Divagazioni natalizie sulla pastorale gallipolina

"Dopo il silenzio, ciò che più si avvicina a esprimere l'ineffabile è la musica"
Edmond Jabès

E' innegabile che, a partire dalla ricorrenza liturgica di Santa Teresa D'Avila (15 ottobre) e via via, fino alla solennità dell'Epifania, a Gallipoli, soprattutto nel centro storico, si respira aria di Natale. Partendo dalla chiesa delle Carmelitane scalze, le note della pastorale, quasi per un ineffabile contagio, si propagano di angolo in angolo, di casa in casa, avvolgendo la cittadina come di un velo di favola e di mistero. Essa, è vero, è composta da autore anonimo, ma autore che ben conosceva usi, costumi, fede, tradizione e folklore ramificato nel dna della più genuina anima popolare. Da tempo però, si avverte il pericolo che, a causa della facilità di diffusione, che avviene in tutte le salse e in tanti arrangiamenti, quasi sempre a volume altissimo, essa venga contaminata e degradata fino a diventare quasi uno dei tanti ritmi "country" che si ripetono a getto continuo. Con il rischio di essere svuotata dai suoi significati più genuini e originali di nenia cantata e suonata davanti alla suggestiva scena della grotta del presepe, soprattutto in famiglia. Fin da bambino, mi è stato insegnato a suonarla con uno strumento certamente gentile e delicato qual'è il mandolino e da un misurato ma esigente maestro quale era il Commendatore Cav. Maestro Alfredo Dongiovanni, tra l'altro anche barbiere del popolo. Sento perciò quasi il sacro obbligo di mettere in guardia i miei concittadini dal volgarizzare e rovinare un lascito così significativo e prezioso. Si avverte così la necessità di una "rieducazione" all'ascolto della pastorale e, per estensione degli altri canti e melodie natalizie. Ricorro pertanto a quella fonte genuina e fresca di dottrina e di insegnamenti che, quasi quotidianamente, Papa Benedetto non manca di regalarci nelle più svariate occasioni e sui temi più attuali della post-modernità.
Dal famoso discorso di Ratisbona dell'estate scorsa - che tante polemiche ha suscitato non solo in campo islamico e che poi si sono risolte, come tutti sappiamo, in una bolla di sapone - fino agli interventi magisteriali pronunciati in occasione delle varie inaugurazioni degli anni accademici presso le pontificie università romane (v. Gregoriana, Lateranense ecc.), dai discorsi ufficiali rivolti ai vescovi nelle loro visite "ad limina" e in tante altre occasioni, il Papa, da esperto teologo e finissimo umanista, non fa altro che toccare di volta in volta temi presenti nel dibattito culturale che, lambendo anche il deposito della fede cattolica, si allargano in cerchi concentrici fino a salvaguardare la razionalità in campo filosofico e scientifico, la reciproca sussidiarietà tra fede e ragione, la rivendicazione della capacità della mente umana non solo a leggere e a capire le leggi dell'universo, ma anche la sua capacità di riconoscere, senza preconcetti, la presenza di un disegno divino che sta a fondamento delle leggi dell'universo. D'altra parte, in un mondo che ogni giorno, a tutti i livelli, spasmoticamente si agita per intravedere un senso da dare ai grandi temi della vita e della morte, del male e della violenza, della fame e della miseria, della guerra e della pace, della felicità e dell'angoscia, della malattia e della giustizia, il Vicario di Cristo non manca di sostenere, incoraggiare e additare traguardi, orizzonti e prospettive non solo in consonanza con la dottrina rivelata, di cui è custode responsabile e indiscusso ma anche facendo leva sull'innata aspirazione al bene e all'istinto di felicità presente in ogni creatura umana. Missione pastorale che svolge egregiamente sia quando accoglie i responsabili e le alte autorità della terra, sia quando la sua parola è rivolta ai giovani, alle famiglie, ai malati e alle categorie più umili e disagiate. Memorabili, solo per rimanere nell'attività degli ultimi mesi, i discorsi ai vescovi tedeschi e svizzeri, come pure gli interventi pronunciati alle assemblee della Pontificia Commissione Teologica Internazionale e alla Pontificia Accademia delle Scienze. Il suo argomentare scaturisce sempre anche da una puntuale e profonda conoscenza dei problemi della Chiesa e del mondo di oggi, da una informazione sempre corretta e tempestiva, dalla chiarezza di un vocabolario appropriato e controllato e da una cordialità e apertura che stupiscono tutti.
