Gallipoli bizantina e grecità della sua massa

La  "renovatio" di Basilio I, fu visibile sotto tanti punti di vista: a livello architettonico, richiamando lo stile di Giustiniano, a livello economico con una sempre più presenza di monetazione, a livello insediativo, con la presenza di almeno 350 insediamenti abitati nella provincia di Lecce. "Il momento decisivo per la formazione del Salento bizantino si deve collocare negli ultimi decenni del IX secolo, quando le truppe di Basilio I e Leone VI ristabiliscono l'autorità del basileus su tutta l'Italia meridionale continentale"1.
Dopo la "colonizzazione civile" che ha interessato da vicino tantissimi comuni della nostra area, nell'886 viene riorganizzato l'assetto politico-religioso: la Città di S. Severina (dopo la sua riconquista) viene elevata a metropolia e ne fanno parte come diocesi suffraganee anche Gallipoli e in seguito anche "Paleocastro", cioè Castro.
Tale assetto verrà cambiato nella II metà dell'XI secolo.
Con l'avvento normanno, la giurisdizione ecclesiastica di Nardò si allarga in pochissimo tempo, ai danni di Gallipoli: nel 1099 viene donata l'abbazia di S. Anastasia di Matino dal conte Goffredo "pro anima" (per la salvezza dell'anima) per essere posta grancia del monastero urbano, con funzione di cattedrale, di S. Maria de Nerito2.
Una tendenza di riorganizzazione delle abbazie monastiche sarà una tendenza riscontrabile in tutto il Salento, prova ne è l'edificazione del monastero di S. Nicola di Casole, cui faranno parte come abbazia l'antico insediamento monastico delle Centoporte di Giurdignano, le cui tracce archeologiche datano al VI secolo.
Proprio nella fase normanna viene esaltata la veridicità dell'interpolazione del codice di Scylitze con tanti piccoli indizi, tra cui quello delle fonti che vedevano in Gallipoli una roccaforte di "more graecorum".
Così a Nardò viene insediata una comunità monastica benedettina e anche Gallipoli subisce provvisoriamente il passaggio al rito latino (attestato però solo nel 1115 con il vescovo Baldrico), ma la popolazione, avversa a tale provvedimento, preme tanto che ripristina la gerarchia greca, come dimostra un atto del monastero di S. Mauro, datato agosto 11723 dove compare il vescovo greco di Gallipoli Teodosio.
Il ritorno di pastori greci sulla cattedra episcopale di Gallipoli in pieno secolo XII testimonia la presenza della maggioranza greca, dovuta anche alla politica di non scontro dei normanni verso il culto cristiano orientale, anche se in questa fase nasce l'azione di "rekatolieserung"4.
Secondo Serio-Santantonio5, proprio in questo periodo è da collocare la leggenda della "pazzia dei Racalini": il passaggio di S. Nicola Pellegrino da Racale e la sua cacciata (<<Vale Racle, terra fertilis pastanacarum6>>), palesa l'ormai avvenuta conversione della popolazione al rito latino, mentre quasi contemporaneamente la diocesi di Gallipoli ritorna in mano greca, a prezzo però della perdita definitiva di interi pezzi della sua antica "massa callipolitana", di probabile creazione giustinanea, che si ridurrà notevolmente. Lo Jacob sottolinea che <<nel periodo in cui i Greci di Gallipoli riprendevano il vescovato, gli stessi perdevano la giurisdizione sulla maggior parte della diocesi>>7.
Infatti la rottura tra Roma e Costantinopoli (scisma del 1054) non impedì certo ai Greci di Terra d'Otranto di intrattenere stretti rapporti con varie personalità della Chiesa bizantina.
Anche nel XIII secolo, nelle lotte tra ghibellini e guelfi, la classe episcopale greca si schierò a fianco dell'imperatore e ne appoggiò la politica ostile alla Chiesa di Roma, ma un colpo mortale fu inferto con la battaglia di Benevento del 1266, quando le truppe ghibelline capeggiate da Manfredi, figlio del "puer Apuliae" e "stupor mundi", furono sconfitte, sancendo la vittoria guelfa -angioina.
Se con la venuta normanna, non abbiamo un vero scontro con il culto greco, con la definitiva venuta angioina del 1268, Gallipoli fu assediata e conquistata, l'esercito di Carlo d'Angiò I ne determinò lo spopolamento, e le persone che avevano appoggiato il ghibellinismo, dovettero fuggire nell'entroterra; ne fu vittima illustre Giorgio Cartofilace, il quale riuscì a denunciare i soprusi dei conquistatori latini.
A Gallipoli torna il vescovo latino, di cui ignoriamo il nome, ma dopo qualche decennio, agli inizi del XIV secolo, tornano nuovamente i vescovi greci, per un'egemonia effimera che durerà entro il 1374.
Mario De Marco informa che la rilatinizzazione <<sopravvenne dopo l'episcopato di Ciriaco, da come si deduce da una lettera di Gregorio XI, datata 29 aprile 1374, riguardante la nomina di un nuovo egumeno di S. Mauro. Il vescovo di Gallipoli menzionato in questa lettera è Domenico, nome di chiara origine romana. Da Domenico in poi tutti i vescovi di Gallipoli saranno latini>>8.
Gallipoli, infatti, si dovrà rassegnare al nuovo rito latino, mentre il processo di erosione della grecità continuava, anche nelle campagne, con la scomparsa delle comunità monastiche italo-greche del contado gallipolino.
Il tutto coincide con un periodo di trasformazione nel "modus vivendi" del salentino: scompaiono più della metà dei casali rurali che avevano caratterizzato l'età medievale e contestualmente compaiono i primi borghi fortificati, creati dallo stesso feudatario per una maggiore difensività e per un maggiore controllo sulle masse di "villani", al fine di tassarle.
In questi borghi di nuova pianificazione, disegnati dal "locator" con il sistema di "insulae et placae" (di cui un esempio lampante sono Felline, Alliste e Racale), tantissime chiese di culto italo-greche rimangono emarginate e solo alcune di esse verranno in seguito riadibite al culto, spesso tramite ribaltamenti di orientamento.
La differenza tra città e campagna, che nel tardoantico tendeva a sminuirsi, diventa ora più tangibile (il paesaggio torna allo stesso stato "antropizzato" nell'età romana) e in questa fase, definita di "rifeudalizzazione", nascono le masserie che generalmente sostituiscono antichi insediamenti di fattorie romane; contestualmente cambia il tipo di agricoltura passando da quella intensiva a quella estensiva, nel nostro caso vigneto all'uliveto, causando quella esplosione di frantoi ipogei, cui a Gallipoli spetta il primato per il numero9.
Le vicine comunità monastiche "basiliane" cessano di esistere tra il XIV e il XV secolo10, anche se l'ultima cerimonia in culto greco, nel contado, risale al 1513 (funerali della madre di Francesco Camaldari), quasi a testimoniare che Gallipoli e la sua massa hanno avuto un ruolo di primo piano nello splendore greco salentino e con nostalgia cede definitivamente il passo alla nuova forma di culto.
Anche nelle aree vicine il culto greco non va oltre la riforma tridentina (II metà del XVI secolo).
La cultura greca, che nel medioevo era a totale appannaggio della chiesa d'oriente, si era comunque radicata nella società civile, attraverso le più disparate forme, dalla lingua alle arti, e ancora oggi, inconsapevolmente, rivive nei nostri gesti quotidiani.

Stefano CORTESE