Archita e Giovanni Presta

Il mio primo incontro con codesti personaggi risale agli anni giovanili, quando non esistendo la televisione si era costretti a passare le serate, o i lunghi meriggi estivi, a leggere e pensare?.
Lessi di Giovanni Presta in un pomeriggio ventoso di agosto: andare al mare non era stato possibile in quanto una tramontana fuori stagione lo sconsigliava in modo violento.
Mi era capitato tra le mani un testo: "Dell'olivo, delle olive e dell'arte di cavar l'olio" di Giovanni Presta.
Ero solo curioso di questo vecchissimo testo e lo leggevo rapidamente, quasi scorrendo le righe, quando la mia attenzione fu attirata da una frase: quando il Magistero della Natura è compiuto?
Considerava il fatto che l'oliva è frutto assolutamente immangiabile se acerbo ed il nocciolino è ancora tenero. Ma quando matura è squisita ed il nocciolino è costituito da legno durissimo. Il nocciolino contiene la mandorlina in cui è custodito tutto intero il "programma vitale della pianta" Il Magistero della Natura appunto.
Solo allora quando il Magistero della Natura è compiuto, ossia quando il programma è stato interamente scritto, veniva concesso agli animali nutrirsene e, visto che il nocciolino attraversa indenne le vie naturali, procurare con lo spandimento del seme la diffusione della pianta.
Sono necessari infatti mesi di lavorio dei microrganismi del terreno per liberare dal durissimo nocciolino il magistero suddetto, che darà vita ad un albero monumentale.
Ma cosa ne poteva sapere il Presta del DNA della pianta?
Tale è infatti il Magistero della Natura. Giovanni Presta così come i più prestigiosi scienziati dell'epoca lo aveva intuito. Lazzaro Spallanzani: omne vivo ab ovo. E poi il Redi con le sue larve di mosca e quell'olandese che aveva osservato con una lente di sua costruzione nel liquido seminale gli animalculi e tutti coloro che non credevano nella generazione spontanea. Costoro avevano intuito che in quei minuscoli organi c'era scritto qualcosa di grandioso.
Ne rimasi piacevolmente sorpreso: doveva essere bravo quel gallipolino.
Ritornai allora all'inizio del libro e lo lessi e rilessi molto attentamente, restando ammirato dal rigore scientifico con cui descriveva i suoi 65 saggi sull'olio e dalle intuizioni che, in tempi in cui la chimica annaspava nel flogisto, hanno del meraviglioso e suscitano l'ammirazione del lettore.
Non vado oltre?. leggetelo!
Si tratta di un acuto osservatore ed innamorato studioso della Natura.
Vi sono delle pagine divertentissime, quali quelle che descrivono la dimostrazione che nel legno del nocciolino non c'è olio, a testimone è chiamato un Sacerdote dell'Università (Comune) di Gallipoli.
In sostanza il Presta poneva le basi tecnico-scientifiche per ottenere un olio eccellentissimo dalle olive, raccolte nel momento ottimale quali-quantitativo della resa in olio, che opportunamente lavorate diano olio della migliore qualità possibile.
L'olio così ottenuto veniva confezionato in bottiglie, suppongo dal loro destino in meraviglioso vetro di Murano, disposto in cassette di legno d'olivo, che dovevano essere altrettanto stupende nel marezzo che solo il legno d'olivo sa dare, ed inviate ai Regnanti di tutta Europa, compresa Caterina Autocratice di tutte le Russie. Sto forse dando consigli per pacchi dono Natalizi o Pasquali?.
Giovanni Presta poteva permettersi certe confidenze in quanto era stato Protomedico alla Corte del Regno di Napoli, quello di Carlo III Borbone, non quello di Franceschiello.
In quanto tale era medico personale dei Regnanti d' Europa.
Doveva essere molto bravo se, anche quando si era ritirato a Gallipoli per seguire i suoi olivi ed il suo tabacco, qualche lettore ricorda gli olivi "sotta a lu Presta"?, veniva consultato ed i suoi consigli salutari venivano rispettosamente seguiti.
