Le vie di Gallipoli

VIA GIACOMO LAZARI

Alcune lacune riscontrate nei registri di nascita della parrocchia di Gallipoli, che interessano quasi per intero la 2^ metà del secolo XVI, hanno impedito di conoscere la data di nascita di Giangiacomo e il nome stesso dei suoi genitori.
Nel testamento come nel codicillo, però, redatti in Lecce nei giorni 19 e 27 maggio del 1628, presso lo studio notarile del dr. Domenico Salviati, Egli si dichiara fratello uterino di Carlo Muzio, già defunto.
Neppure si sa dove compì i suoi studi.
Si sa, soltanto, che conseguita la laurea in medicina andò ad insegnare medicina, filosofia e matematica nell'Università di Messina ed in seguito e per molti anni esercitò l'alta carica di Protomedico per tutta la Sicilia che vide accrescere la sua fama di uomo dotto, guadagnandosi anche la stima delle maggiori autorità e dei migliori circoli culturali siciliani. Successivamente, in età matura, ma non ancora anziano e sicuramente, non perché stanco per le molteplici attività che svolgeva, ma per l'amore e la nostalgia che nutriva per la sua Gallipoli, abbandonò la cattedra, l'esercizio delle professioni e la Sicilia e si ritirò in Gallipoli, dove andò ad abitare nel palazzo Muzio, per due terzi di sua proprietà e dopo aver impegnato e speso per restauri 1500 ducati.
Il Lazari, già ricco, con l'esercizio delle sue professioni aveva accresciuto di molto la sua ricchezza.
Molti dei suoi risparmi li aveva invertiti al 5% presso le banche di Santo Spirito e di S. Eligio in Napoli e la parte rimanente in acquisto di olio che teneva depositato presso gli stabilimenti di Bonifacio Venneri e figli di Gallipoli e presso quelli di De Mari, Bonicello, Siringati ed altri in Lecce.
In età piuttosto avanzata Giacomo sposò, in Lecce, la N.D. Aurelia De Ventura, figlia di Roberto e per accogliere il desiderio di costei, che aveva casa signorile, divisero di buono accordo, il loro soggiorno fra Lecce e Gallipoli. Avvenne che nel maggio del 1628, trovandosi in Lecce, gli fu diagnosticata un'infermità mortale e medico qual'era si rese subito conto della gravità del caso, così senza perdere tempo predispose tutto per il suo testamento.
Egli aveva due nipoti femmine, già monache di clausura, figlie di due sorelle: suor Licenza Pasca e suor Aluisa Gorgoni e due nipoti maschi: Antonio e Francesco Muzio entrambi figli di Carlo, suo fratello uterino, come abbiamo già detto. Il Lazari così costituì i due nipoti maschi eredi universali, vincolando, pero', il testamento ad una condizione , si fosse verificata, Antonio avrebbe dovuto aggiungere al suo il cognome di Lazari.
Ma Egli nel dettare il testamento non mancò di ricordarsi della sua città che tanto amava e della quale ne conosceva i bisogni. La vecchia cattedrale, a quel tempo, infatti, era così malconcia, nonostante le molte riparazioni fatte eseguire, in tempi diversi, dai Vescovi, da consentire al suo interno la sicurezza fisica dei celebranti e dei religiosi presenti, durante il normale svolgersi delle funzioni.
Già nei primi anni del secolo XVII si sentiva il bisogno e se ne parlava della necessità di una sua riedificazione. Ma non era impresa facile da affrontare, in quel periodo, da parte dei cittadini, attesa l'angustia economica in cui la maggior parte di essi viveva, vuoi per i danni causati dalle continue guerre, vuoi anche dai danni provocati dalle condizioni atmosferiche che spesso causavano danni incalcolabili.
Così il Lazari nella stesura del testamento si ricordò di questa necessità dei suoi cittadini, e dopo aver data disposizioni per il dopo della sua morte, dettò al notaio queste parole:
" Item lascio per la fabbrica di S. Agata della chiesa cattedrale di Gallipoli DUCATI-SEI-MILLIA situati nella casa pia dello Spirito Santo di Napoli e S.to Eligio di Napoli a cinque per cento; poiché ho trovato per tante mutazioni di seculi, che quella Chiesa può dirupare, e QUESTO E' OBLIGO MIO, PER MOSTRARMI GRATO ALLA PADRIA, LA QUALE SEMPRE HO AMATO. ITEM lascio quello che rimanerà dei miei ogli in potere dei Venneri ecc.
Il Lazari, in seguito, dette ancora disposizioni di altri lasciti in favore della riedificazione della Chiesa di S. Agata. Si legge, infatti, nella copia legale del testamento, esistente nella Curia Vescovile di Gallipoli, come afferma il D'Elia, che ad un certo punto la Chiesa divenne per il Lazari l'unico effettivo erede del suo asse ereditario e non i nipoti, signori Muzio, in quanto le condizioni previste o imposte nel contratto dal Lazari medesimo non furono mai accettate dai nipoti naturali. Ora se Gallipoli ha una bella, ricca e spaziosa Cattedrale, lo si deve, per grandissima parte, alla generosità di questo nostro illustre concittadino. Senza il suo filiale e generoso gesto chi sa per quanti anni ancora Gallipoli sarebbe rimasta con la sua pericolante vecchia Chiesa.
Così ,dopo pochi giorni dalla morte del Lazari fu messo in esecuzione il testamento e con le prime somme in esso disposte (ducati 1625) provenienti dalla vendita dell'olio depositato presso la ditta Bonifacio Venneri e con le oblazioni di altri cittadini e del Vescovo Rueda , si provvide a demolire l'antica e costruire la nuova Cattedrale.
I grossi meriti ed il filiale amore per la città di questo nostro Illustre benefattore, spinsero il D'Elia a proporre che egli fosse titolata una via del borgo; anche perché nessuno aveva mai pensato o suggerito di apporre una lapide commemorativa e l'unico indizio, che non tutti riescono a scoprire, è dato dallo stemma scolpito in 4 metope del cornicione della cupola, associato agli stemmi della città, del Vescovo e del Sovrano del tempo.
 

