Governatore; Niccolò nel 1705, Francesco nel 1722, Giovanni Andrea nel 1726, Michelangelo nel 1740, Filippo nel 1750, 1761, altro Filippo nel 1781, e Giuseppe Francesco nel 1754.
Due Leoni di oro rampanti in un campo celeste, che cercano ansiosamente lambire in una coppa anche d'oro è lo stemma di questa famiglia, stemma che dinota il desio di sempreppiù dissetarsi nel nappo della gloria e degli onori.
Scorgesi indi lo scudo di

GIOVANNI ANTONIO CASTIGLIONE

Da memorie, che si conservano, abbiam rilevato, che la famiglia Castiglione discende da nobili genovesi, e qui trasferissi per vicissitudini politiche della sua patria. Il primo che si accenna è un tal Tommasino, il cui stemma è simile a quello, che in Genova avea adottato la sua famiglia, cioè un ippogrifo rampante coronato di argento in campo bianco, emblema ricavato dalla parrocchia Parione di Roma, dalla quale forse erano passati in Genova i Castiglione. Tale stemma si vede ancora impresso sulla lapide marmorea del sepolcro gentilizio di questo casato entro la Chiesa de' Padri Domenicani, sepolcro che non ha guari si schiuse per calarvi la salma del nostro amico Filippo Castiglione meritevole di vita più lunga per il suo ameno procedere, e per il bene de' suoi figli lasciati in tenera età, e della sua nobil consorte Raimondina Personè di Lecce.
L'accennato Tomasino quì contrasse matrimonio con Bernardina della nobile prosapia Venneri, e quindi la famiglia diramossi contraendo parentele con Sansonetto, con Muzi, con Rocci Cerasoli, Stradiotti, Coppola, Cuti, Briganti, D'Acugna, e con altri.
De' Castiglione si sono avuti il padre Tommaso gesuita, Monache in Santa Teresa, sacerdoti, un primo Uffiziale della segreteria di Stato di Grazia e Giustizia a nome Achille morto in Napoli, Pasquale Giudice di pace per molti anni in questa Città, e da costui nato l'attuale D.Giuseppe giovane assai noto nella repubblica letteraria per bei componimenti in prosa, e singolarmente in versi, nei quali si scorge la robustezza melanconica di Byron, la soavità e dolcezza di Moore, e la gran fantasia del Cesarotti. I versi estemponarei del Castiglione erano del vero poeta ispirato, e non la cedevano a quei del Gianni, del Bindocci, del Regaldi. Peccato che Castiglione uscir non volle dall'angusto perimetro della sua patria, cui rimase tenacemente attaccato! Avrebbe certo fatto gran figura nell'ampio Teatro del Mondo. Scrisse due romanzi di argomento patrio, cioè i Martiri di Otranto, ed i Veneziani in Gallipoli, ricchi entrambi di belli episodi, e riscossero universale approvazione. Compose ancora altre opere di vario genere sparse ne' diversi giornali letterari del Regno, ed in parte rimaste ancora inedite presso di lui.
Questa famiglia ha dato tre Sindaci alla Città, cioè Giovanni Antonio nel 1613, Achille nel 1685, e Giuseppe nel 1734.
Si vede in seguito lo scudo di