In quel periodo Gallipoli era famosissima in tutta Europa per il commercio dell'olio lampante, ossia di olio buono per le lampade per illuminazione ad olio, le fumose ucerne. Non certo per uso commestibile. Infatti la tecnologia di allora consisteva nella raccolta delle olive, abbacchiate dagli alberi o raccolte da terra indifferentemente, trasportate ai frantoi o trappiti, dove i "nachiri" (da nocchieri?) ossia i capifrantoiani le stivavano in grandi mucchi per giorni, sì che, quando ormai erano impastate tra loro dalle muffe, che la pala provocava un taglio verticale nella massa, venivano lavorate.
Uomini o asini o cavalli nei frantoi "ipogei" giravano le mole del frantoio ad ottenere la pasta che, dopo la gramolatura, la distribuzione sui "fischiuli" e successiva torchiatura a mano, forniva un'emulsione olio - acqua di vegetazione e la sansa, ossia la parte solida contenente anche il nocciolino.
L'emulsione olio - acqua di vegetazione veniva trasferita in un pozzo fetente scavato nel tufo, chiamato non a caso "inferno", in cui la fase acquosa inferiore filtrava attraverso le porosità del tufo carparo e l'olio affiorava in superficie veniva recuperato con una scodella particolare e travasato. All'interfaccia tra le due fasi, quella acquosa e quella oleosa, il morchiume, una volta filtrata la gran parte dell'acqua di vegetazione, provvedeva a tappare per viscosità i pori del tufo.
I frantoi erano ipogei per la maggiore regolarità della grana del tufo, necessaria per una buona filtrazione della fase acquosa.
Il morchiume poi veniva raccolto e spedito a Venezia (caraca - caraca ogne murga vae a Venezia si diceva), dove si produceva sapone. Anche a Gallipoli si produceva sapone all'uso di Marsiglia con la liscivia ottenuta dalle ceneri di ceppi di olivo, ricche di potassa, in Via Saponere.
Si otteneva così un olio molto acido, per l'azione combinata della stagionatura delle olive nel frantoio, degli enzimi lipolitici presenti nelle muffe e dei microrganismi del terreno agricolo, ricco di concimi naturali, dell'igiene assolutamente assente.
L'acidità si sviluppava per idrolisi degli esteri della glicerina che costituiscono l'olio per azione dell'acqua e degli enzimi lipolitici.
Un tale olio poteva provocare severe gastriti e persino gli stessi coltivatori di olive spesso provvedevano al loro familiare bisogno da frantoi della Murgia barese.
Nel morchiume residuo, che restava a contatto dell'olio anche per mesi, durante la lunga fase di decantazione dell'olio nei grandi otri, anche gli altri enzimi lipolitici provenienti dalla mandorlina del nocciolino dell'oliva, completavano l'acidificazione dell'olio.
Dai grandi otri di due - trecento litri in cui si conservava l'olio veniva spillato man mano da un foro posto ad una trentina di centimetri dal fondo ben tappato con cuoio.
L'olio lampante evidentemente conteneva, oltre agli esteri che lo costituivano: glicerina esterificata con acido oleico principalmente e poi palmitico e stearico, anche acido oleico glicerina libera e mono e digliceridi, ossia i prodotti della reazione di lipolisi sopradetta. Queste sostanze , oggi usatissime nelle creme cosmetiche e farmaceutiche, trattengono in emulsione acqua in quantità anche notevoli. Se si brucia un tale olio nelle ucerne la fiamma raggiunge una temperatura più bassa, rispetto a quella ottenibile con olio puro e risulta così di maggiore luminosità.
Particelle carboniose incombuste emanano luminosità. Lo stesso fenomeno si osserva nella fiamma del gas che brucia in carenza di aria.
La resa ponderale in olio è apparentemente maggiore in quanto c'è una maggiore quantità di acqua, e la luminosità è maggiore. Perciò tutti a tacere.
Ecco quindi che i nachiri di Gallipoli avevano messo a punto una tecnologia ottima per olio lampante, ma pessima per olio commestibile, contro la quale vanamente cozzava il buon Presta, che aveva ragioni da vendere sull'olio inforzato che così si otteneva.
Splendido termine per definire un olio dal pessimo retrogusto: forte s'usa ancor oggi per definire olio di gusto cattivo.
Non poteva per i limiti della chimica dell'epoca, con gli alchimisti ancora nella terza bolgia infernale annaspanti nel flogisto, dare vincente ragione scientifica all'obiezione della maggior resa in olio che garantiva il metodo dei nachiri; ci sarebbe voluta la gas cromatografia per determinare la presenza dei mono di e trigliceridi nell'olio lampante.
