Le maschere di Tartufo

Egli è un ipocrita, anzi, l'Ipocrita per eccellenza. Un viscido che con la sua "santoccheria" si prende gioco della gente per trarne profitto, senza scrupoli. Cambia faccia all'occorrenza, indossa maschere con facilità, tutte gli stanno a pennello.
Sa piangere e ridere a comando, senza recitare, gli riesce naturale.
E' esperto nel lusingare le persone, innalzarle al cielo, accarezzarne l'anima, ma subito dopo, con disinvoltura, le "accoltella", ma sempre senza usare metodi cruenti.
La sua capacità è quella di annientare il prossimo senza sporcarsi le mani. Mai e poi mai si sognerebbe di alzare un solo dito contro chicchessia. Trova intollerabile e scandalosa ogni forma di violenza fisica.
Le sue specialità sono il raggiro, la truffa, l'inganno, il pettegolezzo, la furfanteria, ecc.
Ma la sua insuperabile caratteristica, che lo rende unico nella larga schiera degli imbroglioni, è quella di nascondere ogni sua azione dietro la facciata della religione, si fa scudo dei massimi ideali morali per giustificare ogni comportamento che colpisce inesorabilmente il prossimo.
Insomma tra lui e i sui fini non ci devono essere ostacoli.
Se qualcuno identifica in questo ritratto la figura dei nostri politici, sia di livello nazionale che locale, sbaglia di grosso. Mai e poi mai mi permetterei di attribuire ai nostri governanti simili caratteristiche. Basta guardarsi intorno per non dubitare delle grandi doti umane, della infinita capacità professionale e, soprattutto, dell'incommensurabile disinteresse personale di chi occupa posti di potere.
Io, molto più semplicemente, mi riferivo a Tartufo, il personaggio protagonista dell'immortale commedia di Molière.
Anche lui è stato "frainteso" quando, nel 1664, ha rappresentato per la prima volta "Tartufo".
Chissà come mai il Re si è indispettito. Forse dietro la faccia dell'impostore sulla scena ha visto la realtà della sua corte? Forse la politica non è cambiata per niente? Forse molti erano i furbi che lo circondavano e che non aspettavano altro che di fregare gli altri?
Fatto sta che per riuscire a far vedere la sua opera, Molière ha dovuto aggiungere un sermone finale con il quale eleva il regnante a giudice giusto, uomo saggio che sa riconoscere i "Tartufi" e assegnarli alle patrie galere.
Comunque, a noi è arrivata un testo teatrale che è ancora fresco e attuale.
Un capolavoro di tutti i tempi che con un perfetto meccanismo comico riesce a stuzzicare compagnie, attori e registi di tutto il mondo.
Anche "Calandra" si è cimentata e ha cercato di allontanarsi dagli schemi classici, dalla classica scenografia, dalla classica impostazione.
Con originalità gli attori si presentano sulla scena non sfruttando le quinte, ma sbucando come pistoni da un parapetto nero.
Nessuna scenografia, nessun mobile, nessun oggetto di scena. Solo parole e luci.
E per chi gradisce, una grottesca musica (scelta da Marco Leopizzi) dell'inimitabile Charles Mingus, raffinato jazzista.
La commedia si fonde così con il surreale.
Tartufo, che si sente vincitore, padrone ormai di casa e dei beni del malcapitato Orgone, viene caricato di tutte le maschere dell'ipocrisia. Da re della scena, passa a manichino inerme sommerso di facce bianche poste sulla sua (di bronzo); ognuno dei personaggi gli infligge il peso della meschinità con cui l'impostore ha vissuto.
Un eccezionale Federico della Ducata dà vita a Tartufo e Donato Chiarello, Federica De Prezzo, Miryam Mariano, Simona Luceri, Antonio Giuri e Piero Schirinzi sono suoi degni complici per un lavoro destinato (grazie all'impegno di Salvatore Selce) ad approdare in importanti piazze non solo pugliesi.

Giuseppe MIGGIANO
www.calandrateatro.it