Tra i tanti, mi ha molto colpito il discorso che nella serata di sabato 18 novembre, egli ha rivolto ai partecipanti al "momento musicale" offerto in Vaticano dal Presidente della Repubblica Federale di Germania. Dopo aver assistito al Concerto del "Fhilarmonia Quartett Berlin" il Papa, ringraziando, ha toccato con estrema sensibilità e vivissima partecipazione temi che raramente capita ascoltare dall'alto della Cattedra di San Pietro. Ed è proprio questo il motivo che mi spinge a far posto, nel nostro piccolo, a quegli insegnamenti per "regalare" ai miei concittadini, forse distratti dal sovraccarico di tante altre notizie giornaliere, quasi un'eco che richiami la bellezza e il fascino della nostra pastorale. Essa, pur non toccando i vertici della sublime arte della musica di un Händel, Mozart o Bach, pure può contribuire ad "aiutarci a meditare sulla complessità della vita e sulle piccole vicende quotidiane".
"La nostra quotidianeità - dice il Papa in apertura - è un intreccio di gioie e dolori, di speranze e delusioni, di attese e sorprese, che si alternano in modo movimentato e che destano nel nostro intimo le domande fondamentali sul "da dove", e sul "verso dove" e sul "senso vero della nostra esistenza".
"La musica, - continua ancora il Papa - che esprime una vasta gamma di percezioni dell'animo, offre all'ascoltatore la possibilità di scrutare come in uno specchio le vicende della storia personale e di quella universale. Ma ci offre ancora di più: mediante i suoi suoni ci porta in un altro mondo ed armonizza il nostro intimo, offrendoci momenti di serenità e di salutare riflessione".
Tornando alla pastorale gallipolina, essa, come affermano storici e ricercatori nostrani, non è altro che il racconto musicale della vicenda storica del Figlio di Dio che, incarnandosi, ha contratto la sua onnipotenza nella fragilità della natura umana. Attraversando le diverse fasi dell'esistenza terrena, Egli le ha tutte santificate assumendo su di sè "i peccati e i dolori del mondo". La melodia che a tratti si stempera in nenia dolcissima e sognante, con le sue variazioni di registri alti e bassi, gli intermezzi, i ritorni, le accellerazioni e le armonie variegate che si susseguono sia nella parte maggiore che in quella minore, non fa altro che raccontare musicalmente e in maniera semplice e popolare l'attesa della nascita del Redentore, la sua vita nascosta nell'umile casa di Nazareth e poi il tentativo di rivisitare sinteticamente i tre anni di vita pubblica con la conclusione della Passione, morte e gloriosa Risurrezione. Racconto intrecciato di melodie che si snodano con stupore crescente fino a coinvolgere lo spirito del gallipolino che ascolta e che viene spinto a ripensare all'infanzia, ai suoi cari e a quell'atmosfera lontana che non c'è più.
" In effetti, spiega ancora Benedetto XVI, possiamo immaginare la storia del mondo come una meravigliosa sinfonia che Dio ha composto e la cui esecuzione Egli stesso, da saggio Maestro d'orchestra, dirige. Anche se a noi la partitura sembra molto complessa e difficile, Egli la conosce dalla prima all'ultima nota. Noi non siamo chiamati a prendere in mano la bacchetta del direttore, e ancora meno a cambiare le melodie secondo il nostro gusto. Ma siamo chiamati, ciascuno di noi al suo posto e con le proprie capacità, a collaborare con il grande Maestro nell'eseguire il suo stupendo Capolavoro. Nel corso dell'esecuzione ci sarà anche dato di comprendere man mano il grandioso disegno della partitura divina".