Il Prof. Fedeli pioniere di tale tecnica nascerà 150 anni dopo.
Questa tecnica comprendeva anche la spremitura del nocciolino, cui si attribuiva il contenuto dell'olio in più.
In effetti non lo conteneva, ma favoriva la torchiatura della pasta: facendo da supporto inerte in tale fase ne migliorava le rese.
Finito il periodo dell'olio lampante per via del gas illuminante prima e poi dell'elettricità, la conversione della produzione di olio da combustibile a commestibile non avvenne: ragioni locali feudali e coloniali nazionali insieme hanno per troppo tempo condizionato lo sviluppo del Sud.
Anzi nella seconda metà dell'ottocento i boschi di olivi furono in tanta parte distrutti e sostituiti da una delle più gravi speculazioni agricole mai commesse ai danni del Sud: la piantagione delle viti per produrre vino da taglio, di concezione appunto feudalcoloniale. Ne parleremo in altra occasione.
Si compiva nei confronti della sacra pianta dell'olivo un'empietà. Si annullava la legge che vietava l'espianto degli ulivi, se non per sostituzione con altro ulivo più vitale, osservata rigorosamente fin dai tempi più remoti e rispettata anche dai più barbari e famelici dominatori dei secoli più bui.
Solo in questi ultimi decenni, se non ultimi anni, i moderni impianti permettono di racchiudere in una bottiglia tutto lo splendore salutare del nostro olio d'oliva, preziosissimo e profumato nettare dei nostri monumentali e meravigliosi olivi.
Avete mai visto la sontuosa veste d'avorio che li adorna alla fioritura? Non è forse una metamorfosi della stessa Demetra quale Primavera?
La lotta tenace e dura rivolta dai biochimici non tanto a sciogliere i nodi della conoscenza scientifica, quanto a vincere l'ignoranza dei propri simili, finalmente ha i suoi frutti.
Giovanni Presta sarebbe lieto oggi di conoscere ed applicare le scoperte della biochimica, la più bella invenzione, con la fisica, del genere umano e insieme la più irta di pericoli per lo stesso genere umano.
In questi moderni impianti dal momento in cui le olive, raccolte, trasportate e pulite molto bene, entrano insieme a qualche verde foglia nel ciclo di lavorazione, fino al momento in cui l'olio non è racchiuso in bottiglia, appena lievemente velato per la presenza di preziosissimi componenti di cui è particolarmente ricco il nostro Olio d'Oliva Salentino (si chiamano fitosteroli), passano pochi minuti. Si compie il sapiente magistero dell'uomo nel rispetto della Natura.
Archita lo conobbi insieme con Platone e poi a proposito della velocità nell'aria dei suoni alle varie frequenze: l'effetto Doppler lo aveva intuito ma ne dava una spiegazione diversa.
Quando Archita affermava rivolto ai Tarentini, cito a braccio, "andate fieri del nostro benessere, che dipende da una buona agricoltura, una migliore agricoltura, un'ottima agricoltura", intendeva dire che bisogna migliorare sempre la qualità dei beni prodotti per reggere il mercato, servendosi della scienza, quella vera. Quella per intenderci al servizio della salute e del benessere umano, non quella asservita al lucro di pochi dalla fatica di tanti.

Non è vero che una sempre maggiore quantità di beni prodotti ha per effetto un maggiore benessere per tutti
(Francis Bacon 1600: Ciccio Prosciutto in vernacolo).


Ogni uomo, umile lavoratore o grande mente che sia, deve porsi la considerazione anche quando opera in buona fede:

Il mondo che io creo non è buono.
Eppure non sono io che lo rendo malvagio!
Ma questo basta?
(K.Wojtyla - poesie)

Archita fu vero grande politico, scienziato e maestro. Platone venne a Taranto alla sua scuola di geometria ed alle sue lezioni di politica. Dovette essere grande anche come maestro perché:

"Malo maestro colui che non fu superato dallo suo discepolo", così come malo discepolo colui che non superò lo suo maestro
(Dante)

Nel caso dell'olio dopo la lunga notte non sia tardo il risveglio.

Giovanni SANSO'