VIA CONTE DI MONTEMAR

Nell'anno 1711 il regno di Napoli passò dalla signoria della Spagna al dominio dell'Austria, dominio che venne confermato col trattato di Utrech nel 1713.
Vero è, intanto, che gli austriaci già da circa 30 anni avevano occupato molte città e castelli del regno di Napoli ed i loro Viceré spadroneggiavano a loro capriccio, non meno di come avevano fatto i viceré spagnoli.
Senonchè nel 1734 il giovane e audace Carlo di Borbone, figlio del re di Spagna Filippo V e della seconda moglie di questi Elisabetta Farnese, scese nel regno di Napoli per tentare di cacciare gli austriaci, riconquistare il regno e renderlo autonomo. Egli, infatti, non aveva speranza alcuna di succedere al trono di Spagna , così spinto e incoraggiato dalla madre e coadiuvato dalla flotta spagnola si mise a capo di un esercito, forte di 20.000 armati ed il 10 maggio dello stesso anno entrò in Napoli, accolto e salutato festosamente, come un liberatore.
Intanto l'esercito comandato da un generale in capo il Conte di Montemar molto esperto in fatto di armi e di guerre, partendo da Napoli cominciò a scendere nelle province pugliesi per cacciare gli austriaci, che si erano concentrati nella provincia di Bari. Così il 25 maggio del 1734, il Conte sferrò agli austriaci una dura battaglia nei dintorni di Bitonto, i quali irrimediabilmente sconfitti firmarono la capitolazione.
Da questa sconfitta subito ne trassero incoraggiamento ad insorgere le altre città pugliesi, comprese Lecce e Gallipoli, che erano ancora sotto il dominio austriaco e, pertanto, riuscirono a liberale i rispettivi castelli e a cacciarne le guarnigioni nemiche dalle loro città, le quali esterrefatte per la cocente sconfitta subita non seppero chiedere altro che una onorata capitolazione. Così nel giugno del 1734 si concluse la capitolazione per la resa del castello, composta, di sei articoli e firmata dal Conte di Montemar. Di questa capitolazione vi è anche traccia in un quaderno degli appunti e notizie riguardanti la nostra città, raccolti dal paziente ricercatore Niccolò Coppola, sempre attento e scrupoloso studioso degli avvenimenti di Gallipoli.
E' utile e opportuno che si trascrivino alcuni articoli della capitolazione, anche perché la stessa fu artefatta da altri, i quali nella pretesa di scrivere la storia di Gallipoli altro non fecero, come srisse sullo "SPARTACO" del 31 dicembre 1890 il prof. Carlo Massa, nostro concittadino, "che una rifinitura, più o meno sgrammaticata, di storia e di cronache dell'antico regno di Napoli.
"Capitolazione del Castello di Gallipoli"
1° Resterà il Castellano colli suoi Ufficiali, Artiglieri e Soldati prigionieri di CUERRA. CONCEDIDO.
3° Che al Castellano, Ufficiali, Artiglieri e soldati di detta Guarnigione se le lascino liberi i loro argenti, equipaggio, e robbe che tenessero, e proprie fossero, dentro e fuori di detto castello, acciò le possino trasportare, o vendere dove li convenga, senza che possino esperimentare verun danno, o impedimento. CONCEDIDO.
4° Che l'Artiglieri per essere Cittadini di questa città di Gallipoli, e nella medesima stabilità, che siano lasciati colle loro famiglie nelle di loro case . CONCEDIDO.
5° Che li Patentati del Castello non possino esperimentare inquisizione, né molestie veruna, lasciandoli vivere quieti colle loro famiglie nelle loro case. CONCEDIDO.
6° Che li soldati non possino essere violentati per prender partito, anche siano assistiti con il pane di monizione (razione). CONCENDIDO.
Il Conte di Montemar non solo, liberò i nostri Antenati dal dominio austriaco, ma predispose e firmò una capitolazione tutta a vantaggio del Castellano, delle milizie e dei cittadini di Gallipoli.
Per queste ragioni il D'Elia ritenne opportuno suggerire all'Amministrazione del tempo che al Conte venisse titolata una delle tante vie del borgo, che stavano prendendo forma e nome.

Luigi Parisi