GIUSEPPE D'ACUGNA

Se star si volesse a quanto troviamo scritto in una memoria, dir dovremmo, che la famiglia D'Acugna tragga origine da D.Fruelà II Re di Leon, Signore della Taboa, Marchese di Valenza, e Conte di Xiquena, congiunto in parentela con la Regina Giovanna d'Aragona, ma sarebbe andare un po' per le lunghe. Quel che sembraci vero si è, che D.Lopez Vasquez d'Acugna Cavaliere dell'Ordine di S.Giacomo ebbe due figli D.Vasco e D.Petro, i quali, quando il Forte di Malta nel 1565 fu assediato da' Turchi, mandati furono da Filippo II in soccorso, ed essi con i 130 Cavalieri e col Gran Maestro de la Vallette, ch'erano di presidio, difesero con tanto valore quell'Isola, che i Turchi desisterono dall'impresa. L'Ordine di Malta concesse ai d'Acugna e loro discendenti il diritto a divenir Cavalieri, e Commendatori senza pagamento di passaggio.
Dopo ciò Vasco e Petro come Capitani di Lanze spedivansi dal mentovato Re Filippo II in questo Reame, ed allora la famiglia d'Acugna comparisce nelle nostre contrade, e ferma qui la sua dimora. Vasco passa in Nardò, Petro in Gallipoli, e questi sposa una ricca ereditiera di Casa Demetrio, da cui ebbe tre figli Vasco, Francecso, e Giuseppe, il primo de' quali resta ucciso in battaglia in Orbitello. D.Petro fu colui che costruir fece in Gallipoli quel magnifico palazzo, che poi non fu mandato a termine, posto nell'Isola appellata d'Acugna. Essi contrassero quì nobili parentele co' Pievesauli, co' Zacheo, d'Ospina, Rocci Cerasoli, Castiglione, Venneri, Patitari, e con altri. Molti militari ebbe questa famiglia in servigio de' Re di Spagna, molti sacerdoti in questa Cattedrale, Monache in S.Chiara, ed in S.Teresa, e Monaci Celestini. Le ultime discendenti, in cui ella si estinse furono Luigia moglie di Giuseppe Castiglione, e Rosaria moglie di Giuseppe Mezio di Presicce.
Fra i Sindaci di Gallipoli annoveransi Giuseppe nel 1624, e Pietro nel 1759. Lo stemma in campo azzurro presenta molti cunei che ingombrano quasi tutto lo scudo, distintivo di grande nobilità allusivo alle molte illustri parentele avute e con i Grandi di Spagna, e con i Principi di quella nazione. In Catania si osserva il sepolcro del Vicerè, Ferdinando d'Acugna nell'anno 1494. D'Acugna in latino solea scriversi Cunens; da ciò i cunei nel blasone di questo casato. Appiè del cennato sepolcro leggesi "Regnante divo Ferdinando hispaniarum ed Siciliae Rege Ferdinandus Cuneus iustus, prudensque, benignus. Siciliae Prorex conditur hoc tumulo" ec.
Comparisce ora lo scudo di

LEONARDO D'ELIA

La famiglia d'Elia, che or trovasi stabilita in Casarano apparteneva a Gallipoli. Alcuni asseriscono, che il suo ceppo fosse un tal Flavio della Città di Atina morto gloriosamente combattendo sotto le bandiere dell'Imperador Carlo V; altri ch'ella traesse origine dall'antichissima famiglia Sant'Elia di Gallipoli. Checchè siane per altro, dessa è ragguardevole e distinta tanto per parentele, quanto per cariche onorifiche occupate, e per ricchezza e splendore in cui sempre si è conservata, di modo chè trovasi unita in parentado con Pirelli, con Venneri, Munittola, Frisulli, Balsamo, d'Alessandro di Otranto, Scolmafora di Brindisi, Guidotti di Lecce, de Tomasi, ed altri. Angelo d'Elia fu il primo Barone del Feudo di Sant'Andrea, e Sindaci di Gallipoli furono Leonardo nel 1628, Angelo nel 1670, Marcello nel 1704, e Niccola nel 1714.
Lo stemma di questa famiglia dipinto nella sala del Palazzo comunale è quello dell'antichissima Casa Sant'Elia di Gallipoli rappresentante un carro infuocato e ripercosso da' raggi del Sole con entro assiso il vecchio profeta Elia, emblema desunto dal cognome del casato.
Dicesi però che il preciso stemma di lei per concessione del mentovato Carlo V con diploma del 7 Febbraio 1536 fosse uno scudo quadripartito con una banda rossa trasversale da dritta a manca; nell'angolo superiore a sinistra quattro Leoni d'oro, ed un altro di colore azzurro con un fascio di spiche alle branche, ed altrettanti nell'angolo inferiore a dritta. Noi intanto non possiam dipartirci dagli scudi dipinti nell'accennato palazzo comunale.

Vitantonio VINCI