Violini, mandolini, chitarre, clarinetti, frisarmoniche, triangoli e tanti altri strumenti ci introducono in questo meraviglioso scenario colorato della piccola storia di Gesù incastonata nella grande storia del mondo. Si può dire che nell'interpretazione della pastorale gallipolina tutti formano l'orchestra, è vero, ma ciascuno è solista. "E il suonare insieme - conclude il Papa, proprio da fine intenditore, - richiede dal singolo non solo l'impegno di tutte le sue capacità tecniche e musicali nell'esecuzione della propria parte, ma al contempo anche il sapersi ritirare nell'ascolto attento degli altri. Solo se questo riesce, se cioè ciascuno non pone al centro se stesso, ma, in spirito di servizio, si inserisce nell'insieme e, per così dire si mette a disposizione come "strumento", solo allora si ha un'interpretazione veramente grande. E' questa una bella immagine anche per chi nella Chiesa e nel mondo si impegna ad essere "strumento" per comunicare agli uomini il pensiero del grande "Compositore", la cui opera è l'armonia dell'universo". Ed è su questa immagine polivalente che anche noi chiudiamo il discorso stupiti che il semplice ascolto della pastorale ci possa portare tanto lontano e, contemporaneamente tanto vicini gli uni agli altri. In una parola, la musica - quella vera - conduce alla bontà e alla preghiera. In essa infatti, come nella natura, non vediamo parole ma sempre e soltanto iniziali di parole e, quando andiamo a leggerle, troviamo che "le nuove cosiddette parole sono a loro volta nulla più che iniziali di nuove parole" (Georg Chr. Lictenberg).
Canta infatti il salmo:" Non è linguaggio e parole di cui nel cosmo si oda il suono" (v. Ps. 19,2).
Le iniziali che ci suggerisce la nostra pastorale sono quelle che giriamo alla nostra cittadina e ai suoi abitanti come non retorico augurio natalizio: pace, lavoro, salute, serenità, onestà, gusto del bello, amore per la musica, attaccamento alle tradizioni. E se proprio qualcuno si sente analfabeta di sentimenti e di cose belle si può ricordare come "la musica rinforza la convinzione che la cosa più importante del mondo è proprio quella che non si può dire" (Wladimir Jankelevitch).
Ecco perchè di fronte a tutte le nenie dei Tu scendi dalle stelle e degli Stille nacht, la nostra pastorale appare forse più misteriosa e suggestiva perchè non si serve di parole. Essa esprime l'ineffabile che sfocia poi nel silenzio mistico. Non di rado infatti ci accade di aver dentro noi stessi sentimenti ed emozioni che non riusciamo a manifestare. E allora ecco affidarci alla bellezza suprema della musica, al linguaggio universale. Sembra questa una via forse ormai reclusa ai nostri giorni perchè si predilige la sguaiataggine, l'eruzione di suoni e parole che riempiono display e sms più che il sacro ascolto di  musica alta. Ma, annotava già uno spirito illuminato del secolo VI "Tu o Dio ci toglierai il dono della musica se continueremo a commettere ingiustizia" (Cassiodoro).
Che la musica, qualsiasi musica natalizia, a cominciare dalla pastorale ci porti alle soglie di quella grotta che rimanendo sempre muta può diventare "risposta" a tutti i nostri interrogativi e drammi quotidiani. "La verità del Natale" non è una pietra preziosa che si può mettere in tasca, o una musica che si può camuffare o arrangiare in mille modi, bensì un mare sconfinato in cui si cade dentro e ci si immerge" (R. Musil), nel silenzio adorante, appunto.
Il brano evangelico del 'Logos che diventa carne' verrà letto nelle chiese il giorno di Natale (Gv. 1,1 - 18). Avvenimento che ci suggerisce un'ultima considerazione. Don Lorenzo Perosi, il famoso musicista rievocato in questi giorni per il 50° della morte, si era annotato, da giovane il "la" del suo ministero sacerdotale, svolto poi egregiamente nell'arco della sua vita: "Se gli uomini del mio tempo non vogliono sentire il Vangelo io li costringo ad ascoltarlo in musica".

Possiamo concludere allora: dalla musica al silenzio orante, perchè "l'essenziale che cerchiamo è invisibile agli occhi" (A. De Saint - Exùpery).

"E si nasconde
in un profondo silenzio
chiuso e segreto
in povertà assoluta
e ricchezza segreta.
A che vale
se non è segreta
la ricchezza suprema?
Simile al nulla

La ricchezza suprema"
(Lalla Romano, Diario ultimo, Einaudi 2001)

Per questo forse ci teniamo tanto alla nostra pastorale, perchè ci fa "amare il Verbo, non le parole".

Amo il Verbo
non le parole
unico è il Verbo
le parole troppe.
Amo il silenzio, amo
follia e santità della bellezza (Id.)

Rivivendo la nostra infanzia davanti al presepe, con la pastorale che si dissolve nel silenzio, chiudiamo gli occhi e immaginiamo:

Innumerevoli schiere d'angeli
circondano il trono di Dio.
Hanno voci d'oro, d'argento e d'acqua chiara
e lodano il Signore.
Ma da lontano.
Non osano avvicinarsi troppo.
Uno solo si avvicina.
Chi è?
E' l'angelo del silenzio
(Nikos Kazantzakis)

Don Giuseppe LEOPIZZI