Gallipoli duecento anni fa

E' una città diversa dalle altre del Salento, con una sua specifica configurazione per le attività economiche e per i protagonisti sociali. E' una città dalle spiccate caratteristiche mercantili ,centro principale della raccolta dell'olio di oliva che si produce nei territori circostanti; i suoi abitanti si dedicano al commercio,alle arti ed alla pesca. L'economia è incentrata sul porto che determina il tessuto sociale urbano , le attività della Comunità, le dinamiche demografiche e professionali ed il regime giuridico e fiscale.
Non solo il nucleo cittadino ma anche i paesi limitrofi sono in stretta dipendenza dall'emporio gallipolino. La Città è il centro commerciale del Salento.
La struttura sociale, però, non riesce ad adeguarsi agli alti livelli operativi e permane in uno stato confuso ed arretrato. Gli esponenti della borghesia locale disdegnano le attività commerciali ; l'imprenditoria locale svolge un ruolo subalterno ,del tutto secondario e di forte dipendenza dalle solide organizzazioni mercantili straniere che operano numerose ed in maniera preponderante nella Città.
Nonostante ciò , gli aristocratici ed i nobili pretendono di gestire il Parlamento cittadino in modo autoritario e vessatorio, per poter controllare tutto il commercio e le principali attività economiche.Il loro potere e prestigio discende da una rigida chiusura oligarchica e , pur non essendo un ceto omogeneo perché divisi in fazioni , esercitano uno strapotere locale che inevitabilmente diverrà il luogo di scontro tra i patrizi e la classe dinamica dei negozianti.
Il 27 settembre del 1790 è una data storica per la Città : quel giorno la Real Camera di S.Chiara di Napoli pronunzia il decreto con il quale si pone fine al diritto del primo ceto cittadino dei "nobili" di designare , in maniera esclusiva ed autonoma , il nome del Cittadino che avrebbe ricoperto il ruolo di Sindaco della Città. Solo i nobili, sino ad allora , avevano potuto ricoprire tutte le principali cariche municipali. Negli anni precedenti non erano mancate dispute e controversie per il dualismo tra il ceto dei cosiddetti "nobili" e gli altri cittadini tanto che si viveva in continuo dissidio fra i diversi ceti della Città.
L'ultimo sindaco del ceto dei 'nobili' era stato Giuseppe Grumesi ; dopo di lui fu eletto il primo Sindaco del ceto dei 'negozianti', Bonaventura Occhilupo.
La Real Casa di S.Chiara nell'accogliere la contestazione giuridica dei "negozianti", dichiarò che in Gallipoli "non esisteva nobiltà,ma soltanto un primo ceto,formato da benestanti, che vivono con civiltà, dall'entrate dei loro effetti e di conseguenza dovessero essere considerati come appartenenti a quel ceto tutti coloro che si trovassero in quelle medesime condizioni sociali". In quel dibattimento presero parte , tra gli altri , Filippo Briganti come difensore dei diritti dei "nobili" e Nicola Massa come difensore dei diritti dei "negozianti.
Grande era stata l'attesa per il risultato di quella causa che rappresentò la fine di un sopruso consuetudinario , non basato su alcuna legge e perciò immorale.
Fu la prima vittoria della società mercantile gallipolina che cercava uno spazio sufficiente per realizzare un programma di democratizzazione e di autonomia della politica. Fu cambiata la forma con la quale veniva eletta l'Assemblea municipale ed il Sindaco, si istituirono i Comizi generali del popolo attraverso l'adunanza di tutti i "fuochi" della Città e del suo territorio , fu convocato il primo comizio nel "Chiostro di S. Domenico ". Al suono della campana del Duomo , i cittadini convennero tutti festanti nel bel quadrato racchiuso dalle colonne ,purtroppo ora in parte nascoste da inutili muri, ed ivi elessero il "Parlamento", che poi sarà chiamato "Decurionato".
La partecipazione popolare non era ,però, la presa di coscienza delle possibilità acquisite di contribuire alle decisioni del governo della Città , era solo la capacità di reagire ai fatti ed ai conflitti generati dalle lotte e dalle contese tra le fazioni del potere aristocratico locale.Il consenso popolare, limitato e marginale , permaneva nella massima confusione e dieci anni dopo , durante la rivoluzione napoletana del 1799,fu strumentalizzato per abbattere "l'albero della libertà".
Dopo il proclama a Napoli del generale Championnet, il Preside della Provincia di Lecce , Francesco Marulli , il 9 febbraio , costituì a Gallipoli il "governo repubblicano della Città" composto da Vincenzo Barone Piccioli,Pasquale Castiglione,Nicola Muzy e Antonio Notar Piccioli. Fu piantato l'albero della libertà, "... lungo il lato settentrionale del Duomo ed in prosecuzione della Torre dell'Orologio era allora un rialzo e su quel largo poggiolo fu l'indomani domenica piantato il palo col berretto frigio fra una calca di curiosi e di monelli e furon pronunziati discorsi apologetici.Un milite della Guardia Urbana fu messo di scorta d'onore al simbolo repubblicano,ed ebbe la consegna di permettere gli atti di riverenza e di vietare gli atti contrari,al punto che prese a pedate un cane che vi si appressò sollevando una delle gambe posteriori".
Quell'avvenimento non rappresentò una svolta politica , divenne ,invece,causa di tumulti e saccheggi contro la nobiltà ed il ceto dei benestanti, per vendicare antiche prepotenze subite.
Il Marulli, il giorno dopo della collocazione dell'albero della libertà ,fu trovato morto nella sua casa a Lecce,si disse che fosse stato ucciso ma, secondo Francesco Massa " ...fu opinione,quasi generale,che quel funzionario avverso per i suoi principi,alle novelle istituzioni,avendo dovuto,anzicchè osteggiarle metterle in atto,si fosse avvelenato".Su quella vicenda non è stata fatta piena chiarezza.
Il 12 febbraio 1799, verso le ore ventidue, due giorni dopo che era stato piantato, la plebe sradicò l'albero. I pescatori , guidati dal Portolano gallipolino Antonio Mack Donald , di fede borbonica, con la complicità di due naviganti danesi presenti nel porto con la loro nave "Gute absight", buttarono a terra"l'infame albero" simbolo della rivoluzione repubblicana , occuparono i baluardi delle mura, il Castello e si impadronirono della bandiera e dei ritratti dei sovrani , acclamando a gran voce il Re , la Real Famiglia ed il Capitano del Porto.

La folla inferocita ,imprecando contro il governo repubblicano , superato il fossato ed il piazzale antistante il Castello, ". ?.percorse la via della piazza e , giunta al Duomo, prese la statua della protettrice S.Agata e dalla casa del Sindaco,quella del protettore S.Sebastiano .Con tale miscuglio di cose sacre e profane , scrive Francesco Massa nel suo libro 'AVVENIMENTI DI GALLIPOLI dal 1798 al 1815', girò replicate volte per tutte le strade della Città,quasi intendesse proclamare il rovescio della repubblica e il ritorno della monarchia".
La Città in quegli anni viveva in un grave stato di miseria : il commercio era crollato, la rivoluzione e la guerra avevano chiuso le comunicazioni per terra e per mare. Le autorità pubbliche non riuscivano a svolgere il loro normale ruolo legale: Gallipoli era in condizioni tristissime con la popolazione che abbandonava la città per trasferirsi nella campagna o nei paesi vicini di Villapicciotti, Tuglie, Parabita, Matino e Taviano.
Anche dopo la rivoluzione partenopea ed il ritorno del Re , l'anarchia della plebe continuò e fu causa di ulteriori divisioni e rivalità tra i cittadini ,specialmente quando giunse in città l'ufficiale Gennaro Felisio. Questi ,comandante del Castello e dei Baluardi della Città, era un personaggio tristemente famoso nella Regione per essere stato a capo dei tumulti popolari a Trani .A Gallipoli ,invece di rappresentare il ripristino della legalità , fu il principale collaboratore ed il malefico consigliere del cosiddetto "governo popolare della plebe ", composto dai facchini Vincenzo Tricarico,detto 'lu Nnenzu', e Vincenzo Cataldi , detto 'Cacciapupi', e dal bottaio Antonio Melgiovanni ,detto 'lu Pacciu' .
Inutilmente il vescovo Fra Giuseppe Danisi cercò di mettere in guardia i cittadini contro le malvagità di quell'uomo che aveva messo il Castello e la fortezza della Città nelle mani della plebe corrotta ed affamata.
Il popolo ignorante e vendicativo seguì , invece , gli incitamenti del Comandante e scoppiò la rivolta e l'aggressione contro il ceto dei nobili , dei benestanti ed anche dei commercianti. Si giunse ,così, alla carcerazione , nelle più buie ed insalubri prigioni del Castello , dei massimi dirigenti della Comunità e delle più alte personalità della Città quali Filippo Briganti, Nicola Massa, Saverio Talamo e Bartolomeo Ravenna.
Oltre cinquanta cittadini furono imprigionati e molti altri scamparono all'odio popolare solo perché fuggirono fuori dalla città , scendendo furtivamente dalle mura o come i due fratelli Gioacchino e Giovanni Rossi che dal terrazzo della casa Pirelli passarono furtivamente su quello del Convento delle Teresiane e furono nascosti dalla figlia di Gioacchino, giovane educanda ospite delle suore , dopo aver avuto l'autorizzazione da parte del Vescovo.
La Città , alla fine del XVIII secolo , era in balia dell'anarchia e del disordine , pur essendo la residenza di personaggi illustri e famosi in tutta Europa come Giovanni Presta e Filippo Briganti e uno dei centri urbani più rinomati del Salento per le sue bellezze artistiche e monumentali : Palazzi patrizi, Chiese confraternali, la splendida Cattedrale con i capolavori del Catalano e del Coppola., il Seminario diocesano e sette Monasteri e Conventi.
Le misere condizioni di vita dei cittadini , quasi tutti analfabeti , le situazioni di asservimento e di violenza creavano una Comunità difficile da amministrare, pronta ad esplodere e ad essere strumentalizzata per le bieche vendette di individui perversi e malvagi.
Questa era Gallipoli alla fine del 1700 , operosa e dinamica , ma con tante contraddizioni , ingiustizie ed illegalità , nonostante svolgesse un ruolo così importante nell'economia meridionale.Qui giungevano dal Nord Europa i famosi viaggiatori De Salis Marschlins e Von Riedesel per conoscere don Giovanni Presta, celebre per i suoi studi ed esperimenti relativi alla coltivazione dell'ulivo ed alla estrazione dell'olio ,e per visitare la prima piazza d'Europa ed il più grande magazzino dell'olio della provincia .
Era una città difficile da comprendere , pronta ad accogliere le navi francesi dell' invasione napoleonica ed a vivere intensamente , con i suoi eroi , il Risorgimento italiano.
Anche ai nostri giorni resta una realtà sociale molto controversa ,definita con giudizi contrastanti,simbolo di velleitarismo e di gretto conformismo ,che occupa le cronache nazionali per le " goffe " situazioni nel campo politico. E' una realtà misteriosa, non solo per i forestieri ma anche per gli stessi gallipolini, come lo era agli inizi del 1800 : Città difesa dalle alte mura e dai fortini che a sera chiudeva la "Porta Terra" e restava il Rivellino con il Castello, circondato dal fossato, a guardia della sua orgogliosa specificità e della forte e complessa personalità dei suoi abitanti.

Luigi Giungato